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"Ho visto cose che voi astemi non potete nemmeno immaginare": Un'analisi del celebre monologo di Blade Runner

La frase "Ho visto cose che voi umani non potete nemmeno immaginare" è una delle citazioni più iconiche della storia del cinema, tratta dal film Blade Runner di Ridley Scott. Uscito nel 1982, questo capolavoro di fantascienza ha profondamente influenzato l'immaginario collettivo e continua a stimolare l'immaginazione degli spettatori.

La visione di Blade Runner è una di quelle esperienze in grado di colpire dritto agli occhi come al cervello. Nel 1982 Blade Runner ci aveva fatto vedere quale avrebbe potuto essere il nostro futuro: immaginava il 2019. E, se il 2019 non è stato così, il nostro futuro potrebbe ancora essere quello di Blade Runner.

L'origine del film e del titolo

Blade Runner è tratto dal romanzo Do Androids Dream Of Electric Sheep? di Philip K. Dick, pubblicato nel 1968. Il termine "blade runner" si riferisce a qualcuno che corre sul filo di una lama, ed è perfetto per un cacciatore di taglie, una persona che può togliere la vita, ma anche perderla, una persona che vive una vita sempre sul filo del rasoio. Deckard, interpretato da Harrison Ford, è appunto un blade runner, un cacciatore di taglie che deve occuparsi di "terminare" alcuni replicanti Nexus 6.

I diritti del titolo furono venduti a Ridley Scott per il suo film, che non ha niente a che vedere con la storia di Mourse: quelle parole rappresentavano un buon nome in codice per il protagonista, Rick Deckard.

La trama e i temi

Il film è ambientato in una Los Angeles distopica del 2019, dove i replicanti, androidi creati per lavorare nelle colonie extramondo, sono fuggiti sulla Terra. Questi replicanti, guidati da Roy Batty (Rutger Hauer), sono tornati sulla terra, nella Los Angeles del 2019, per recarsi alla Tyrell Corporation, la ditta che li ha prodotti, e cercare di cambiare la data della loro fine. Deckard, un "blade runner", ha il compito di rintracciarli e "ritirarli".

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Con una data di scadenza, di quattro anni, ideata apposta perché non diventassero superiori all'uomo, visto che si tratta di esseri estremamente forti e intelligenti. Ma anche perché nel tempo avrebbero potuto sviluppare emozioni proprie, sentimenti, e quindi coscienza di sé. Alla Tyrell Corporation Deckard conosce la bellissima replicante Rachel (Sean Young) e se ne innamora.

Il film solleva profonde questioni sulla natura dell'umanità, l'intelligenza artificiale e il significato della vita. Chi sono i più "umani", i replicanti bramosi di vita e attaccati ad essa, o i blade runner, che li uccidono senza provare emozioni e sentimenti?

Il monologo finale: un momento iconico

Uno dei momenti più alti del film è infatti il monologo finale, in cui il replicante Roy Batty dà libero sfogo alle sue memorie, che abbandona senza nascondere un’umanissima malinconia.

Così inizia il soliloquio finale del film Blade Runner, uno dei più grandi film di fantascienza mai realizzati. Le parole del replicante che si abbandona, tra le lacrime, senza nascondere la sua parte umana sono commoventi. Interessante l’origine di questo soliloquio perché nasce da una quasi improvvisazione. Il testo è stato scritto da David Peoples e poi modificato da Hauer a qualche ora dalle riprese.

Il monologo, pronunciato da Roy Batty poco prima della sua morte, è un'esplosione di emozioni e riflessioni sulla bellezza e la fragilità dell'esistenza.

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La frase, al pari di altri modi di dire nati da film o libri particolarmente famosi, viene utilizzata prettamente in conversazioni informali e scherzose col significato di “ho visto cose difficili da credere” oppure “ho assistito ad una situazione inverosimile”.

Il monologo originale recita:

«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi:
navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione,
e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo,
come lacrime nella pioggia.
È tempo di morire.»

L’incipit, passato alla storia come un vero e proprio modo di dire, marca la distanza tra i replicanti e gli uomini: “Ho visto cose, che voi umani…”. In effetti le imprese eroiche passate in rassegna da Roy sono davvero sovrumane. Gesta memorabili, che spariranno insieme a lui. I ricordi delle porte di Tannhauser e delle navi al largo di Orione non gli sopravvivranno. E in questa consapevolezza che il replicante si abbandona alla memoria, alla dolce reminiscenza delle sue esperienze.

Assistiamo così all’umanizzazione di Roy. Le sue lacrime, lavate dalla pioggia, spariscono come i suoi ricordi nel momento della sua morte. È tempo di morire, conclude infatti l’umanoide. La morte è il punto di contatto tra il guerriero dell’extramondo e l’uomo. Ciò che lo rendeva superiore agli umani sparirà nella fine più naturale ed umana di tutte. E in procinto di scomparire, decide di risparmiare Rick, innalzando la sua vita ad un significato più alto. Si azzera così la distanza tra l’uomo e il robot, quando quest’ultimo riesce a riconoscere se stesso negli occhi di chi gli è di fronte. Il guerriero perfetto e invincibile muore da uomo, muore da eroe.

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Un soliloquio breve ed intensissimo. Narrativamente Blade Runner ha quindi l’enorme pregio di essere riuscito a spingere fino alla conclusione la spannung del film, in questo meraviglioso colpo di scena. Persino durante le riprese la troupe non resistette alla commozione quando Rutger Hauer recitò il suo monologo. In pochissime righe è riuscito a stravolgere i risvolti principali del film, rivelando la natura profonda del suo personaggio.

Come molte delle cose più stupefacenti realizzate nel cinema, questo celebre monologo fu un’improvvisazione di Rutger Hauer. Nel documentario Dangerous Days: On the Edge of Blade Runner il regista, così come l’intera troupe, sono stati intervistati dalla BBC in merito alle riprese del film. Oltre ad alcuni interessanti aneddoti, hanno svelato dettagli importanti anche per quanto riguarda questo monologo. Ridley Scott e il produttore hanno confermato che nel copione originale il monologo era molto più lungo. Come detto fu proprio Hauer a riscrivere la battuta e a voler condensare il tutto in meno frasi. Secondo l’autobiografia dell’attore, egli decise di tagliare parte del monologo e di aggiungere semplicemente “E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia”.

Questa frase, così come l’intero monologo, sono una sorta di riflessione del personaggio sui suoi simili, i replicanti. Ricordando le sue avventure e il suo passato, Roy Batty vuole far comprendere quanto lui e la sua specie siano ormai più che mai simili agli esseri umani. Una storia di un fascino inenarrabile quella di Blade Runner e di uno dei monologhi più celebri della storia del cinema.

La ricchezza visiva della pellicola è invecchiata bene, considerando che il film è del 1982: ancora oggi siamo meravigliati dalla regia e dalla sua fotografia. Quello che però è il merito più grande di Blade Runner è di aver ridefinito la sfera emotiva e cognitiva degli androidi, impostando un nuovo perno di riflessione nel filone fantascientifico. Non più semplici robot, ma umanoidi, ovvero simili all’uomo. Non solo nell’aspetto fisico, ma nel modo di relazionarsi con se stessi e la realtà.

L'eredità di Blade Runner

A vedere oggi Blade Runner non si direbbe che sia un film girato nel 1982. Il classico di Ridley Scott risulta attualissimo. Il 2019 è passato, ma non è questo il punto. Quell'ambientazione che sembrava suggestiva e lontanissima negli anni Ottanta oggi appare più che mai vicina, e in un certo senso profetica.

E sono più che mai attuali i temi dell'anelito all'immortalità e all'onnipotenza, l'antico, ma oggi vivo più che mai, desiderio dell'uomo di sostituirsi a Dio e diventare a sua volta creatore. Come non vedere nei replicanti un'anticipazione della clonazione umana, ipotesi che oggi non è più fantascienza? E come non riflettere e guardare in un altro modo all'Intelligenza Artificiale, oggi più che mai una realtà in uso?

Blade Runner è affascinante anche per questo, per il suo interrogarsi sulla natura umana. Nei replicanti si propone una revisione del cartesiano cogito ergo sum: penso, e dunque sono. Una certezza che la tecnologia mette in dubbio: i replicanti pensano, si emozionano, amano e si adirano, ma comunque non sono, non vivono di vita propria, non sono creature autonome. I loro ricordi (spesso alimentati dalle fotografie, da cui sono ossessionati) sono generati dall'esterno, imposti.

Così come non si può negare che la forza del film stia in gran parte nell'impatto visivo nel fatto di aver creato un vero e proprio mondo: quella città del futuro, notturna e cupa, sovraffollata e piovosa, illuminata al neon e sviluppata in altezza è entrata nell'immaginario collettivo. Influenzando gran parte del cinema di fantascienza venuto dopo, ma anche altre arti, come l'architettura.

Blade Runner è un'opera che resterà ancora a lungo. E, per citare un'altra frase celebre del film, i suoi ricordi non andranno dispersi come lacrime nella pioggia.

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