Mary Oliver: Un Viaggio nell'Anima e nella Natura
Negli ultimi anni del Novecento, negli Stati Uniti e in altri paesi anglofoni, si è sviluppato un movimento poetico ispirato a tematiche ecologiche.
È in questo filone che troviamo Mary Oliver, la poeta nata nel 1935 vicino a Cleveland, nell’Ohio, che ci accompagnerà in queste domeniche.
Mary Oliver è una degli ecopoeti più importanti degli Stati Uniti.
Nata nel 1935 a Maple Heights, un sobborgo semi-rurale di Cleveland, Ohio, ha cominciato a scrivere poesia da adolescente.
Mary Oliver, che ha iniziato a scrivere ancora adolescente, era affascinata da quello che vedeva.
Leggi anche: Guida all'acquisto di borse comode da viaggio
Ha condotto una vita molto semplice per oltre quarant’anni in Massachusetts, nella penisola di Cape Cod, insieme alla sua compagna, la fotografa Molly Malone Cook.
Si alzava la mattina presto e andava a passeggiare in compagnia di un piccolo quaderno in cui annotava ogni cosa che incontrava e che la ispirava: alberi, fiori, animali, stagni.
La libertà nelle occupazioni e nello stile di vita è stata una sua costante: a casa Millay conosce la fotografa Molly Malone Cook, della quale si innamora istantaneamente e con la quale condividerà quattro decenni della sua vita, stabilendosi a Provincetown, su Cape Cod, in quella “convergenza di terra e acqua, di luce mediterranea, di pescatori che si guadagnano la vita con un lavoro difficile e duro su barche spaventosamente piccole, e degli artisti e scrittori che vi risiedono o la visitano”.
Altre scommesse con il destino si rivelano vincenti: Oliver frequenta la Ohio State University e il Vassar College senza mai laurearsi, e finisce - come ogni buon poeta americano - a insegnare in vari college e università, conquistandosi per titoli artistici una cattedra presso il Bennington College, dove resterà fino al 2001.
Allo stesso modo - e al modo di Emily Dickinson, che conosceva bene - sembra rifuggire la fama per esserne inseguita.
Leggi anche: "I Viaggi di Gulliver": Analisi del romanzo
Ricordo ancora la delusione - che si tramutò nella gratitudine per un prezioso insegnamento - che provai quando rispose alla mia richiesta di concedermi un’intervista con un cordiale diniego, motivato dalla ragione che “avrebbe tolto tempo al lavoro vero”, evidentemente quello della scrittura.
Eppure, nonostante sia stata a lungo guardata con sospetto dai critici letterari, che non amano la poesia apparentemente troppo facile da comprendere, a cominciare dalla sua quinta raccolta, American Primitive, uscita nel 1983, e vincitrice, l’anno successivo, del prestigioso Pulitzer Prize, Oliver ha sempre goduto di un enorme successo presso il pubblico, tanto da essere definita dal New York Times “di gran lunga il poeta americano più venduto”.
Riservata e appartata, dunque, Oliver ha tratto ispirazione dalle sue passeggiate sul Cape, i “rambles” di tanta scrittura della natura americana, a partire da Henry David Thoreau, che è uno dei suoi modelli più forti, insieme a Ralph Waldo Emerson, Walt Whitman, Marianne Moore, Elizabeth Bishop, e la già citata Millay.
In quello che è stato variamente definito come un “misticismo pragmatico”, o “ecocentrico”, e un “panteismo ecologico”, Oliver ha scritto un innario di lode alle creature naturali in cui la tentazione della fusione nasce dal sentimento della co-estensione, fisica, del proprio corpo, con il loro e si arresta sulla soglia dell’indistinzione.
Pensatrice lucida e rigorosa, infatti, Oliver non cede all’illusione dell’identità con il non-umano ma rivendica la possibilità di considerarne le radici in larga parte comuni nell’esperienza biologica e cognitiva.
Leggi anche: Esplorare il Messico: cosa sapere
È così che, in White Flowers (Fiori bianchi), rappresenta la propria metamorfosi in un vegetale, immaginando il punto in cui il suo corpo termina e cominciano le radici, gli steli, i fiori.
Si sente “vellutata”, “scivolosa”, “risplendentemente vuota”.
In The Sea (Il mare), esprime la nostalgia per le proprie origini nelle stesse origini del mondo, in questo caso il “grembo materno” del mare, una “casa dei sogni” di sale ed esercizio fisico, un altro corpo, più grande, che è una “genesi risucchiante”.
In nome dell’interezza dell’essere umano, infatti - e di quello non-umano - Oliver ha in primo luogo negato la posizione “specista” dei teorici della “questione animale” e cioè del dibattito sulla presunta superiorità dell’uomo basata, da Cartesio in poi, sulla sua supposta prerogativa del linguaggio e della ragione logica.
I modi di espressione degli uccelli, nella raccolta Owls (2006), così come quelli dei cani, in Dog Songs (2013), se ascoltati con un’attenzione coinvolta si dimostrano codici semiotici che la biosemiotica ha ormai sdoganato, come testimonia la rapsodia notturna di Percy.
Alla ragione puramente logica Oliver sostituisce, come unico reale tratto distintivo della “specie” umana, l’immaginazione, che paradossalmente volge allo scopo di valicare il divario tra specie, in un “salto” cognitivo che solo gli esseri umani possono effettuare per avvicinarsi, appunto, alla coscienza degli “altri della terra”.
Le oche selvatiche ci insegnano che il mondo si offre alla nostra immaginazione e che dobbiamo soltanto lasciare che il “tenero animale” del nostro corpo ami ciò che ama: la conoscenza partecipativa, che passa in primo luogo dai sensi ed è una forma di amore, di adesione alla vita - il “fuoco bianco” che arde in tante poesie di Oliver.
Nessuno riuscirebbe a pensare, senza avere prima vissuto tra le cose viventi.
Ed è la percezione intensa, concentrata, dell’intento di morte degli uccelli predatori che fa pensare a Oliver che perfino dare la morte, nella logica istintuale della natura, è una forma di vita.
Ne sono l’esempio più soggiogante gli owls (gufo, civetta, allocco), “i cacciatori puri, selvaggi, del nostro mondo”, il cui grido non è quello della preda, che è di dolore, disperazione e paura, ma della “pura gloria esultante del portatore di morte”, che è ancora più terribile e lascia la poeta sull’orlo del mistero, “dove il terrore è naturalmente e abbondantemente parte della vita”.
Oliver non si rifiuta mai di vedere “l’inarrestabile/ rovina” delle cose, ma continua a volere “essere abbagliata” dal fuoco bianco del loro mistero, perché “la luce è tutto” (The Ponds, Gli stagni).
Eppure il vangelo ecocentrico della mistica del Cape è un messaggio oggi indispensabile, che il pubblico degli Stati Uniti ha accolto con entusiasmo.
Mary Oliver ci ha lasciati il 17 gennaio del 2019, a 83 anni, nella sua casa a Hobe Sound, in Florida, dove si era trasferita dopo avere abbandonato, in seguito alla scomparsa di Molly, quella che per lungo tempo aveva condiviso con lei.
"Il Viaggio": Una Poesia di Trasformazione
“Il viaggio” (in originale “The Journey”) è una poesia di trasformazione, e come tutte quelle scritte da Oliver, è uno specchio dove puoi vedere riflessa la tua stessa storia.
“Il viaggio” cattura il momento nel quale hai il coraggio di prendere il tuo cuore in mano e camminare attraverso un muro invisibile dentro ad una nuova vita.
Non conosciamo la storia personale che ha portato Mary Oliver alla verità di questa poesia, ma quello che le importa, ha affermato in una delle sue rare interviste, è che la poesia inviti i lettori a trovare se stessi e le loro proprie esperienze.
“The Journey” è apparsa per la prima volta nella raccolta Dream Works del 1986.
In una recensione scritta per The Nation, Alicia Ostriker sottolineava che Oliver è «visionaria quanto Emerson(2)».
Quella lettura mi fece rizzare i capelli, confermando che tutto ciò che era appena accaduto nella mia vita era giusto.
Invece di una decisione era piuttosto il riconoscimento di qualcosa per cui era venuta l’ora.
Tutto doveva cambiare, e l’ora era adesso.
“Uno di questi giorni” prima o poi arriva; succede al di fuori del tempo ordinario.
Cade in picchiata attraverso vie laterali, da una prospettiva imprevista, e come la rondine è foriero di cose nuove, nuovi livelli di pensiero.
Forse tutto questo sembra un po’ drammatico, un gesto esagerato per il tipo di vita che conduce la maggior parte di noi, eppure allora non sembrava per nulla drammatico: era l’unica cosa da fare.
La poesia potrebbe sembrare anch’essa drammatica e farti pensare che sia stata di sicuro scritta per qualcun altro, non per te, non per il tuo tran tran.
Non esserne così sicuro.
Credo che la poesia di Mary Oliver possa parlare a tutti, in qualsiasi punto del loro viaggio si trovino.
Cambiamenti profondi e significativi possono avvenire attraverso il più piccolo gesto, apparentemente insignificante.
Se sei nel posto giusto e leggi questa poesia al momento giusto, potrebbe essere la spinta della quale hai bisogno per cadere a capofitto nella nuova vita che ti stava aspettando da tempo.
Forse è solo necessario guardare in su anziché in giù, ma in quella variazione di orientamento l’intero mondo può cambiare.
Tutto dipende da quel primo passo; non basta sapere, bisogna iniziare.
La poesia di Mary Oliver inizia con questo richiamo preciso; il tempo delle discussioni e considerazioni è finito.
Nel mio caso, c’è voluto tanto tempo per essere pronto.
Il guscio della mia vita doveva essere ammorbidito e rotto prima che quel momento di verità apparisse; avevo bisogno di essere reso umile, cucinato nelle lacrime della sconfitta, perché permettessi alla vita più profonda di emergere.
Fu il fallimento della mia relazione amorosa che diede il fuoco necessario.
Ci volevamo ancora bene, ma le nostre vite si muovevano in direzioni opposte e non avevamo nessuna possibilità di fermare l’allontanamento.