Viaggi della Memoria: Un'Esperienza Educativa e Commemorativa
I Viaggi della Memoria rappresentano un'esperienza unica e significativa, progettata per approfondire la conoscenza degli eventi accaduti nei campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale. Questi viaggi offrono l'opportunità di confrontarsi direttamente con la storia, mantenendo viva la memoria e promuovendo la consapevolezza del passato.
Cosa Sono i Viaggi della Memoria?
Si chiamano Viaggi della Memoria, sono un’esperienza unica per conoscere da vicino quanto accaduto nei campi di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale. L’esperienza diretta è il miglior modo per mantenere viva la memoria e per acquisire consapevolezza di quanto accaduto in passato.
L'Importanza dell'Esperienza Diretta
L’esperienza diretta è il miglior modo per mantenere viva la memoria e per acquisire consapevolezza di quanto accaduto in passato. È così che oltre 100 studenti delle classi terze delle scuole medie dell’Empolese Valdelsa partecipano in questi giorni al viaggio-studio ai campi di concentramento e sterminio dell’Austria e dell’Italia, organizzato da Unione dei Comuni Circondario dell’Empolese Valdelsa e ANED. Si tratta di un viaggio importante e non rituale che vede, in un percorso significativo e anche impegnativo, i partecipanti ripercorrere i luoghi della sofferenza e della morte che 72 anni fa attraversarono i nostri concittadini.
Luoghi di Sofferenza e Memoria
Harteim, Mauthausen, Gusen, Ebensee, sono i nomi dei luoghi dove migliaia di persone andarono incontro a un’esperienza di patimenti e sofferenze inenarrabili e ad una spaventosa morte. Con il trascorrere inesorabile degli anni e con la scomparsa, non solo dei protagonisti di quella stagione, ma anche dei loro familiari, diventa ancora più importante rimarcare la presenza in quei luoghi e proseguire con percorsi formativi.
L’obiettivo oggi, più che in passato, è quello non solo di tenere viva la memoria, ma di collegarla allo studio e all’approfondimento al fine di comprendere quello che fu non un evento singolo e non un'azione omicida, ma un accadimento collegato alle dinamiche storiche e alla situazione emersa dalla Prima Guerra Mondiale. Lo sterminio di più di dieci milioni di persone, sommato ai 50 milioni di morti della seconda guerra mondiale (da cui lo sterminio non è scollegabile) devono farci riflettere su come quelle dinamiche, quel percorso storico, presentatosi il secolo scorso nella civilissima Europa, potrebbe ripresentarsi in ogni momento.
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Il Ruolo dei Testimoni
È in questa prospettiva che i viaggi di alcuni studenti del territorio acquista un valore particolare. Coloro che sono scelti per fare questa esperienza hanno la possibilità di diventare testimoni per i loro compagni e per le famiglie.
I ragazzi sono accompagnati da una delegazione istituzionale di cui fanno parte amministratori che rappresentano i comuni dell’area: Paolo Giuntini (vice sindaco di Capraia e Limite), Arianna Poggi (assessore comune di Empoli), Giulia Pippucci (assessore comune di Montespertoli), Cristiano Rossetti (assessore comune di Montaione), Andrea Salvadori (assessore comune di Montelupo), Giulia Lari (consigliere comune di Castelfiorentino), Tiziano Ghelli (consigliere comune di Certaldo), Clauia Heimes (assessore comune di Vinci), Paolo Feri (vicesindaco comune Cerreto Guidi), Antonella Gorgerino (assessore comune di Fucecchio).
I viaggi sono organizzati dall’associazione ANED e fanno parte della delegazione il presidente Alessio Mantellassi e il presidente onorario Sauro Cappelli.
«Viviamo in un paese dalla memoria corta; si tende a lasciar cadere nell’oblio eventi rilevanti. Sarebbe un dramma se ciò accadesse anche per quanto accaduto nei campi di sterminio. A dire il vero, talvolta viene il dubbio che ciò stia già accadendo quando assistiamo a rigurgiti fascisti in Italia e all’estero e vediamo che non ne viene compresa la gravità. Esperienze come i viaggi della memoria sono un antidoto all’oblio; sono una strada per continuare a ricordare quanto accaduto e per formare una coscienza civile nelle generazioni future. È per questo che i comuni dell’Empolese Valdelsa continuano a investire risorse ed anche entusiasmo per portare avanti questo progetto. Il nostro auspicio è che chi oggi è in viaggio divengano testimoni per tutti coloro che non hanno avuto modo di fare questa esperienza», afferma Paolo Masetti, sindaco di Montelupo e delegato alla memoria per l’Unione.
Evoluzione e Riflessioni sui Viaggi della Memoria
Nel nuovo millennio i cosiddetti “viaggi della memoria”, cioè spostamenti organizzati verso mete di interesse storico, per lo più contemporaneo, sono sempre più praticati e riconosciuti. Ma dopo anni di pratica non sempre meditata, oggi questo campo è divenuto oggetto di riflessione; e numerose sono le domande sorte a riguardo, non tutte di facile risposta. Davvero visitare un campo di sterminio è il modo migliore per imparare la Shoah? Che differenza c’è (se c’è) tra un viaggio della memoria, una gita scolastica e un viaggio di istruzione? Procederemo in due direzioni. Da un lato esplorando le origini storiche del fenomeno. Il “pellegrinaggio laico” è infatti un rito collettivo di lunga data, che ha visto varie declinazioni nel corso dell’età contemporanea, legate per lo più alle diverse forme di religione politica, prima tra tutte quella nazionale. Lo faremo, come sempre, guardando al fenomeno dall’Emilia-Romagna (ma non solo in Emilia-Romagna). Una regione che ha avuto diversi luoghi storici di pellegrinaggio “in entrata”.
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Fornire una definizione di “pellegrinaggio politico” appare tutt’altro che semplice. I “pellegrinaggi laici”, al contrario dei loro progenitori religiosi, alla cui ritualità peraltro si ispirano, sono stati raramente protagonisti dei libri di storia o di manuali del turismo. Basti pensare alle più recenti forme (e definizioni) nate ed evolutesi negli ultimi decenni che prendono oggi il nome di “turismo politico”, “turismo della memoria” o “turismo scolastico”, promosso a fini educativi da istituti primari e secondari. Tanto in passato quanto oggi le mete di pellegrinaggio e le destinazioni turistiche sono soggette a mode e periodizzazioni.
Se il successo delle destinazioni turistiche è da sempre condizionato da mode, quello di un luogo meta di pellegrinaggio lo è, invece, dal clima politico. Se le stazioni termali cedettero il passo a quelle balneari a seguito della “scoperta del sole”, dopo la Grande guerra i luoghi di devozione risorgimentale caddero in secondo piano rispetto a trincee, sacrari militari e - in seguito - a tutto quel panorama di luoghi e personaggi che ruotavano attorno ai martiri della rivoluzione fascista e al suo ideatore. Le tracce di questi ultimi (non tutte, come dimostra qui Proli) vennero cancellate a loro volta nel secondo Novecento. Nel pellegrinaggio politico a mutare, rispetto al turismo più propriamente riconosciuto, sono le motivazioni del viaggio.
A questo riguardo, l’analisi dell’elemento lessicale, mutuato anch’esso dalla sfera religiosa, può ritenersi utile alla comprensione dello spirito che mosse i visitatori sin dagli anni Sessanta dell’Ottocento. Caratterizzò, infatti, appellativi di eventi, programmi e relazioni ufficiali, espressioni della memorialistica privata e perfino di souvenir e brochure realizzati in ricordo delle celebrazioni istituzionali o delle escursioni patrocinate da associazioni di carattere patriottico. Benché nei più celebri dizionari (religiosi e non) dell’epoca, a fianco delle parole “pellegrinaggio”, “pellegrino”, “martire”, “santo” e “santuario” non compaia alcuna accezione di carattere laico, appare evidente come questa terminologia fosse entrata nell’uso comune dell’aneddotica di tali escursioni [Bettini 1892; Del Grande 1881; Meazza 1888]. Spingendosi oltre, in questa rappresentazione metaforica le stesse mete acquisiscono, come s’è accennato, un valore mistico.
Esse vennero descritte (e percepite) come «sacre», «venerande», «venerate» e «immacolate», così come “sacri” erano ritenuti gli oggetti depositati al loro cospetto. Un discorso analogo è valido per gli ossari dei caduti, simbolicamente rappresentati come «santuari» o luoghi «benedetti», e gli stessi campi di battaglia in cui le «zolle sante sono bagnate dal sangue dei martiri». Primi a muoversi lungo una simbolica mappa che toccava l’area centro-settentrionale del Paese furono i reduci delle patrie battaglie. Non tutti i luoghi ebbero la stessa importanza. Già dai primi anni postunitari iniziarono a delinearsi - per continuare a mutuare un termine tipico dell’esperienza religiosa - mete maiores e minores.
Tra le prime si possono annoverare San Martino [Emiliani 1882; Siciliani 1881], Solferino [Gita a Solferino 1885] e Porta Pia; tra le seconde Goito, Novara, Mortara, Montebello, Volturno, Gaeta, Montebelluna, Villafranca, Santa Lucia nonché - come lecito attendersi - l’area dell’Aspromonte. L’interesse verso i luoghi citati avvenne dapprima individualmente, attraverso un moto spontaneo, e in seguito di gruppo, grazie alla nascita dell’associazionismo reducistico. Motivazioni analoghe spingevano reduci e seguaci della “contro memoria” garibaldina a imbattersi in un non semplice viaggio per sbarcare a Caprera dove, inizialmente, si giungeva per incontrare Garibaldi [Mc Grigor 1866; Guarniero 1882] e, dopo il 1882, per venerarne casa e tomba [Cavallotti 1887; Romussi 1892; Terzo pellegrinaggio 1897; Caprera 1907]. Tutt’altro che agevoli apparivano anche le gite a Bezzecca [Un convegno ciclistico a Bezzecca 1902], per la quale occorreva oltrepassare l’«insidioso» confine.
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Varcato quindi più raramente, quest’ultimo si poneva come meta di un simbolico incrocio: da sud verso nord era attraversato da irredentisti italiani che salivano sul colle di San Giusto (Trieste) o si facevano fotografare ai piedi della statua di Dante a Trento; in direzione nord verso sud da ciclisti provenienti dalle terre escluse dal processo unitario, che si spingevano - accolti festosamente dai consigli locali e dalle bande municipali - in città simboliche dell’italianità come Mantova, Verona e Ravenna [Ravenna a Garibaldi 1907; Il pellegrinaggio garibaldino 1907]. In quest’ultima la destinazione, tuttavia, non era solo il capanno di Anita (di cui si occupa il saggio di Mattarelli; si veda anche fig. Fig. 1. Organizzati, ma in grande stile, erano anche i viaggi mossi per commemorare gli uomini di Casa Savoia.
L’anno è il 1884. L’occasione la commemorazione del 25° anniversario del Risorgimento nazionale. Il luogo il Pantheon, a Roma. Qui, per omaggiare la tomba di Vittorio Emanuele II, accorsero ben 76.000 partecipanti, provenienti da ogni parte del Paese. Si trattò di un vero e proprio “giubileo laico”, organizzato, con tanto di statuto e di rigido regolamento, da un comitato nato ad hoc che dovette provvedere per motivi di ordine pubblico alla suddivisione dell’evento in tre distinte giornate [Fujisawa 2004]. Se con il passaggio dalle associazioni reducistiche ai sodalizi patriottici iniziarono a mutare i canoni e le pratiche, con gli anni Dieci del Novecento si assistette a un primo, profondo, cambiamento delle rotte pellegrine.
Ultimi pellegrinaggi, prima della Grande guerra, furono quelli verso le nuove terre italiane d’Africa, Tripolitania e Cirenaica [Primo pellegrinaggio 1912; Pasi 1914]. Troppo complesso organizzarli, essi furono per lo più riservati a borghesi e promossi da associazioni ben strutturate nel territorio. Nuovi luoghi, nuovi martiri, nuovi rituali caratterizzano i viaggi devozionali nel periodo successivo. Già nel 1919 era possibile trovare sul mercato le prime guide turistiche nei luoghi teatro del primo conflitto mondiale. A immetterle fu l’azienda di pneumatici Michelin che non si limitò a produrre quattro volumi per l’Italia, ma stampò contemporaneamente (uniformandone linguaggio e struttura) pubblicazioni in analoghi luoghi francesi, belgi e inglesi. Fig. 2. Interessante, a tal proposito, appare il profondo cambiamento del linguaggio presente nella pubblicistica stampata prima e dopo il 1926: anno in cui le pratiche del pellegrinaggio patriottico passarono da una forma “espiativa” a una nazionalistica.
Il regime fascista si era infatti già impossessato di tali consuetudini creando, contestualmente, nuovi luoghi e nuovi riti. A mutare furono anche l’organizzazione, uniformata secondo i canoni del Partito nazionale fascista e i numeri. Emblematico è l’esempio delle “terre del duce” dove il movimento assunse proporzioni di massa, quantomeno se paragonate al periodo precedente (ne parla qui ampiamente Proli). Fig. 3. A differenza del periodo precedente, ogni città possedeva ora almeno una propria meta minore: i viali (o parchi) delle rimembranze istituiti in memoria dei caduti della Grande guerra e i cippi dove caddero i “martiri” della rivoluzione fascista rappresentano solo alcuni esempi di una nuova ridefinizione urbana dove pellegrinaggio laico e turismo del consenso iniziarono a intrecciarsi.
A testimoniarlo sono ancora una volta le numerose guide turistiche prodotte in questo periodo, nelle quali rispetto al passato, ciò che deve essere visto viene stravolto, uscendo dai classici canoni storicamente battuti. Il percorso, non di rado, veniva deviato lungo edifici eretti dal regime per il suo popolo. Dopo la Seconda guerra mondiale i luoghi rituali della memoria fascista subiscono in effetti un rapido e quasi completo oblio, se si escludono forme nostalgiche, del tutto residuali, che peraltro di recente sembrano avere trovato improvvisamente vigore e guadagnato una inedita cittadinanza nel discorso pubblico (ne accenna Proli, ma si veda anche più diffusamente Pisanty 2020). Fig. 4. Così avviene ad esempio a Bologna, dove per iniziativa di Giacomo Masi, fratello di un deportato, si svolge per la prima volta nel 1960 un pellegrinaggio a Mauthausen, dal quale sorge poi la locale sezione Aned.
Si passa così dal viaggio come conferma di una appartenenza a quello inteso come conquista di una nuova identità collettiva, dal reducismo alla formazione. L’Aned si attiva per la costruzione di un memoriale italiano a Gusen, progettato dall’architetto Lodovico Barbiano di Belgiojoso, ex deportato, e realizzato nel 1965. Nel 1967 l’associazione apre poi ai non deportati, coinvolgendo la nuova generazione che sarà protagonista dei movimenti studenteschi e operai. In questo clima nasce a Milano nel 1968 Fabello Viaggi, fondata dai discendenti di Angelo, deportato politico, che inaugura la sua attività accompagnando comitive italiane ad assistere alla manifestazione internazionale di Mauthausen del 5 maggio.
La deportazione diventa parte integrante della memoria resistente, come dimostra anche la creazione del memoriale italiano ad Auschwitz nel 1979, l’anno del riconoscimento del sito da parte dell’Unesco. E proprio in questa fase alcuni enti locali particolarmente lungimiranti cominciano a interessarsi del tema viaggi (ad esempio Pegognaga dal 1988; Moncalieri dal 1998). Un vero e proprio cambio di passo si registra alla fine degli anni Ottanta. Nel 1987 muore Primo Levi, dopo aver ottenuto con I sommersi e i salvati il successo che non era arriso a Se questo è un uomo. L’anno successivo il cinquantesimo anniversario delle leggi razziali dà per la prima volta ampio riconoscimento pubblico al tema dello sterminio degli ebrei italiani.
Di lì a poco, con la caduta del comunismo, la Shoah diventa uno degli assi strutturanti della memoria europea e Auschwitz un luogo simbolo del Novecento. È in questa fase del resto che si consolida anche la riflessione sui “luoghi della memoria”; e che quindi trovano riconoscimento pubblico e si istituzionalizzano come mete turistiche anche i “luoghi di memoria”. Contestualmente associazioni partigiane e istituti storici cominciano a organizzare viaggi per ragazzi e adulti verso i campi del Reich, spesso sul modello militante dei White Buses norvegesi. Fig. 5. Col passaggio di millennio il fenomeno assume un carattere di massa.
Vi concorre innanzitutto l’istituzionalizzazione della Giornata della memoria con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 [Bidussa 2010; Mantegazza 2014]. Importante è anche l’allargamento a est dell’Unione Europea del 2004, contestuale alla discussione sulla nuova Costituzione. Fig. 6. Nello stesso anno l’Università di Roma Tre inaugura il primo Master in Didattica della Shoah [Meghnagi 2007]. Interessante è il sorgere, tra le agenzie viaggi sensibili al tema (come la già citata Fabello Viaggi) e gli istituti storici attivi sul campo (primi tra tutti Istoreco e Fondazione Fossoli), di nuovi soggetti ibridi, che si offrono come mediatori tra utenti e luoghi.
Esemplare in questo senso il caso di Deina, nata proprio a Bologna nel 2013, una associazione di giovani che sperimenta una inedita forma di viaggio della memoria incentrata sull’educazione peer to peer, sull’intelligenza emotiva e sulla attualizzazione dei fenomeni storici (si veda qui l’intervista a Greppi e Bissaca e più diffusamente Gentili 2014). Questo porta anche al maturare di una prima riflessione teorica sul tema, iniziata a Torino nel 2006 (Viaggiare informati [Chiappano 2007]), proseguita poi a Roma nel 2012 (I treni della memoria. Tra l’altro il boom del tema ha fatto sì che anche le grandi istituzioni internazionali rivolgessero le loro attenzioni all’Italia, offrendo scuole residenziali in lingua o costruendo pacchetti specifici per visitatori e insegnanti nostrani.
Significativamente la referente italiana (dal 2009) dello Yad Vashem, Rita Chiappini, è romagnola; e dal settembre 2020 la responsabile per l’Europa è Simonetta Della Seta, che viene dal Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah (Meis) di Ferrara. In effetti, di fronte ai rischi di banalizzazione e di commercializzazione [Pisanty 2012], e a forme di spontaneismo non prive di improvvisazione, si è avvertita sempre più, da parte degli operatori più seri, l’esigenza di riflettere criticamente su queste esperienze; e di valutarle non più solo sulla base delle buone intenzioni, ma anche della ricezione, dei risultati effettivi, delle ricadute culturali. Da qui, a partire dal 2010, alcune pubblicazioni che si soffermano sui feedback dei viaggiatori; e rimettono in discussione le pratiche più consolidate [Bissaca e Maida 2015].
Nell’intento di capire la differenza tra viaggi della memoria e dark tourism (di cui ci parla qui Tosi), o tra “andare in massa” e “andare insieme” (per richiamare la fortunata espressione di Paolo Nori; vedere fig. 7), si discute ormai a tutto campo: dei mezzi di trasporto (tra treno e bus, fino a inedite esperienze in aereo o in bicicletta); delle attività di preparazione, accompagnamento e restituzione dei viaggi; e anche delle mete. Non più solo o principalmente i campi di sterminio, ma anche i luoghi della violenza fascista, per ricordare che gli italiani sono stati vittime ma anche perpetratori. Fig. 7. Forte è anche l’attrattiva dei luoghi di memoria già musealizzati, con un significativo slittamento da quelli della guerra e della Resistenza a quelli della violenza tedesca e fascista, nel nostro caso soprattutto Fossoli e Montesole (ne parla qui Ventura).
Anche grazie al finanziamento regionale avviato nel 2013 (e diversificato nel 2018 tra viaggi della memoria e viaggi attraverso l’Europa; vedere fig. Fig. 8. Pur consolidati i viaggi non sono però del tutto condivisi: ha fatto scalpore nel 2019 la decisione del nuovo sindaco di centrodes... Da quando con la legge n. Da ministra dell'Istruzione ho avuto il grande privilegio di poter ripercorre, insieme a decine di ragazze e ragazzi delle scuole italiane, le rotte dell’odio della Shoah. Non posso dimenticare gli occhi delle studentesse e degli studenti riempirsi di lacrime al racconto del vissuto quotidiano dietro il filo spinato, delle baracche, delle continue angherie, violenze, sopraffazioni, degradazioni cui milioni di innocenti, vennero sottoposti per lunghi mesi e anni.
La conoscenza ci impone di non voltare la testa mai, di non essere indifferenti, di fare i conti con una pagina tragica del nostro passato. Ricordo di averlo detto e ripetuto anche alle ragazze e ai ragazzi che con noi hanno visitato il campo di Auschwitz-Birkenau: guardatevi intorno, capite perché tornerete a casa diversi. E questo “tornare diversi” è l’investimento di una missione di tolleranza e rispetto, di curiosità e apertura all’altro. A partire dalla scuola e dell’università, che sono luoghi di inclusione e accoglienza. In questa Italia, in questa Europa, non deve più esserci spazio per l’odio, per l’emarginazione.
Al termine della visita, seguita con partecipata compostezza, tutti gli studenti si sono disposti in un grande cerchio e, a turno, ogni classe ha letto una propria riflessione sull'esperienza vissuta e sulle emozioni suscitate dalle visite ai luoghi simbolo della Shoah. La prof.ssa Angela Pirondi, organizzatrice impeccabile del viaggio, ha infine salutato i ragazzi con un breve discorso, interpretando i sentimenti di tutti i docenti accompagnatori. Quel viaggio che si avviava alla conclusione, preparato con molte iniziative, dalle lezioni di storia del prof.
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