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Servizi Consolari Italiani in Libia e Situazione dei Rifugiati Sudanesi

La Cancelleria Consolare dell’Ambasciata a Tripoli esercita le proprie funzioni di assistenza nei limiti previsti dalla Convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni consolari. L’iscrizione all’AIRE è il presupposto per l’erogazione dei servizi consolari ordinari. Ai sensi della Legge 470/88 i cittadini italiani residenti all’estero per più di 12 mesi sono soggetti all’obbligo dell’iscrizione A.I.R.E. (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero). I servizi consolari ordinari sono a pagamento, secondo un tariffario il cui importo è fissato ogni trimestre sulla base del tasso di cambio ufficiale dell’Euro con la moneta applicata.

Emergenza Rifugiati Sudanesi in Libia

Da quando è scoppiata la guerra in Sudan, migliaia di rifugiati hanno cercato sicurezza in Libia e dallo scorso novembre il numero di arrivi ha subito un’impennata. La Libia, oltre a essere uno dei principali Paesi di transito per chi dall’Africa cerca di raggiungere l’Europa, è anche storicamente un Paese di destinazione per i sudanesi in cerca di opportunità lavorative. Da aprile 2023, quando le tensioni politiche in Sudan sono degenerate in una violentissima guerra civile, oltre 210.000 rifugiati sudanesi sono arrivati in Libia e intorno a novembre 2024 il numero degli arrivi ha subito una decisa impennata. Attualmente i sudanesi rappresentano il 73% del totale della popolazione rifugiata nel Paese.

La maggior parte di queste persone raggiunge la Libia attraverso la città di confine di Al Kufra, prima di proseguire per Ajdabiya o Tripoli. INTERSOS è una delle pochissime organizzazioni umanitarie internazionali presenti in queste aree. Il nostro centro comunitario ad Ajdabiya è uno spazio sicuro per i sudanesi in Libia, a cui le persone sanno di potersi rivolgere per ricevere servizi di protezione, accesso all’istruzione non formale e servizi di assistenza sanitaria di base. INTERSOS gestisce anche un’équipe di clinica mobile che fornisce servizi di assistenza sanitaria di base negli insediamenti e rifugi informali dove i nuovi arrivati sudanesi si fermano ad Ajdabiya.

Poiché la Libia non è tra i Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951, coloro che sono fuggiti dalla guerra in Sudan non godono di nessuna tutela aggiuntiva e sono considerati a tutti gli effetti migranti o stranieri. Il 60-70% dei casi che arrivano nei nostri centri riguardano bambini. Si tratta principalmente di minori rifugiati che non riescono ad accedere al sistema scolastico, perché sprovvisti della documentazione richiesta, per le scarse risorse economiche delle famiglie o perché le scuole libiche hanno una capacità limitata di accogliere più studenti.

Nei nostri centri gli assistenti sociali di INTERSOS offrono supporto psicosociale ai bambini, aiutandoli a superare i traumi subiti a seguito del conflitto e dello sfollamento, nonché abusi fisici, verbali ed emotivi. Mentre molti sudanesi si spostano con le loro famiglie, c’è anche un numero considerevole di bambini non accompagnati e separati dalle proprie famiglie. INTERSOS supporta anche donne e ragazze sopravvissute a violenza sessuale e di genere (SGBV), sia lungo la rotta migratoria che in Libia. Le ragazze sudanesi sono ad alto rischio di essere sottoposte alla tradizionale pratica dannosa della mutilazione genitale femminile, una pratica diffusa in Sudan ma non in Libia.

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L’équipe di protezione di INTERSOS segue individualmente singoli casi di minori, sopravvissute e sopravvissuti a SGBV e persone con esigenze specifiche - ad esempio, madri single, donne in gravidanza e allattamento, persone con importanti condizioni mediche e persone con disabilità - fornendo anche servizi specializzati come l’assistenza legale e la consulenza psicologica. Poiché negli anni si è consolidata una comunità di sudanesi in Libia, alcune delle persone che scappano dalla guerra in Sudan sono riuscite a trovare rifugio in case vere, ospitati dai propri parenti o in condivisione con altri connazionali. Chi ha più difficoltà finanziarie alloggia invece in insediamenti informali di fortuna, in condizioni igienico sanitarie precarie ed esposti a violenze e sfruttamento.

I servizi di assistenza sanitaria di base negli insediamenti consente la diagnosi precoce e la prevenzione di complicanze, impedendo ai rifugiati di dover ricorrere a cure mediche specialistiche ad alto costo. L’équipe della clinica mobile opera anche settimanalmente e quotidianamente - dopo aver terminato il giro degli insediamenti - nel centro comunitario di INTERSOS ad Ajdabiya.

Tabella: Riepilogo della situazione dei rifugiati sudanesi in Libia

Dato Valore
Rifugiati sudanesi arrivati da aprile 2023 Oltre 210.000
Percentuale dei sudanesi sulla popolazione rifugiata totale 73%
Principale punto di ingresso Al Kufra
Organizzazione umanitaria presente INTERSOS

Controversie e Sicurezza

Osama Njeem Almasri è stato espulso e portato in Libia con un aereo di stato perché un soggetto pericoloso. La pericolosità è stata attestata anche dalla Corte penale internazionale (Cpi), tanto che lo accusa di crimini contro l’umanità e ha emesso un mandato di cattura a suo carico. Questa è la spiegazione data dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, in Senato, interrogato dalle opposizioni sulla scarcerazione ed espulsione del capo della polizia giudiziaria di Tripoli.

«Considerato che il cittadino libico era a piede libero in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale, come emerge dal mandato d’arresto della Cpi, ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello stato», ha detto in aula. La misura per lui «più appropriata, anche per la durata del divieto di ingresso, a salvaguardare la sicurezza dello stato e la tutela dell’ordine pubblico». Piantedosi ha così risposto, non senza contraddizioni, solo del suo operato, lasciando però intendere che la scelta politica è stata quella di far rientrare un soggetto pericoloso, accusato di torture, stupri, uccisioni in Libia, invece di consegnarlo alla Cpi.

Una giustificazione definita «esilarante» da Riccardo Magi di +Europa e dalle opposizioni, che hanno chiesto alla premier Meloni di riferire, perché la decisione di mettere a disposizione un volo di stato per il rimpatrio è arrivata da Palazzo Chigi. Piantedosi non ha spiegato cosa è accaduto nei giorni tra l’arresto e la scarcerazione, ordinata dalla Corte d’appello di Roma per un errore procedurale che il ministro della Giustizia Carlo Nordio non ha mai sanato, nonostante ne avesse la possibilità. Il comandante libico è accusato di crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati a partire dal febbraio del 2015.

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Almasri, invece, è stato trattato come un «celebre passeggero e non un criminale di guerra», ha detto il senatore di Avs De Cristofaro, «un trattamento degno di un vero e proprio alleato». Il libico è sceso dal Falcon 900 senza fascette e con il sorriso, dopo essere atterrato intorno alle 21.32 all’aeroporto internazionale di Mitiga che alcuni migranti hanno raccontato di aver costruito, ai lavori forzati, nei loro giorni di detenzione nel vicino centro di detenzione da lui diretto. Il torturatore era già a bordo dell’aereo mentre in Italia veniva comunicata la sua scarcerazione.

Tutto lascia supporre che il via libera sia arrivato dalla presidenza del Consiglio dei ministri, che tramite il sottosegretario Alfredo Mantovano ha la delega ai servizi. Per i viaggi sensibili di questo tipo il governo si avvale della società Cai. Le procedure sono gestite dall’autorità delegata ai servizi segreti. Anche perché non sarebbe la prima volta che in casi di questo tipo vengano usati aerei Falcon o altri aerei della Compagnia aeronautica italiana spa (Cai), azienda nota per offrire i propri servizi all’intelligence italiana.

C’è un forte legame tra la Cai, la società privata che fornisce i Falcon e la presidenza del Consiglio dei ministri. È spiegato chiaramente in una sentenza della Cassazione, del 2013, che si è espressa su un ricorso intentato dalla Cai contro un dipendente. L’azienda gli contestava di aver rivelato notizie segrete nell’ambito della causa contro il suo licenziamento. La Cai, quindi, «sostiene che la propria legittimazione deriverebbe dai poteri, conferitile per legge e mediante decreti del presidente del Consiglio dei ministri».

La «funzione pubblica riguardante il trasporto aereo di Stato, sotto il profilo giuridico e politico, nonché tutte le attribuzioni connesse all’imposizione [...] del segreto su tali attività è attribuita alla titolarità esclusiva del Sottosegretario di stato alla presidenza del Consiglio dei ministri». Che nel governo Meloni è in capo a Mantovano.

Il Caso Husam El Gomati

L’attivista libico Husam El Gomati è stato preso di mira dal software israeliano di sorveglianza di Paragon Solutions. El Gomati ritiene che dietro all’attacco ci siano i servizi segreti italiani. Husam El Gomati è un attivista libico che vive in Svezia e che da anni denuncia attraverso le piattaforme social la corruzione, le violazioni dei diritti umani e molti altri illeciti che avvengono nel suo Paese.

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Tramite l’installazione di questo software l’ente governativo che ha commissionato alla società Paragon l’attacco ai dispositivi è riuscito a mettere le mani non solo sulle conversazioni intrattenute su chat criptate dagli obbiettivi dell’attacco, ma anche su dati, documenti, e informazioni contenute nei telefoni. Il 31 gennaio scorso, dopo aver ricevuto un avviso da parte di Meta riguardo all’attacco subito dal suo dispositivo, Husam El Gomati si è fatto avanti su X, per denunciare di essere anche lui tra i soggetti colpiti dallo spyware.

Sulla stampa italiana lei è stato raffigurato come un rifugiato. Non sono un rifugiato. Mi sono trasferito in Svezia circa dieci anni fa. Avevo un’azienda, dopo essere uscito dalla mia azienda ho iniziato la attività di attivista in Libia a tempo pieno, nel 2021. Nel ricorso la Cai afferma che le sue attività «dovevano ritenersi soggette a severe regole di riservatezza» perché «organismo costituente propalazione della presidenza del Consiglio dei ministri, preposto al servizio pubblico diretto alla difesa della sicurezza dello stato».

Nel Giornale viene scritto che lei ha rivelato le identità di quattro membri dei servizi segreti italiani. No, io ho pubblicato il passaporto di un solo individuo, il 25 gennaio. E ho altri quattro passaporti. Ho condiviso questi passaporti con delle persone che so essere collegate con gli italiani per verificarli, ma non li ho pubblicati. È come una copia molto economica di WikiLeaks. In questo modo ho potuto assistere quotidianamente a fughe di notizie da ogni tipo di settore, dal governo alla sicurezza. Abbiamo mostrato in dettaglio la corruzione nel settore petrolifero, e abbiamo spiegato, con l'aiuto di ingegneri e altri esperti del settore, come venivano sfruttate le ricchezze libiche.

Riguardo alle politiche migratorie che gli italiani hanno provato a fare in Libia, che è come se avessero cercato di trattare direttamente con le milizie, non con il governo. Sperano che quelle milizie fermino la “loro” ondata migratoria. Una delle storie che ho pubblicato riguarda l'uccisione a sangue freddo di 17 persone. L'individuo responsabile di questo crimine è stato diverse volte in visita in Italia. Ci sono centinaia di foto che lo ritraggono in Italia.

Il fatto che io sia coinvolto, come si dice, nella questione dei feriti è falso. Non ho mai lavorato in qualsiasi altra cosa legata a questo ambito nel 2012 o nella mia vita. Con Isma'il al-Shtawy non ho nessun rapporto speciale. È la prima volta che mi viene detta questa cosa. L'ho intervistato una volta sulla piattaforma Clubhouse, e per altro ero contro di lui.

Tanti italiani sono contro il fenomeno migratorio, ma quello che la Meloni sta cercando di fare e che stanno facendo in questo momento non aiuta. Avere a che fare con i criminali, gli assassini, in Libia, non aiuterà a fermare l'ondata. In realtà, credo di poter fornire alcuni numeri che dimostrano il contrario. Quelle persone stanno ricevendo i soldi e costruiranno infrastrutture più complesse per aumentare il traffico degli esseri umani.

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