Crisi Finanziaria: Un'Analisi Approfondita
Se un governo potesse stampare moneta all'infinito e autocancellare il proprio debito (o direttamente non emettere debito), cosa accadrebbe?
Il ruolo delle banche centrali e del debito pubblico
In tutto il mondo si studia che quello con base monetaria, nelle forme istituzionali storicamente e giuridicamente definite, è una delle possibili forme di finanziamento della spesa pubblica, o meglio, di copertura dello scarto fra le voci di spesa e le altre voci di entrata (raccolta fiscale, emissione di debito). Chi non lo sa semplicemente non passa l’esame, perché è materiale banale, ovvio. Non si tratta di chiedere al bancario centrale di dare una mancetta a tutti i cittadini perché la spendano in caramelle.
Si tratta di finanziare investimenti, di assicurare l’operatività dei servizi pubblici, comprando benzina per le ambulanze e le volanti della polizia, comprando la carta igienica per i cessi delle scuole, e magari trasformando questi cessi in gabinetti; si tratta di evitare che ogni episodio di maltempo faccia un paio di morti; si tratta, se è il caso, e per tornare alla cronaca del giorno, di salvare istituzioni finanziarie.
Riconoscere che il potere di emissione di moneta è un attributo essenziale e fisiologico della sovranità statuale (comunque costituita: in forma democratica, o in altre forme), significa distinguere fra un mondo nel quale lo Stato rivendica il diritto di poter agire per il bene dei propri cittadini, disciplinando i mercati, e un mondo nel quale si attribuisce ai mercati il diritto di comprimere la democrazia e il potere regolatorio dello Stato, nell’interesse dei mercati stessi.
Quello che va capito e rivendicato è che in tutto il mondo il finanziamento monetario della spesa pubblica da parte di una banca centrale nazionale è, o è stato (e comunque tornerà ad essere), una delle modalità ammissibili di esercizio della sovranità economica dello Stato. È letteralmente roba che si studia a scuola, sono lebbasi, le fottute bbasi della politica economica.
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E’ in questo libro che gli economisti individuano una particolare interpretazione dell’indebitamento pubblico di un paese. L’interpretazione tradizionale del debito pubblico - spiega l’economista di Harvard Gregory Mankiw nel suo manuale di macroeconomia - si fonda sul presupposto che, quando il governo abbatte le imposte, finanziando la spesa con un deficit di bilancio, i consumatori reagiscono al maggior reddito disponibile aumentando la spesa.
Un’interpretazione alternativa, detta appunto “equivalenza ricardiana”, mette in discussione questo presupposto. Secondo l’interpretazione ricardiana, i consumatori sono previdenti e, perciò, basano la loro spesa non solo sul reddito disponibile attuale ma anche sul reddito futuro atteso.
Il problema sorge quando il governo taglia sì le tasse, ma finanzia tale diminuzione di imposte con maggiore debito. Il consumatore previdente ritiene che il governo dovrà aumentare di nuovo le imposte in futuro per rimborsare questo maggior debito e gli interessi accumulati. Detto in altri termini: una riduzione delle imposte finanziata con il debito non riduce il carico fiscale, ma lo trasla nel futuro e perciò non dovrebbe incoraggiare i consumatori a spendere di più. Ecco l’equivalenza ricardiana: il debito pubblico equivale a tasse future.
Similitudini tra crisi passate e presenti
Nel 1873 c’è stata la prima grande crisi economica di portata mondiale, è durata 22 anni e ha preso il nome di Grande Depressione. A volte il passato ritorna e facendo un confronto tra la crisi attuale e quella di fine Ottocento ci rendiamo conto che ci sono diverse similitudini.
Presupposti iniziali
Nel 1873 si arrivava da una costante crescita economica, durata più di 30 anni e dovuta per lo più alla rivoluzione industriale. Ma anche nei 30 anni prima della crisi del 2008 c’era stata una forte crescita, infatti secondo l’IMF World Economic Outlook di Aprile 2008 la crescita del PIL mondiale dal 1978 al 1995 è stato di 3,2% annuo, tra il 1995 e il 2007 del 4% annuo e se teniamo conto solo dell’ultimo periodo pre-crisi, 2003-2007, abbiamo una crescita del PIL di ben 4,5%.
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Origini delle crisi
Come riporta il Prof. Scott Reynolds Nelson, del College of William and Mary di Williamsburgh (Virginia), storico dell’Ottocento, nel 1873 la crisi partì dal settore immobiliare e poi si trasferì al settore finanziario, causando un crollo delle borse. Alcuni anni prima della crisi infatti in Europa c’era stato un boom incontrollato nelle costruzioni, favorito anche da istituti finanziari che concedevano prestiti in maniera troppo azzardata, senza particolari garanzie. Dall’Europa poi c’è stato il contagio globale.
Nel 2008 si è verificata esattamente la stessa cosa, solo che questa volta è partito tutto dagli Stati Uniti. Si è verificata una bolla immobiliare e c’è stata la crisi dei cosiddetti mutui subprime, cioè le banche prestavano denaro a clienti a forte rischio debitorio e questi non riuscivano a rimborsare i prestiti facendo andare in crisi il sistema.
Reazioni
Il panico oggi come ieri ha avuto la meglio. L’8 maggio 1873 crollò la borsa di Vienna e ciò generò il panico, le banche cercarono di salvare il salvabile, creando però una spirale negativa che fece salire enormemente il costo del credito interbancario. Da lì a poco crollo tutto e ci fu il fallimento di una delle maggiori banche statunitensi, la Jay Cooke & Company.
Nel 2008 stessa cosa, crollo del mercato immobiliare, crollo del valore del dollaro, ondate di vendite da panico e l’indice S&P500 di Wall Street che tra settembre e ottobre 2008 segna una flessione del 25,9%. La crisi iniziata nel 1873 si è poi protratta per un periodo molto lungo, solo nel 1895 c’è stata una vera ripresa.
Le misure adottate all’epoca furono grosso modo le stesse adottate oggi: forti interventi statali nell’economia. Anche se con modalità diverse, mentre nell’Ottocento gli Stati aumentavano le commesse pubbliche per aiutare le imprese, oggi gli aiuti si sono concentrati nell’aiutare le banche a non fallire. Altra operazione fatta nell’Ottocento è stata quella di aumentare i dazi doganali, operazione richiesta anche oggi da diversi analisti, ma per adesso la proposta protezionistica non ha trovato terreno fertile.
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L'impatto dell'austerità
Persino gli arcigni custodi dell’economia del Fondo monetario internazionale hanno cambiato idea: non più di tre mesi fa hanno deciso che un eccesso di austerity strangola l’economia. Di conseguenza hanno cominciato a cambiare i loro modelli: mentre prima pensavano che ad ogni punto percentuale di taglio del deficit avrebbe corrisposto mezzo punto in meno di crescita, ora ritengono che il taglio di un punto nelle spese riduca almeno di un punto il Pil.
E se la crisi europea degli ultimi quattro anni ha fornito prove abbondanti degli effetti nefasti del rigore a senso unico, ora l’allarme arriva anche nel nostro paese e per mezzo dell’autorevole «Bollettino » della Banca d’Italia.
Ad appesantire il risultato del Pil, come spiega con evidenza una tabellina di Bankitalia, sono le manovre di finanza pubblica che hanno affossato le previsioni e, di conseguenza il Pil dello scorso anno di un punto (un terzo della differenza complessiva) e quelle dell’anno in corso di 1,1 punti (la metà dello scarto).
In altre parole il rigore abbatte il Pil, le entrate diminuiscono e il deficit sale di nuovo rendendo necessaria una nuova e dolorosa manovra. La caduta del Pil a causa dell’austerità non fa altro che aumentare il rapporto che quest’anno raggiungerà il 126,1 per cento del Pil.
Produttività del lavoro
Mentre il mercato continua a scommettere su chissà quale inflazione e quotidianamente si beve le meraviglie adulcorate dei dati sull’occupazioni, oggi ci occupiamo di una vecchia conoscenza, la produttività del lavoro.
Le revisioni hanno portato per il 2022 al più grande calo in assoluto della produttività in America da quasi 50 anni. Tra il 2010 e il 2019, la produttività degli Stati Uniti è cresciuta più lentamente che in qualsiasi altro decennio del secondo dopoguerra. Il settore delle imprese è cresciuto in media dell’1,1% all’anno, meno della metà della crescita media annua del 2,5% dal 1950 al 2009.
Il quadro d’insieme è che aumentano i lavori a part-time, temporanei, le persone vicine alla pensione lavorano meno, chi fa due lavori magari di un’ora al giorno viene considerato come doppia occupazione piena e quindi come per magia i lavori raddoppiano.
Il crollo della produttività, non è altro che la “smoking gun” di un mercato del lavoro in declino, non c’è nulla di vero in quello che raccontano, ma serve per tenere in piedi l’amministrazione Biden e la sua guerra, visto che il prossimo anno ci saranno le elezioni.
Il cruscotto invece, ci dice che la recessione è assicurata mentre crolla la produttività e questo suggerisce di smettere di guardare lo specchietto retrovisore e prepararsi al botto.
Inflazione
L'inflazione a febbraio scende dal 10 al 9,2%. In Eurozona frena all’8,5% … destagionalizzando i prezzi di base, l’aumento di febbraio è inferiore anche nei dati core, ma questo nessuno ve lo dice.
Si tira fuori il maltempo, la Pasqua e manca solo la Luna, in attesa del dato di venerdì, insieme a quello sulle vendite al dettaglio che ci racconterà come sta il leggendario consumatore americano in mezzo alla piena occupazione e con stipendi che fanno gola ad un nababbo.
E’ incredibile come ormai nel mondo della finanza ci sono più ignoranti che gatti e volpi come nel campo dei miracoli di Pinocchio.
No dai, non dirmi che qualcuno si sta accorgendo che la crescita americana è tutta un grande bluff e che la rotazione in corso verso i mercati europei e emergenti andrà avanti sino all’estate quando tutto crollerà nello spazio di un istante.
Eccesso di sicurezza e spregiudicatezza
La crisi finanziaria? Causata dell’abuso di cocaina. Ne è convinto David Nutt, ex consigliere del governo britannico. Per il professore di medicina, consumo eccessivo di stupefacenti ha alimentato un senso di onnipotenza, letale per il mondo della finanza.
David Nutt, ex presidente del Comitato di consulenza sull’abuso di droga, punta il dito contro l’eccessivo uso di stupefacenti fatto dai dipendenti della City che, a suo dire, avrebbe alimentato un “eccesso di sicurezza” e una spregiudicatezza dalle conseguenze disastrose per il sistema finanziario.
Tabella riassuntiva: Similitudini tra la crisi del 1873 e del 2008
Aspetto | Crisi del 1873 | Crisi del 2008 |
---|---|---|
Presupposti | Crescita economica di 30+ anni | Crescita economica di 30 anni (1978-2007) |
Origine | Settore immobiliare in Europa | Settore immobiliare negli Stati Uniti (mutui subprime) |
Reazioni | Panico, crollo delle borse, aumento del costo del credito interbancario | Panico, crollo immobiliare, crollo del dollaro, ondate di vendite |
Misure adottate | Interventi statali (commesse pubbliche), aumento dei dazi doganali | Interventi statali (aiuti alle banche) |