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Dopo il turismo: Riflessioni e prospettive

E’ uscito per Nottetempo l’ebook Dopo il turismo di Lucia Tozzi, scaricabile gratuitamente dal sito dell’editore. Il coronavirus, tra le altre cose, ha decimato il turismo, settore in crisi nera, che attende di ripartire ora che la bella stagione è alle porte. Molte città e siti d’interesse, che hanno investito gran parte delle loro risorse nel settore turistico, si trovano ora sguarnite e in seria difficoltà. Mai è apparso così chiaramente che puntare sul turismo è una scelta errata. Il lockdown ha prodotto danni incalcolabili all’intero settore e al suo indotto, rivelando l’enorme fragilità strutturale di un sistema che distrugge l’ambiente, la cultura, le città, il lavoro.

Riflessioni come questa sul turismo sono spunti, che come semi, appunto, possono germogliare. L’acqua ferma dei canali di Venezia, luccicante nella luce del pieno giorno, che generalmente si presenta torbida, nei giorni di isolamento è apparsa limpida e trasparente, tanto da permettere di scorgere persino i pesci e il fondale. È questa l’immagine più potente della contraddizione in cui Covid-19 ha immerso il genere umano. Ed è questa stasi la metafora perfetta della morte temporanea e apparente del turismo globale.

Turismo e Globalizzazione: Un Binomio Complesso

Turistificazione e globalizzazione non sono due processi paralleli, sono quasi interamente sovrapponibili: ideologia e industria del movimento. Il manager che fa avanti e indietro da Wuhan e il ventenne che gira per festival techno, da questo punto di vista, hanno la stessa funzione. Il problema è che questa dicotomia è del tutto astratta: il turismo è la piú feroce delle industrie neo­liberiste, equivale secondo le stime dell’Organizzazione Mondiale del Turismo (UNWTO) al 10% del PIL globale e occupa il 10% dei lavoratori mondiali. E non solo: nel calcolo dei volumi d’affari del turismo globale non rientrano solo gli spostamenti legati al tempo libero, ma tutti gli spostamenti. Viaggi di lavoro, di studio, di svago, per ragioni di salute, pellegrinaggi, visite ai parenti, persino migrazioni.

La critica no global di inizio millennio, che univa lotte anticapitaliste e ambientaliste, fu archiviata in parte a causa del suo spirito comunitarista che non si adattava molto alle reti ultraflessibili dei movimenti urbani, e in parte perché il pensiero sulle migrazioni, reso nel frattempo sempre piú urgente dall’espansione del fenomeno e delle sue conseguenze tragiche, ha messo in primo piano il diritto alla libertà di movimento delle persone, spostando il focus della lotta dalla difesa dei territori all’abbattimento delle frontiere. La crisi del 2008 ha spostato poi l’attenzione sulla critica alla finanziarizzazione dell’economia, alla liberalizzazione della circolazione di merci e capitali contrapposta al controllo selettivo del movimento di persone: libertà per i cittadini di paesi ricchi, vessazione nei confronti dei cittadini di paesi poveri. Si è consolidata da allora l’idea che esiste una globalizzazione buona, che facilita lo spostamento di popoli e individui, lo scambio culturale, l’internazionalismo politico, e una cattiva, quella di matrice neoliberista. Un’idea che si è cristallizzata fino a diventare un dogma incontestabile quando hanno cominciato a diffondersi con sempre maggior successo i “populismi” di destra. E cosí, grazie all’accumulazione di scarti e tabú, è stato finora quasi impossibile avanzare un dubbio sulla legittimità politica e la sostenibilità sociale e ambientale di questa nostra isteria cinetica senza passare per reazionari e fustigatori di piaceri altrui. In una recente intervista Noam Chomsky spiega che “non c’è niente di sbagliato nella globalizzazione in sé. È bello, per esempio, fare un viaggio in Spagna”.

Prospettive per una Ripartenza Sostenibile

Una ripartenza diversa da prima, però. Come? Il lavoro che c’è da fare è tanto, ma può migliorare le nostre esistenze. Riorganizzare i territori, gli spazi, i servizi in funzione degli abitanti, scrive Lucia Tozzi. Si può scegliere di non cedere alla tentazione del ritorno all’auto e di investire sul trasporto pubblico, anche convertendo i bus turistici temporaneamente in mezzi di linea. Ancora, si può rimettere al centro la questione della casa, riprendendo in mano il patrimonio di edilizia pubblica semi abbandonata, convincendo i proprietari di edifici vuoti a riempirli; si può avviare un gigantesco piano di spazi ed edifici pubblici. Si possono anche revocare le concessioni sulle spiagge, sulle biglietterie dei musei, sulla gestione dei servizi.

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Il lavoro da fare è tanto, una rivoluzione copernicana, che nasce da un evento disastroso, come è stata ed è ancora la pandemia, che va contro la privatizzazione “di quel che resta della società in nome del feticcio del dinamismo”. “Siamo tutti sulla stessa barca, fragili e disorientati.

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