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I Viaggi di Polifemo nell'Odissea: Un Incontro Epico tra Astuzia e Forza

L'incontro tra Ulisse e Polifemo, narrato nel IX canto dell'Odissea, è una delle tappe più significative e simboliche del viaggio di Ulisse. Dopo aver combattuto nella guerra di Troia e affrontato numerose peripezie, l’eroe greco approda insieme ai suoi compagni sull’isola dei Ciclopi.

Odisseo salpò da Troia ben sapendo che avrebbe dovuto vagare per altri dieci anni prima di raggiungere Itaca; sbarcò a Ismaro Ciconia e la prese d’assalto. Nel saccheggio che seguì fu risparmiato soltanto Marone, sacerdote di Apollo, che in segno di gratitudine donò a Odisseo alcune giare di vino dolce. Ma i Ciconi che abitavano nell’interno videro densi globi di fumo innalzarsi sopra la città e, assaliti i Greci che bevevano il vino sulla riva del mare, li misero in fuga disordinata.

Quando Odisseo riuscì infine a radunare e imbarcare i suoi uomini che avevano subito gravi perdite, un vento furioso di nordest spinse le navi al di là del mare Egeo, verso Citera. Il quarto giorno, approfittando di una temporanea pausa della tempesta, Odisseo tentò di doppiare il capo Malea e di spingersi a nord, fino a Itaca; ma il vento contrario si alzò più forte che mai.

Dopo nove giorni di pene e di tormenti si profilò all’orizzonte il promontorio libico dove vivono i mangiatori di loto. Ora il loto è un frutto senza nocciolo, color zafferano e grande pressappoco come una fava, che cresce in grappoli assai belli a vedersi: ma chi ne assaggia perde il ricordo della terra natale; alcuni viaggiatori, tuttavia, lo descrivono come una sorta di mela dalla quale si estrae un sidro molto forte.

Odisseo sbarcò per far provvista d’acqua e mandò avanti in esplorazione tre uomini che mangiarono il loto offerto loro dagli indigeni e si scordarono completamente del compito a essi affidato. Impensierito per quel ritardo, Odisseo andò in cerca dei tre marinai e benché si vedesse offrire i magici frutti li rifiutò. Giunse così a un’isola fertile e boscosa che pareva abitata soltanto da innumerevoli capre selvatiche e ne uccise parecchie per banchettare con le loro carni. Gli equipaggi sbarcarono al completo e a una sola nave fu affidato il compito di compiere in esplorazione il periplo dell’isola. Quella terra apparteneva, ahimè, ai barbari Ciclopi, così chiamati per via dell’unico grande occhio rotondo che baluginava nel mezzo della loro fronte.

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Qui incontra Polifemo, un gigante feroce con un solo occhio al centro della fronte, figlio di Poseidone e dotato di una forza sovrumana. Ulisse e i suoi uomini, affamati e alla ricerca di riparo, si rifugiano nella caverna di Polifemo, dove trovano risorse e cibo.

Ormai scordata l’arte degli avi loro che lavoravano come fabbri per Zeus, erano pastori senza legge né navi né moneta o mercati. Vivevano corrucciati, l’uno lontano dall’altro, in caverne che si allungavano nei fianchi di montagne rocciose. Scorto da lontano l’ingresso di una di tali caverne, che si apriva alto e ombreggiato da piante di lauro al di là di uno steccato, Odisseo e i suoi compagni avanzarono, ignari di trovarsi nella proprietà di Polifemo, gigantesco figlio di Poseidone e della Ninfa Toosa, che era abituato a nutrirsi di carne umana.

L'Incontro con Polifemo e la Prigionia

Tuttavia, quando il ciclope torna al suo rifugio, non solo si rifiuta di rispettare le regole dell’ospitalità, sacre nella cultura greca, ma dimostra il suo disprezzo per l’umana gentilezza e la sua crudeltà, chiudendo l’uscita della grotta con un enorme masso e iniziando a divorare i compagni di Ulisse.

I Greci sedettero allegramente attorno al focolare, sgozzarono e arrostirono alcuni capretti trovati nella grotta, si servirono dei formaggi allineati nei canestri lungo le pareti e banchettarono in letizia. Verso sera apparve Polifemo. Egli spinse il suo gregge nella caverna e ne chiuse l’ingresso con una pietra così pesante che venti paia di buoi sarebbero riusciti a stento a smuoverla; poi, senza rendersi conto che aveva ospiti, sedette per mungere pecore e capre.

Infine, alzò l’occhio dal mastello e vide Odisseo e i suoi compagni riuniti attorno al focolare. Chiese irosamente che cosa mai facessero nella caverna. Odisseo rispose: «Mostro gentile, noi siamo Greci e torniamo alle nostre case dopo il saccheggio di Troia; rammenta, ti prego, ciò che devi agli dei e accoglici ospitalmente».

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L'Astuzia di Ulisse: Vino, Cecità e Fuga

L’episodio nella grotta di Polifemo mette in evidenza l’astuzia e la determinazione di Ulisse, che non si perde d’animo nonostante l’orrore della situazione. Il ciclope, insensibile e crudele, ignora i principi di xenia, l’ospitalità sacra tra Greci, e fa della violenza la sua legge, consumando ogni giorno due dei compagni di Ulisse. Imprigionati e senza vie di scampo, Ulisse e i suoi uomini escogitano un piano per liberarsi. L’eroe greco nota un grosso ramo d’ulivo nella grotta e lo trasforma in una lancia appuntita, indurendone la punta nel fuoco per renderla letale.

Ulisse avrebbe voluto vendicare i suoi compagni prima dell’alba, ma non si arrischiò, perché soltanto Polifemo aveva la forza necessaria per smuovere il masso di roccia dall’ingresso della caverna. Trascorse dunque la notte col capo stretto tra le mani, elaborando un piano di fuga, mentre Polifemo russava in modo spaventoso. Come prima colazione il mostro uccise e divorò altri due marinai, poi spinse dinanzi a sé il gregge e richiuse l’ingresso della caverna con il masso; ma Odisseo si impadronì di una trave di olivo ancor verde, ne appunti una estremità indurendola al calore del fuoco e poi la nascose sotto un mucchio di sterco.

Ulisse decide di sfruttare l’ingenuità e la natura violenta di Polifemo per metterlo fuori gioco. Inizia offrendogli del vino particolarmente forte, che il ciclope, poco abituato a simili bevande, beve senza diluizione. Quella sera il Ciclope ritornò e mangiò altri due dei dodici marinai; ma tosto Odisseo gli offrì cortesemente una tazza del forte vino donategli da Marone di Ismaro Ciconia; per fortuna Odisseo ne aveva portato con sé un otre pieno. Polifemo bevve avidamente e ne chiese una seconda coppa, poiché in vita sua non aveva mai assaggiato niente di più inebriante del siero di latte, e accondiscese a chiedere il nome di Odisseo.

Polifemo si ubriaca rapidamente e chiede ad Ulisse di rivelargli il proprio nome come ringraziamento per il dono ricevuto. È in questo momento che Ulisse sfodera la sua astuzia, rispondendo che il suo nome è “Nessuno”. «Mi chiamo Oudeis», rispose Odisseo, «o almeno questo è il soprannome che tutti mi danno». Ora, Oudeis significa nessuno. Non appena il Ciclope cadde nel profondo sonno degli ubriachi, poiché il vino non era stato allungato con acqua, Odisseo e i suoi compagni arroventarono la punta della picca nelle braci del focolare; poi la conficcarono nell’unico occhio di Polifemo e mentre i suoi compagni la premevano verso il basso, Odisseo la fece girare così come gira un succhiello nel legno di una nave.

La carne bruciata sibilò e Polifemo lanciò un urlo orribile che indusse tutti i suoi compagni ad accorrere da vicino e da lontano per vedere che cosa mai accadeva. «Sono cieco e il mio dolore è spaventoso!» gridava Polifemo. «Tutta colpa di Oudeis.» «Povero disgraziato», replicarono gli altri Ciclopi, «se, come tu dici, la colpa è di nessuno, di certo la febbre ti fa delirare. Prega il padre tuo Poseidone affinché ti ridoni la salute e smettila di strillare a questo modo!»

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Sfruttando il sonno di Polifemo, Ulisse e i suoi compagni conficcano la lancia rovente nell'unico occhio del ciclope, accecandolo. Il gigante si sveglia urlante per il dolore, e i compagni accorrono in suo aiuto. Tuttavia, quando i ciclopi gli chiedono chi sia stato a provocare tanto danno, Polifemo ripete di essere stato colpito da “Nessuno”, convincendo così i suoi pari che non ci sia realmente nessun pericolo concreto.

Se ne andarono brontolando e Polifemo si avvicinò a tastoni all’ingresso della caverna, spostò la pietra e, le mani protese dinanzi a sé, attese ansioso di poter agguantare i Greci mentre cercavano di fuggire. Ma Odisseo legò ciascuno dei suoi compagni sotto il ventre di un ariete con dei vimini, e ne assicurò le estremità ad altri due montoni, distribuendo uniformemente il peso, in modo che il montone sotto il quale stava l’uomo si trovasse nel mezzo e gli altri due ai lati.

Accecato e incapace di riconoscere Ulisse e i suoi uomini, Polifemo si siede davanti all’ingresso della grotta per impedire loro di scappare. Ancora una volta, però, Ulisse mostra la sua intelligenza. L’eroe lega i suoi compagni sotto il ventre dei montoni presenti nella grotta, così che, all’apertura dell’uscita, possano passare inosservati, nascosti tra le bestie. Ulisse stesso si aggrappa al vello del montone più grande, riuscendo a superare Polifemo senza essere scoperto.

All’alba Polifemo spinse il gregge al pascolo, accarezzando il dorso di ogni bestia per assicurarsi che non vi fosse un uomo sopra a cavalcioni, e indugiò a parlare con voce mesta all’ariete che portava Odisseo. «Perché, caro, non guidi il gregge, come sei solito fare?

La Fuga e la Maledizione

Così Odisseo riuscì a liberare sé e i suoi compagni, e a spingere l’intero gregge verso la nave. Subito la misero in mare e non appena gli uomini, dato di piglio ai remi, cominciarono a vogare, Odisseo non poté trattenersi dal lanciare un ironico saluto al Ciclope.

Una volta al sicuro, Ulisse non resiste alla tentazione di svelare la propria identità al ciclope, gridandogli il suo vero nome. Questo gesto di arroganza si rivelerà un errore, poiché Polifemo, figlio di Poseidone, invoca la vendetta del padre, maledicendo Ulisse e condannandolo a un viaggio ancora più lungo e tormentato verso casa.

Per tutta risposta Polifemo scagliò in acqua un masso che cadde a poca distanza dalla prua della nave e sollevò un’onda che per poco non la respinse sulla spiaggia. Odisseo rise e gridò: «Se qualcuno ti chiederà chi ti ha accecato, rispondi che non fu Oudeis, ma Odisseo d’Itaca!» Il furibondo Ciclope pregò allora Poseidone: «Padre, fa’ sì che il mio nemico Odisseo, se mai ritorni in patria, vi giunga tardi e a stento, su nave altrui, dopo aver perso tutti i suoi compagni, e nuove sciagure trovi oltre la soglia della sua casa!» Poi scagliò un secondo masso che cadde dietro la nave e la spinse veloce verso la spiaggia dove i compagni di Odisseo lo attendevano ansiosi.

L’episodio di Ulisse e Polifemo incarna il trionfo dell’intelligenza sulla forza bruta. Ulisse, grazie alla sua astuzia, riesce a sfuggire a un avversario apparentemente invincibile, trasformando la propria vulnerabilità in un vantaggio. Tuttavia, l’orgoglio finale dell’eroe sottolinea anche l’ambivalenza del suo carattere: la sua intelligenza è una risorsa che gli permette di sopravvivere, ma la sua arroganza lo espone a ulteriori pericoli.

I Viaggi di Odisseo, riassunti dalla versione di Robert Graves ne “I Miti Greci”. Un libro pubblicato da numerose case editrici e che vi consigliamo caldamente.

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