I miei occhi hanno visto la tua salvezza: significato e riflessioni
La scena del Vangelo è semplice ma ricca di gioia e bellezza. L'esperienza dello sguardo verso Gesù trasforma, arricchisce e cura, rendendo piena di significato la fatica, le incertezze e le perplessità dell'attesa.
Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d'Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione - e anche a te una spada trafiggerà l'anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui”.
La Chiesa cerca di attualizzare una festa ebraica, un rito che ancora oggi si fa in occasione della nascita di un bambino maschio. Diceva il Vangelo che prima c’è la purificazione della madre e poi la presentazione di Gesù bambino al tempio: è un rito che vuol significare che ogni maschio deve essere riscattato dal Signore, perché è condizionato da un legame con il peccato, con il faraone e bisogna dare una sorta di quota molto modesta per riscattare, per liberare questo bambino da un condizionamento in cui nasce; è come se fosse, appunto, schiavo del faraone.
Mentre questo bambino entra insieme con i genitori al tempio, ci sono due personaggi di nome Simeone ed Anna (che aveva 84 anni) e chissà quanti bambini hanno visto e benedetto, ma quando portano loro Gesù rimangono sorpresi. Possiamo fare un paragone con quando alcune persone sono rimaste contentissime come Simeone e Anna che vedono questo bambino ed hanno avuto una reazione piuttosto sorprendente, ingiustificata. Simeone ed Anna sono stranamente così contenti, perché i bambini sono sempre quelli ed invece loro esprimono un grande entusiasmo.
Questa festa sottolinea non tanto la purificazione di Maria, che sta anche dentro la tradizione ebraica, ma soprattutto il riscatto del primogenito, cioè il riscatto dal faraone! Ogni uomo deve ricordarsi che è stato liberato dal faraone da parte di Dio: si dà una quota, un’elemosina per effettuare questo rito di riscatto, di liberazione; è evidente che è una prefigurazione di un compimento che Israele non conosceva, ma siccome Dio gli aveva detto di fare questo segno (poi vi spiegherò il significato durante i secoli), arriverà un giorno in cui si passerà dalla figura alla realtà, dal simbolo alla cosa concreta; capirete che significa che ogni primogenito deve essere liberato dal faraone.
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La mattina sono stati al Divino Amore ed il padre ha detto a suo figlio: “senti, mi vai a comprare l’Avvenire? Sta laggiù, vedi, dove sono i negozi”. Allora il bambino è andato ed è tornato con una candela. Aveva chiesto l’Avvenire: invece l’Avvenire è Cristo, che è luce! Si può comprare l’avvenire? Uno si può garantire un avvenire felice? No, e invece sì, se trovi la luce giusta. Questo bambino ha fatto una cosa un po’ geniale: è passato dal quotidiano, che sarebbe l’Avvenire, al significato che ha la parola futuro, avvenire, qualcosa di lieto che succederà, e lui l’ha collegato con la luce che è Cristo, come fa la Chiesa.
Ogni uomo nasce sotto il condizionamento del faraone, questo è un modo di parlare figurato che però San Paolo nella lettera agli Ebrei (o l’autore di questa lettera) ci racconta dicendo che “Gesù è venuto a ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere e liberare così quelli che per paura della morte sono soggetti a schiavitù per tutta la vita”. Il faraone sarebbe il demonio, il quale ha un potere ed ha in mano la morte con la quale ci fa provare dolore e ci obbliga ad essere schiavi di noi stessi; la maggioranza di noi, appena dimentica sé stesso, appena vorrebbe smettere di affermare sé stesso, di pensare a sé stesso, avverte un dolore ed è quindi obbligato ad essere egoista, a farsi gli affari suoi. Appena ti rendi conto che stai pensando a qualcun altro che non sei tu, patisci dolore e quindi sei schiavo. Ognuno di noi è schiavo di questo: se dico mezza parola a qualcuno che ferisce il suo “io”, sente dolore e non lo può sopportare; si arrabbia a sua volta perché questo non avvenga più, proprio perché è schiavo del faraone.
Gesù Cristo è venuto non per essere riscattato (ecco perché sono contenti Simeone e Anna) ma perché Lui è il riscatto, il liberatore da questo meccanismo infernale in cui noi siamo obbligati all’egoismo, all’egocentrismo, alla suscettibilità, alla superbia; Lui non deve essere liberato, ma è la liberazione; per questo è luce di un avvenire felice che noi possiamo augurare anche agli altri quando ci avvicineranno: se ti si avvicina una persona che ha qualche problema e tu sei schiavo del faraone, sei schiavo del potere che la morte ha su di te, tu non sopporti nessuno, sono tutti insopportabili.
Anche tutti noi abbiamo bisogno di sognare per noi stessi un avvenire in quanto aperto agli altri, che gli altri si possano riposare all’ombra della nostra esistenza e trovare un po’ di sollievo; ma se incontrano qualcuno che è schiavo del proprio “io”, è una maledizione. In ogni celebrazione vedete che ad un certo punto c’è il pane che si spezza, che si rompe, che muore, che si addolora e questo è bello in Cristo, perché Lui porta la luce che è questa novità che è la risurrezione, la consacrazione all’altro; è la possibilità di essere dimentico di sé, di vivere in una oblatività che è quella di Dio che abita nel cuore dell’uomo.
Questa è la prefigurazione di quello che avverrà durante l’anno liturgico ed è una piccola sintesi di che cosa significa essere riscattato dal peccato; ho cercato di decodificare tutti questi vocaboli perché voi li capiate insieme con me. Siccome ogni battezzato è libero dal potere della morte, anche per voi questo deve essere costantemente attualizzato, perché facilmente abbiamo delle recidive. Non è detto che siccome l’altro anno o la settimana scorsa tu eri bravo, tu non sia nuovamente preda del tuo “io” che si impone, che si irrigidisce, che si chiude, che tiene il punto, che dice “no” e basta; è vero che tu non puoi pensare di essere libero con le tue forze: bisogna venire al tempio, dove arriva Cristo, il quale non ha bisogno del sacerdote per sé stesso, ma è lui il sacerdote che ti libera dal peccato, inteso come condizionamento. La celebrazione odierna si colloca come tempo e come significato tra il Natale e la Pasqua. A Natale veniva nel mondo “la luce vera, quella che illumina ogni uomo”; a Pasqua canteremo: “Cristo luce del mondo”.
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Figure chiave: Simeone e Anna
- Simeone, uomo giusto e pio. L’attesa del Messia: un’attesa carica di novità e di sorprese, un’attesa rivolta non a beni effimeri, ma a realtà definitive.
- Lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito è sempre in azione, nelle persone singole e nelle comunità. Non tocca a noi né seminarlo né svegliarlo, ma soltanto riconoscerlo, poi accoglierlo, assecondarlo, fargli strada e andargli dietro, perché arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi.
- Lo Spirito nella vita della Chiesa. Lo Spirito è il grande attore di ogni evangelizzazione: è lui che dona la forza di proclamare che “Gesù è Signore” (1Cor 12,3), è lui che trasforma i cuori (At 16,14; 17,34) e ci dà la forza necessaria. Queste persone ci riportano alla necessità della vita spirituale, perché come scriveva già nel 1932 Henri Bergson: “Il corpo cresciuto attende un supplemento di anima, e la meccanica esige la mistica”.
In Oriente era la festa dell’incontro; quando arriva in Occidente si esalta il simbolo della luce con la processione e la benedizione delle candele, da qui il termine che usiamo abitualmente: candelora. Festa che viene celebrata anche dalle Chiese ortodosse e da alcune confessioni protestanti, sempre con il medesimo significato: la candela simbolo di Cristo, luce per illuminare le genti, come lo ha chiamato l’anziano Simeone nel tempio di Gerusalemme.
Luca, nel suo Vangelo, ci dice che Maria e Giuseppe, “compiuti i giorni della loro purificazione rituale”, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore, come prevede la legge di Mosè, e per offrire in sacrificio una coppia di tortore. Questo perché ogni primogenito maschio era considerato offerto al Signore e si doveva riscattare con un’offerta.
Papa Francesco, all’Angelus, ripercorre quel momento e ricorda che Simeone e Anna “lodano Dio e parlano del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme”, annunciando così “il compimento delle attese di Israele”: Dio è presente in mezzo al suo popolo, afferma il Papa, “non perché abiti tra quattro mura, ma perché vive come uomo tra gli uomini. Maria, Giuseppe e Gesù, di soli 40 giorni, sono avvicinati dall’anziano Simeone che prende in braccio il bambino e lo chiama “in tre modi bellissimi, che meritano una riflessione” dice Francesco: “Gesù è la salvezza; Gesù è la luce; Gesù è segno di contraddizione”.
Innanzitutto, la salvezza: “i miei occhi hanno visto la tua salvezza preparata da te davanti a tutti i popoli” dice Simeone. Questo ci lascia stupiti, afferma il Papa, “la salvezza universale concentrata in uno solo! Quindi Gesù è “luce per illuminare le genti”; è il “sole che sorge sul mondo”, dice ancora Francesco, per riscattarlo “dalle tenebre del male, del dolore e della morte. Infine, Gesù è segno di contraddizione “affinché siano svelati i pensieri di molti cuori”. Gesù rivela il criterio per giudicare tutta la storia e il suo dramma, e anche la vita di ognuno di noi. E qual è questo criterio?
Giovanni Paolo II ricordava che le parole di Simeone “danno voce all’anelito che percorre la storia dell’umanità. Esprimono l’attesa di Dio, quel desiderio universale, magari inconsapevole, ma ineliminabile, che egli ci venga incontro per renderci partecipi della sua vita.
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Di qui l’appello, “specialmente ai Governanti di fede cristiana, affinché si metta il massimo impegno nei negoziati per porre fine a tutti i conflitti in corso”.
Vorrei guardare le reazioni che queste persone hanno avuto quando incontrarono il giovane Gesù. Chi erano? Perché stavano al tempio? Quale era l’impatto che vedere Gesù per chi era veramente ha avuto sulle loro vite? E mentre guardiamo avanti a un altro anno nella città di Roma, cosa ci insegnano le reazioni di queste persone oggi?
Tre aspetti da considerare
- Avanti con cuori soddisfatti (hai visto Gesù Cristo?)
- Avanti con menti calme (ti fidi di Lui?)
- Avanti con bocche aperte (proclamerai il Suo nome?)
1. Avanti con cuori soddisfatti
La prima persona a cui vogliamo guardare è Simeone. Simeone fu un uomo saggio. Come Abramo, era un uomo giusto, perché come Abramo, si fidava delle promesse di Dio. Questo è il motivo per cui aspettava nelle aree esterne del tempio. Perciò qui c’è Simeone, un uomo giusto e timorato di Dio che era guidato dallo Spirito Santo a un posto in cui stava aspettando la consolazione d’Israele.
La parola consolazione qui significa conforto, significa speranza. Simeone stava aspettando la speranza d’Israele, la venuta del Messia e del Re d’Israele. Simeone ha visto la SALVEZZA e la SPERANZA che fu promesso ad Abramo secoli prima, nella persona di Gesù, e benedisse Dio. Simeone ha visto Dio al lavoro.
Quando credi in Dio, e sei guidato dal Suo Spirito Santo, riconoscerai Dio all’opera intorno a te. Fratelli e Sorelle, dove riconosciamo Dio al lavoro dentro e intorno a noi? Come Simeone, quando crediamo alla Parola di Dio, e quando siamo guidati dallo Spirito Santo, riconosceremo Dio al lavoro dentro e intorno a noi, e noi benediremo il Signore in mezzo alle nazioni che si riuniscono in questa città.
Siamo guidati dallo Spirito? Siamo pieni di pace in mezzo al caos? O siamo insoddisfatti, mettendo in discussione la chiamata e le opere di Dio qui? La vera soddisfazione si trova quando riconosci Cristo per chi è e per quello che ha fatto. Simeone proclamava: la Salvezza è qui! Lo vedo! Sono contento! Gloria a Dio! L’hai visto tu?
2. Avanti con menti calme
Dice che Giuseppe e Maria si meravigliarono di ciò che era stato loro riferito su Gesù. Forse Giuseppe e Maria si meravigliarono perché la profezia di Simeone rivelava una nuova dimensione del ministero di Gesù, una che prima non era stato loro rivelato. Dal momento in cui l’angelo Gabriele annunciò il piano di Dio a Maria, si fidava di Dio. Fino a questo momento in cui stavano portando Gesù al tempio, Giuseppe e Maria si erano fidati di Dio. Lo sappiamo perché vivevano vite fedeli di ubbidienza a Dio. Questo è il motivo intero per cui stavano portando Gesù al tempio, per ubbidire la legge di Dio nel dedicare il loro figlio primogenito a Dio, e per offrire un sacrificio per i peccati di Maria e per la sua purificazione. Si, anche Maria aveva bisogno di un salvatore.
La Scrittura dice che Simeone li benedì entrambi, ma poi si girò verso Maria e disse… “Ecco, egli è posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele, come segno di contraddizione (e a te stessa una spada trafiggerà l’anima), affinché i pensieri di molti cuori siano svelati”.
Dio stava parlando attraverso Simeone dicendo che alcune persone vedranno Gesù e si opporranno a Lui (Gesù e la pietra d’intoppo e un sasso d’inciampo…). Perché? Perché il ministero di Gesù rivela i pensieri dei cuori delle persone. Essendo la salvezza di Dio e l’espressione della volontà di Dio, la nostra reazione a Gesù rivela la nostra reazione a Dio.
Amici, persone intorno a tutto il mondo hanno appena celebrato la nascita di questo Gesù. La venuta del salvatore di Dio che avrebbe portato pace e gioia a un mondo sperduto al buio. Lo ha fatto! Noi ne cantiamo! È venuto a dare gioia a chi ha il cuore spezzato! Pace sulla terra! Gioia il mondo! Ma lo ha fatto venendo qui per morire una morte terribile, una morte che non si meritava. Una morte che ogni persona che abbia mai vissuto si meritava, perché abbiamo tutti peccato contro Dio. Vedete, la venuta di Gesù rivela il bisogno disperato di ogni cuore umano --- salvezza dalla nostra peccaminosità.
Ti pentiresti dei tuoi peccati e ti fideresti di Gesù per salvarti? Solo allora sperimenterai la pace e la gioia nel tuo cuore. Non ti promette che la vita sarà facile, infatti, sarà più difficile. Ma Lui ci permette il perdono dei peccati e una speranza eterna che rende fruttuosa ogni lotta. Ti fiderai di Lui, come hanno fatto Giuseppe e Maria?
Dio aveva rivelato che essere i genitori di Gesù non sarebbe stato facile. Allora, Giuseppe e Maria erano stati lasciati con la decisione di continuare a fidarsi di Dio o meno. Invece di arrendersi, dice che continuarono ad ubbidire Dio. Il versetto 39 ci dice che… “Com’ebbero adempiuto tutte le prescrizioni della legge del Signore, tornarono in Galilea, a Nazaret, loro città.”
3. Avanti con bocche aperte
Questo ci porta all’ultimo personaggio in questa storia, la profetessa Anna. Qui troviamo la seconda testimonianza profetica in questa sezione del Vangelo di Luca. Questa sezione è breve, però ci mostra la vita di una donna fedele a Dio... I miei occhi sono allora quelli di Simeone e nell’uomo giusto Simeone c’è tutto il popolo giusto di Dio che attende e che adesso può vedere. Sono gli occhi Di Simeone, sono gli occhi del popolo giusto ma sono ancora gli occhi della profetessa Anna, (favore - grazia di Dio) figlia di Fanuele (volto di Dio) della tribù di Aser (buona fortuna) che ha per grazia di Dio la buona fortuna di vedere il volto di Dio. Ed Anna è una profetessa, molto avanzata negli anni e rimasta vedova fin dalla giovinezza abita il tempio perché ha perso lo sposo e vive una vita vuota, lontana dal volto del suo sposo.
E con gli occhi di Anna ha visto ancora una volta tutto il popolo d’Israele, anziano anche lui come anziana è Anna, ed attende da tanto tempo che gli occhi possano vedere. Ma perché gli occhi possono vedere? Perché è sorta la luce, la salvezza è luce. Gesù è la salvezza ed è lui la luce che permette agli occhi di vedere. Domenica la celebrazione eucaristica ha inizio con la luce dei ceri con cui andiamo incontro al Signore.
Di chi è la salvezza? Nell’Apocalisse leggiamo: La salvezza appartiene al nostro Dio e all’agnello il cui fianco sarà trafitto da una spada. È innanzitutto ciò che vivrà Maria ai piedi della Croce quando il soldato trafigge il cuore di Gesù. Ed ancora è la spada che è la Parola di Dio, il Verbo stesso incarnato, che è posta per la caduta e la risurrezione di molti. Vale anche per Maria non perché è afferrata dal dubbio sul proprio figlio, quanto piuttosto perché dovrà imparare a considerarsi madre del Figlio di Dio, la beata non perché dà alla luce ma perché ascolta la Parola di Dio.
Luca ci racconta che Maria va al tempio per adempiere alla purificazione e per offrire al Signore il suo primogenito. Ma era necessario che Maria andasse al tempio per la purificazione? Luca sa bene che Maria è la piena, la prescelta, ce lo ha raccontato lui stesso raccontandoci dell’annunzio dell’angelo Gabriele? È necessario portare il Bambino al Tempio?
Maria e Giuseppe portano il Bambino al tempio perché egli stesso possa purificare non la Madre ma colei di cui ella è segno: è il popolo di dio, la sposa del Signore, che deve essere purificata. Adesso tocca a noi seguire Simeone e lasciarci muovere dallo Spirito per abbracciare e benedire Gesù, la salvezza che i nostri occhi vedono.
Quando vedono la salvezza? Oggi, nel tuo quotidiano impara a vedere la salvezza. La chiesa ogni sera ci fa pregare: Ora lascia o Signore… perché i miei occhi hanno visto la salvezza. Impariamo la sera a chiederci: durante il giorno ho incontrato la salvezza? Lodiamo il Signore e parliamo del bambino a quanti aspettano la redenzione.
La festa della presentazione di Gesù al tempio è una festa di luce. Non a caso viene chiamata popolarmente Candelora e trova origine in fiaccolate che nei tempi antichi illuminavano la notte. «Luce per illuminare le genti» esclama il vecchio Simeone nella lettura odierna del Vangelo, parlando della salvezza di Dio manifestata in un bambino portato da Maria e Giuseppe al tempio di Gerusalemme per la circoncisione, come prescritto dalla Torah.
È del tutto opportuna questa festa oggi, in un momento dove tutti cerchiamo un raggio di luce nelle tenebre dell’arroganza e della violenza fisica e verbale che regnano sovrane, in un tempo in cui - almeno in occidente - le istituzioni civili, sociali ed ecclesiali sono in declino.
Il vecchio Simeone viene presentato dall’evangelista come un uomo giusto e pio che aspettava la consolazione di Israele, il momento dell’intervento divino annunciato dal profeta Michea. E con lui c’era una donna, vedova, che serviva con preghiere e digiuni Dio, notte e giorno. Simeone ed Anna non appartengono agli apparati di potere, ma agli ’anawîm, i poveri di Jhwh, invisibili agli occhi del mondo, ma autentici e grandi davanti a Dio.
Tutti i personaggi dei racconti lucani rientrano in questo mistero di Dio che non si è pentito della creazione perché questo mondo - di cui Dio non si è pentito - ha bisogno di salvezza.
Simeone prende tra le sue braccia il bambino ed esclama: “i miei occhi oggi hanno visto la tua salvezza”. È il quarto e ultimo cantico di questi primi capitoli lucani (dopo il Magnificat, il Benedictus e il Gloria), quasi a dire che la salvezza è un canto e avviene perché l’essere umano impari a cantare. L’oggi della salvezza ha in Luca uno spessore umano e universale: “oggi vi è nato un salvatore” viene annunciato ai pastori; “oggi la salvezza è entrata in questa casa” dirà Gesù nella casa di un peccatore; “oggi sarai con me in paradiso” sarà una delle ultime parole rivolte a un malfattore condannato sulla croce. A significare che la cristologia lucana è impregnata di soteriologia.
Prendere in braccio quel bambino significa prendere in braccio la salvezza di Dio, che in Luca assume caratteri tangibili e universali: tangibili perché il Dio lucano è un Dio che nutre sentimenti, si commuove, prova gioia e tristezza… Universali perché l’abbraccio non esclude nessuno. Non a caso Luca, nella genealogia, risale fino ad Adamo, mentre Matteo risale fino ad Abramo. Certamente Abramo è benedizione per tutte le genti, ma per Luca è importante l’essere umano nella sua concretezza e nella sua corporeità, che esprime interiorità.
La salvezza non è tale se non varca la soglia dell’«io» per incontrare un «tu». Non ci si salva da soli! Luca mette in evidenza questa strutturante proprietà della salvezza soprattutto nel momento supremo della morte.
A Gesù crocifisso viene rivolto per tre volte l’invito a «salvare se stesso». «Salva te stesso» viene gridato dai capi del popolo, dai soldati e da uno dei crocifissi con lui. Gesù non risponde e rimane solidale con Dio e con l’uomo. Luca ci ricorda che la salvezza è solidarietà.
Oggi come ieri, si creano confini che dividono il mondo in ricchi, intelligenti e capaci, e poveri, inetti e maledetti. La salvezza di Dio non appartiene agli oligarchi, ma a Simeone ed Anna, Elisabetta e Maria, Giuseppe e Zaccaria, gli ’anawîm Jhwh, esseri umani che credono e sperano. Un potere narcisista e autocrate, che costruisce la salvezza solo per sé, senza degnare di uno sguardo le pietre scartate, è un potere che va in rovina.
La Chiesa sospende il ciclo domenicale per farci celebrare la festa liturgica della Presentazione del Signore, un evento dell’infanzia di Gesù che ci aiuta ad entrare nel mistero della sua Persona, guidati dalla viva testimonianza di due persone anziane privilegiate: il vecchio Simeone, uomo pieno dello Spirito di Dio e la profetessa Anna.
Mentre Maria e Giuseppe compiono con devozione tutte le prescrizioni della Legge, ecco che entra nel Tempio un uomo venerando, di nome Simeone, che viene presentato come “uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore”.
Egli ha visto con i suoi occhi la salvezza, presente in quel bambino, il cui nome, Gesù, significa “Dio Salva”. E la visione di Simeone non si ferma ai confini d’Israele, ma spazia verso gli orizzonti sconfinati di tutti i popoli della terra, ai quali è destinata la salvezza, a partire da Israele.
Le parole di Simeone sono pura Parola di Dio, raffinata al fuoco dello Spirito, per cui colmano di stupore i genitori, che non ne colgono lì per lì tutto il significato. Gli uomini saranno chiamati a prendere una decisione: con lui o contro di Lui. Non c’è una terza via.
Quel giorno, nel Tempio, c’è un’altra presenza significativa e di certo non casuale. Si tratta di Anna, la profetessa, una donna anziana, che ha conosciuto la sofferenza, ma che ha consacrato la sua vita al servizio di Dio, aspettando anche lei la redenzione d’Israele.
I suoi occhi stavano contemplando il Messia di Dio, ma questo non era un annunzio che poteva tenere per se stessa. Lo stesso Spirito metteva nelle sue labbra le parole adatte per parlare di Lui ed animare la speranza dei poveri d’Israele, che avevano sospirato quel giorno ed ora potevano celebrare con gioia le misericordie del Signore.
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