Albergo Atene Riccione

 

Il significato di "non ancora libero dal dominio straniero" nella storia del liberalismo italiano

Il termine «libertà» ha una natura intrinsecamente proteiforme, in quanto, fin dalle sue prime attestazioni nella civiltà occidentale mostra di avere un «nucleo» di significato specifico ma appare, nel contempo, in grado di adattarsi alle circostanze storiche e al contesto politico di un’epoca. Questo «nucleo» semantico specifico è ben individuato attraverso una serie di contrapposizioni: la libertà personale è l’opposto della condizione servile, la schiavitù; la libertà politica è l’opposto del dispotismo e della tirannide; essere libero è l’opposto di essere costretto o impedito.

Accanto a questo nucleo fisso, il concetto di libertà si sostanzia attraverso gli ideali e i valori di ogni singola epoca, per cui la libertà delle poleis greche del VI-V secolo a.C. Non dissimile appare la situazione quando si esamina il significato del termine «libertà» nella storia del liberalismo italiano: esso appare legato, da un lato, a questa lunga tradizione tipica del pensiero politico occidentale e, dall’altro, mostra di essere intrinsecamente connesso con gli ideali e le battaglie dell’epoca.

È opportuno, pertanto, procedere a una periodizzazione che permetta di individuare le specificità semantiche legate ai diversi contesti. Si vede, così, che i grandi tornanti storici che sostanziano il concetto di libertà degli scrittori liberali italiani sono costituiti, in primo luogo, dalla contrapposizione culturale e politica tra intellettuali conservatori e reazionari (i «codini») e intellettuali «liberali» (ispirati, tra l’altro, dagli ideali romantici di patriottismo) nell’immediato seguito del congresso di Vienna (1815) e della restaurazione; dalla lotta per l’unità politica dell’Italia (il Risorgimento in tutte le sue fasi, dal 1848 al 1860) contro lo straniero (in tutte le sue guise) in nome dell’affermazione dell’ideale nazionale; l’edificazione dello Stato unitario e i suoi ideali post-risorgimentali (dal 1860 al 1914); dall’opposizione - teorica e pratica - al fascismo (1919-1945); dalla difesa della democrazia liberale e del liberismo economico e dal tentativo di creare una cultura liberale nel secondo dopoguerra in opposizione al marxismo e all’influenza della Chiesa cattolica.

Nel tracciare una rapida storia del concetto di libertà nel liberalismo italiano occorre sottolineare, infine, come il liberalismo abbia rappresentato un filone politico e culturale minoritario, nonostante i successi politici dei liberali «classici» nella guida dell’Italia unita (come Cavour e Giolitti) e nonostante la statura internazionale di alcuni suoi esponenti (come Croce).

Un’ultima precisazione: la ricchezza e peculiarità, insieme, del liberalismo italiano emerge con chiarezza solo esaminando la varietà delle sue fonti ideologiche e culturali. Ha quindi senso, in quest’ottica, sottolineare l’importanza che le generazioni successive riconoscono alla figura di Vittorio Alfieri, il quale dedica «Alla libertà» la sua opera Della tirannide in due libri (1777) e vi mette in exergo una citazione dalla Guerra Giugurtina di Sallustio che esalta la libera Roma repubblicana. Tutta l’opera di Alfieri è pervasa da questo anelito di libertà, ispirata alla contrapposizione classica tra la schiavitù indotta da un regime oppressivo e la libertà repubblicana e i suoi benefici: il suo augurio è che, liberata dai tiranni, l’Italia sarà in grado di creare nuovamente «liberi e virtuosi uomini».

Leggi anche: Diritti e tutele degli stranieri

Non meno influente è la forte vena patriottica, ancora più passionale e pertanto dotata di potente attrattiva per le giovani generazioni, che ispira i saggi e le poesie di Ugo Foscolo, il quale visse e morì da esule a testimonianza dei sacrifici che l’amor di libertà talvolta richiede. Foscolo seppe dar voce agli ideali dei giovani italiani entusiasmati dalle promesse di libertà, eguaglianza, fraternità di Napoleone e poi traditi nelle loro aspettative e costretti a un duro bagno di Realpolitik dal trattato di Campoformido (1797). Né meno importante, anche se declinato unicamente sul piano letterario e distante dall’effettiva lotta politica, è l’ardore patriottico di libertà che informa tanti scritti di Giacomo Leopardi, dove forma poetica arcaica e contenuto romantico convivono in un’unione che è alla base del loro fascino.

Così, le poesie All’Italia e Sopra il monumento di Dante celebrano le lotte antiche per la libertà e, sebbene in forme letterarie ancora petrarchesche, incitano a liberare l’Italia dal dominio straniero. Commentando sconsolato questo secondo canto nello Zibaldone,Leopardi affermava: «Miseri! Noi andiamo ogni dì memorando la libertà e la gloria degli avi, le quali tanto più splendono quanto più scoprono la nostra abbietta schiavitù». E sempre nello Zibaldone,Leopardi attribuiva l’estinzione dell’originalità e della facoltà creatrice italiana alla perdita della libertà e al passaggio dalla forma repubblicana a quella monarchica.

Leopardi è uno degli autori che partecipò, su posizioni romantiche, all’accesa discussione di inizio Ottocento (1816-1821) sulla necessità o meno di «svecchiare» la cultura e la poesia italiane attraverso l’importazione di modelli letterari stranieri (secondo la tesi di Madame de Stael). Occorre ricordare che questa non fu solamente una polemica letteraria ma anche politica, perché la lotta contro le regole classiche o l’uso della mitologia aveva come controparte politica la lotta contro l’ancien regime e la restaurazione, di cui il dominio austriaco in Italia era l’immagine.

Giuseppe Mazzini e la visione morale della libertà

È impossibile sottovalutare l’importanza ideale e politica, non solamente in Italia ma in tutta Europa, dell’opera di Giuseppe Mazzini. La sua visione della libertà è assai articolata ma poggia fondamentalmente su di una solida base morale: la libertà e il libero arbitrio sono le precondizioni dell’azione morale e di quella «legge del Dovere» che costituisce il maggiore contributo filosofico-politico di Mazzini; libertà civile e responsabilità morale si intrecciano, poi, fino a formare una sorta di «religione» laica, peraltro estremamente attenta e rispettosa della libertà di coscienza e di religione. Queste sono parti delle libertà dell’uomo che gli Stati devono riconoscere ai propri cittadini, non inferiori a quelle più tipicamente politiche come la libertà di manifestazione del pensiero, di stampa, di associazione o di commercio.

La libertà è, così, innanzitutto un valore e quindi un mezzo, in quanto motrice del progresso umano. Già nell’Atto di fratellanza della Giovine Europa (1834), fedele al principio secondo cui «le grandi rivoluzioni si compiono più coi principii, che colle baionette», Mazzini indicava nei valori di libertà, eguaglianza e umanità le guide dell’associazione per il progresso dei diversi paesi, per un avvenire di libertà, uguaglianza e fraternità. La libertà era da lui intesa come diritto di ogni uomo di esercitare senza ostacoli e restrizioni le proprie facoltà nello sviluppo della propria missione speciale (Statuto della Giovine Europa, 1834). Storicamente, Mazzini identifica la libertà con la Grecia, che sconfisse l’immobile Oriente, e con Roma, e l’uguaglianza con il Cristianesimo, che proclamò l’unità del genere umano (Dell’iniziativa rivoluzionaria in Europa, 1834).

Leggi anche: Analisi approfondita del termine "Straniero"

Dopo la Dichiarazione dei diritti dell’uomo della Rivoluzione francese egli è indotto a vedere libertà ed eguaglianza come elementi della natura umana, anche se è fortemente critico di Napoleone e del suo tentativo di imporre «la libertà cogli eserciti, com’altri impone tirannide»: i diritti individuali reclamati dai rivoluzionari francesi devono essere integrati dal primato del dovere che ogni uomo ha verso l’umanità intera, un dovere di fratellanza e di associazione tra liberi ed eguali. Ogni ineguaglianza, infatti, pone un impedimento alla libertà, e questo vale sia all’interno delle nazioni sia nei rapporti tra popoli. Mazzini è contrario, poi, all’odio generico per la tirannide e all’«amore vago» per la libertà; il suo pensiero e la sua associazione politica si pongono scopi precisi, obiettivi pratici da raggiungere, attraverso l’attività politica e culturale.

Cavour e la monarchia costituzionale

L’altra grande figura che, assieme a quella di Mazzini, si staglia nel liberalismo italiano dell’Ottocento è quella di Cavour. Egli era però un convinto sostenitore della superiorità della monarchia costituzionale su ogni forma di repubblica, per la quale il popolo non era a suo avviso ancora pronto; si augurava, tuttavia, che il proprio secolo avrebbe brillato proprio per l’educazione impartita al popolo, pre-requisito del suffragio universale. Sebbene fosse convinto del ruolo politico dell’aristocrazia, Cavour era ben conscio che l’eguaglianza dei diritti non avrebbe fatto cessare l’ineguaglianza delle condizioni economiche e pertanto riteneva che l’aristocrazia al governo dovesse adoperarsi per migliorare la situazione del popolo e prevenire così una rivoluzione sociale.

Nei suoi discorsi emerge una difesa della libertà come indipendenza dal dominio straniero, che richiede anche una specifica forma parlamentare che preveda la limitazione dei poteri dello Stato, la tutela dell’individuo, l’indipendenza di Stato e Chiesa nella convinzione, tuttavia, che il cattolicesimo non fosse inconciliabile con la libertà. Cavour si batté per l’abolizione del foro ecclesiastico in nome dell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e a favore del matrimonio civile, che a suo avviso non avrebbe avuto effetto sul sentimento religioso.

Garibaldi: l'apostolo della liberazione

Assieme a Cavour e Mazzini, sebbene spesso in contrasto con il primo, Giuseppe Garibaldi viene a ragione considerato uno degli «apostoli» della liberazione dell’Italia dallo straniero e della sua riunificazione, nonché la bandiera della libertà, dell’unità e dell’indipendenza italiana. Nelle sue azioni e nelle sue opere egli appare ispirato dagli ideali di libertà di Mazzini, che cercò di tradurre in pratica nelle sue imprese e di propagare attraverso lo strumento del romanzo storico. Con grande candore egli afferma nella prefazione a uno di essi che i suoi romanzi hanno lo scopo di trasmettere ai lettori l’ideale politico che lo ha guidato, oltre a mirare a ricordare figure di eroi della libertà a volte rimasti sconosciuti ai più e, da ultimo, a «ritrarre un onesto lucro dal mio lavoro» (Cantoni il volontario, 1870).

Francesco De Sanctis e la libertà post-risorgimentale

Protagonista delle lotte risorgimentali, uomo politico e fine letterato, Francesco De Sanctis, in un clima culturale ormai post-risorgimentale, individua nei Comuni medievali la libertà italiana, una libertà concreta e non sentimentale o astratta come ai suoi tempi, perché essi avevano costretto i nobili «a soggiacere al diritto comune». Persuaso che il realismo sia l’educatore dell’ideale, egli fu autore di una Storia della letteratura italiana (1870-1) ispirata agli ideali di libertà e democrazia: la letteratura è per lui formazione e manifestazione dello spirito nazionale, esplicitazione del suo cammino verso la libertà e la virtù. In questo senso De Sanctis interpreta la Divina Commedia, e l’ascesa dall’inferno al paradiso,come un passaggio dalla «tirannia della carne» alla «libertà dello spirito»: il paradiso è «il regno dello spirito, venuto a libertà, emancipato dalla carne o dal senso».

Leggi anche: Documenti necessari per sposarsi in Italia se sei straniero

De Sanctis ritiene che l’entusiasmo per la libertà non sia più sufficiente nella sua epoca ma siano ora necessarie la scienza e l’educazione politica. In Scienza e vita (1872) afferma infatti che «la scienza ha prodotto presso di noi due grandi cose, l’unità della patria e la libertà». Egli vede nella «differenza di idee direttive» che produce i partiti politici la base dell’«onesta libertà» italiana e nelle associazioni politiche e nella libera stampa la difesa della libertà stessa.

Marco Minghetti e la libertà temperata

L’uomo politico bolognese Marco Minghetti non disdegnava affatto le questioni filosofiche pure: la verità è per lui un possesso comune di tutta l’umanità (perché tutti gli uomini sono stati creati uguali) e consiste nel «pieno possesso e uso di tutte le facoltà proprie a raggiungere il fine: cioè la verità, la virtù, la felicità». Rinviene la libertà umana nello spazio tra l’interesse e la virtù: si tratta di un fatto primitivo, incentrato sul nostro libero arbitrio. Libertà è «il potere di ogni uomo di fare ciò che non offende la morale, e il diritto altrui» (Della economia pubblica e della sua attinenza colla morale e con il diritto, 1868). La libertà va temperata da condizioni morali, altrimenti anche i provvedimenti giuridici e le restrizioni risultano inefficaci. «Libertà sotto l’impero del giusto e dell’onesto».

Minghetti ritiene che la libertà economica sia una conseguenza della libertà giuridica È persuaso che la libertà favorisca il progresso della ricchezza e viceversa: «e mentre la libertà giova mirabilmente alla prosperità pubblica, la prosperità pubblica è stimolo e avviamento inverso la libertà»; e aggiunge: «Sotto la scorta della morale e del diritto» la libertà dell’industria e dei traffici si tramuterà prima o poi in libertà politica.

Il contributo del pensiero cattolico

Non va trascurato l’apporto, sia teorico sia pratico, a un ampliamento e ad una maggiore definizione dell’idea di libertà offerto dal pensiero cattolico italiano nell’Ottocento e nel Novecento. Autori come Alessandro Manzoni (il quale, giovanissimo, scrisse un poema Del trionfo della libertà che verrà pubblicato postumo nel 1878), Niccolò Tommaseo, Vincenzo Gioberti e Antonio Rosmini sono stati sostenitori dello Stato liberale e degli ideali risorgimentali che lo hanno accompagnato, inclusa la fine del potere temporale dei Papi, pur nelle loro inevitabili contraddizioni. Manzoni ha una posizione di particolare rilievo sia per l’eco suscitata dalle sue opere di impegno civile (come l’ode Marzo 1821 e la tragedia Adelchi, 1822) sia per l’apporto dato all’unificazione linguistica dell’Italia e alla creazione di un primo romanzo nazionale in lingua italiana con I promessi sposi (1840).

Vincenzo Gioberti, nel suo Del primato morale e civile degli Italiani (1843), spera in un’alleanza tra religione e libertà, una libertà ordinata e legittima; che la Chiesa si faccia promotrice di una «libertà santa e italiana», contro il giogo della servitù straniera ma anche contro la «libertà licenziosa e sacrilega» (come quella della Francia rivoluzionaria). Libertà dello stato sotto l’indirizzo spirituale della Chiesa, che ritorna così alla sua funzione di guida delle anime. Vede la libertà nel mondo dalla separazione tra principato e sacerdozio.

Nel Novecento il cristianesimo liberale ha trovato una delle sue punte teoriche nella dottrina sociale della Chiesa Cattolica, che ha voluto coniugare valori tipicamente liberali con l’enfatizzazione dell’importanza dell’uomo e della sua dignità, ha situato il lavoro all’interno di un più ampio disegno divino e ha continuamente sottolineato, pur nell’accettazione del libero mercato e della proprietà privata, l’importanza della giustizia e del perseguimento del bene comune.

Va poi ricordato Piero Calamandrei, uno dei padri della costituzione italiana, in cui fece includere una lista aperta di diritti...

TAG: #Straniero

Più utile per te: