La Guida del Viaggiatore Contadino: Un'Esplorazione del Turismo Sostenibile e del Ritorno alla Terra
La "Guida del Viaggiatore Contadino" rappresenta un invito a riscoprire un turismo più consapevole e rispettoso dell'ambiente, un viaggio alla riscoperta delle radici agricole e della saggezza contadina. Massimo Acanfora, giornalista, editor e autore, ha dedicato la sua carriera alla promozione del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, culminando nella curatela della collana “I Salmoni” di Altreconomia, interamente dedicata ai viaggi controcorrente e al turismo responsabile. Tra le sue opere spicca proprio "La Guida del Viaggiatore Contadino", un manuale per esplorare l'Italia rurale in modo autentico e sostenibile.
Massimo Acanfora: Un Pioniere del Turismo Responsabile
Massimo Acanfora (Milano, 1966) è giornalista, editor e autore. Lavora tra Milano e Genova. È stato tra i fondatori della fiera “Fa’ la cosa giusta!”, nel 2004, e ha una lunga storia di militanza nel giornalismo sociale, nella promozione del consumo critico e degli stili di vita sostenibili. Ha lavorato per molti anni come responsabile editoriale di Altreconomia. Oggi cura la collana “I Salmoni” di Altreconomia, dedicata ai viaggi controcorrente e di turismo responsabile. È autore e co-autore di numerosi libri, tra cui “La guida del viaggiatore contadino”, “L’altra montagna”, “Il campeggio ecologico”, “Il Cammino che Unisce” e la guida "Milano. La città ecologica, sostenibile e solidale”. È un camperista che ama i viaggi lenti, la buona cucina e la buona compagnia. Il suo camper è un T4 del 1994 di nobile semplicità.
Il Ritorno alla Terra: Un Fenomeno Complesso
È noto che il “ritorno alla terra” del secolo scorso ebbe come protagonisti giovani che lasciavano le città, in cui erano cresciuti e si erano formati, alla ricerca di qualcosa che permettere loro di realizzare gli ideali in cui credevano. Non tutti sanno invece che non fu esclusivamente un fenomeno di origine urbana. I movimenti sociali, politici e culturali alternativi degli anni ’70 avevano avuto nel tempo una pervasività tale da toccare anche le aree più periferiche del paese, al punto che molte delle istanze che spingevano dei giovani cittadini a tornare alla terra furono, almeno in parte, le stesse che portarono un certo numero di figli di contadini a tornare o a permanere sulla loro terra per tentare nuove vie.
Il Caso di Gino Girolomoni
Il caso più famoso è quello di Gino Girolomoni (1946-2012) che, come spiega il suo biografo Massimo Orlandi [ M. Orlandi, La terra è la mia preghiera. Vita di Gino Girolomoni padre del biologico, ed. Racconta
Esperienze Cooperative: Valli Unite e IRIS Bio
Enrico, Cesare e io…siamo qui insieme dal 1977. Cesare faceva l’operaio, Enrico aveva fatto l’operaio ed era tornato a lavorare la sua terra. Io lavoravo per conto mio da solo ormai da più di 10 anni. Anche se mio padre era morto quando avevo 18 anni, la sicurezza di avercela fatta ormai ce l’avevo. Facevo il vino per conto mio, avevo una etichetta…. Era arrivata anche qui la spinta, forte in quegli anni, a fare qualcosa insieme…era qualcosa di nuovo.
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Era l’idea che mettendoci insieme avremmo potuto convincere gli altri, il paese, a fare quelle cose che parevano impossibili: riaprire le stalle, riaprire i pascoli ormai abbandonati; ricominciare. Non erano idee che ci venivano dal paese o dalla famiglia. Lì non c’era la politica. Ci erano arrivati messaggi che non saprei definire - forse ex sessantottini - che per la prima volta rivalutavano il nostro lavoro, la campagna, il contadino “ [Manlio Calegari, La porta aperta - vent’anni di Valli Unite raccontati da Ottavio Rube, Selene Edizioni 2001, pag. 9].
E aggiunge Ennio Ferretti (già nella coop. Valli Unite - oggi Az. Agricola a conduzione biologica La Morella di Carezzano - AL): “…Eravamo amici, avevo la mia azienda ma ero andato a dare una mano a spegnere l’incendio che avevano avuto nel ’77 o ’78, allora erano in 5 nella società Valle Ossona. Avevano fatto una cena a seguito dell’incendio e lì abbiamo cominciato a ragionare di fare una cooperativa perché io, Ottavio, Enrico, Cesare, avevamo delle nostre aziende ma non avevamo più i genitori, se avessimo avuto i nostri padri non so se saremmo riusciti a metterci insieme a quei tempi, comunque un punto a nostro favore era quello: potevamo fare quello che volevamo perché gestivamo noi l’azienda.
Siamo andati avanti un anno a mettere giù la bozza di questa cooperativa… Noi volevamo vivere sì bene ma anche in un modo naturale…. Per me credo che sia stato importante dire rallentiamo un po’ questo progresso che ci sta arrivando, perché vedevo che il mio vicino di casa - sono nato qua, poi sono andato a Tortona, ho fatto un po’ di cose, anche un po’ di università - dava il diserbante e poi mi diceva: ma lo sai che c’è qualcosa che non va…si sente un gusto…roba grama.. (in dialetto). Perché poi sono stati quelli più giovani, i miei coscritti, e non i vecchi, che sono entrati in questa logica produttivistica. I vecchi provavano e poi dicevano che secondo loro c’era qualcosa che non andava, l’erba tutta bruciata… Come mai? I giovani non si facevano questa domanda…. per loro l’importante era produrre, fare i soldi, avere il trattore grosso“.
In una intervista del 2011, Maurizio Gritta racconta a proposito della fondazione della cooperativa IRIS bio di Calvatone (CR): “ Iris nasce sul campo…io sono figlio di un bracciante analfabeta…e gli altri erano figli di muratori, manovali e chi aveva il genitore più istruito aveva la mamma che faceva la maestra e insegnava catechismo…noi ci trovavamo a discutere di cosa fare della nostra vita, non ci stava bene quello che facevamo anche se eravamo ragazzi estremamente sereni, abbiamo discusso per due anni, già nel ’76 avevamo iniziato questo percorso e io avevo 19 anni. Ed ero uno dei più anziani…Venivamo tutti da quella congerie culturale degli anni settanta, figli di quel contesto rurale, influenzato dai fermenti urbani di Milano…per quel che mi riguarda la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il conflitto col mio padrone…mi chiese di andare a fare la patente per il diserbo e io gli risposi di no. …E’ nel ’78 che il gruppo si solidifica e si decide di partire.
Dal notaio andiamo nel 1984 e facciamo sei anni dove ognuno di noi ha mantenuto il posto di lavoro e dedicava il sabato e la domenica alla cooperativa… Ci legava l’amore per la terra. Io lavoravo in agricoltura come altri tre o quattro di noi fondatori… lavorare la terra nel rispetto della natura, produrre e vendere direttamente i propri prodotti sono stati i caposaldi della cooperativa…” [G. Canale, M. Ceriani, Contadini per scelta. Esperienze e racconti di nuova agricoltura, Jaca Book 2013, pagg. 241 e segg,]. E di nuovo nel 2019 in un’altra intervista afferma: “…io vengo da una scelta diversa [rispetto ad altri esponenti storici del Movimento Bio], io vengo proprio dal fatto che sapevo fare agricoltura, avevo passione, non mi stava bene l’agricoltura nella quale lavoravo, cercavo delle vie, avevo letto delle cose, Draghetti, Fukuoka, Howard… e poi avevo vicino la parte politica…ero già anarchico, frequentavo gruppi anarchici, cercavo la mia strada… Lo sai benissimo che i discorsi erano la lotta di classe.
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Lino Verardo: Un Percorso Personale
Lino Verardo, che ha la stalla e le sue terre a San Ponzo Semola, Ponte Nizza (PV), ricorda: “…sono nato a Genova Pegli ….mio nonno [paterno] era di Pegli, invece dalla parte di mia mamma venivano dalla Val Polcevera avevano le vacche a Pegli, per andare verso San Carlo di Cese, Tre Ponti in Val Varenna…è con mio nonno materno che stavo sempre insieme… sono sempre vissuto con mio nonno, è lui che mi ha inculcato la passione per le vacche, poi negli anni sessanta gli hanno fatto l’esproprio dei terreni per i depositi di petrolio in Val Varenna.
Avevo sei o sette anni, sono del ’55, e siamo andati a vivere in un appartamento(…)…Però avevo i miei zii….che abitavano a Serra Riccò in Val Polcevera e tenevano ancora le vacche e la terra… Finita la scuola per tre mesi d’estate andavo su e si facevano i lavori in campagna…io volevo fare una scuola legata all’agricoltura, ma a Genova c’era solo quella dei fiori di S. Ilario…allora ci siamo informati e qui a Voghera c’era la scuola di agraria, il Gallini…Così viaggiavo da Pegli, partivo con il treno delle 5.20 del mattino. A 13 anni ho cominciato a fare quella vita…Nella scuola agraria c’era la stalla e quando finivano le lezioni io andavo sempre là… ero già un po’ sovversivo, quella era una scuola frequentata da figli degli agrari… io ero figlio di un operaio e i contadini giù di là non li consideravano nemmeno…Ho fatto poi il militare, due anni, e sono tornato a casa a Pegli…mio padre è morto nel ’78, faceva il saldatore all’Ansaldo…Allora ho detto a mia madre: guarda vado a trovarmi un lavoro.
Ho preso la R4 e il mio sogno era l’Emilia così sono andato a Reggio Emilia…lungo la via Emilia ho visto una cascina dove c’erano i tori da riproduzione…sono andato a vedere…e mi hanno detto: da domani può cominciare…Sono stato due anni a Reggio Emilia… Il mio sogno era quello di mettermi in proprio, di tenere le vacche per conto mio…Così mi sono licenziato da Reggio, sono andato in banca per farmi dare sette milioni di lire per comprare sette vacche che ho portato giù da Reggio, ho caricato la motofalciatrice che un contadino mi ha regalato sulla R4…e sono arrivato in questa terra incolta.
Il mio capitale era la motofalciatrice e le vacche con il mutuo da pagare…io non uso niente, né concimi, né diserbo e agli animali do il fieno che faccio io. Non sono certificato perché mi sembra una cosa assurda che chi mi certifica lo debba pagare io,,” [G. Canale, M. Ceriani “Contadini per scelta. Esperienze e racconti di nuova agricoltura” Jaca Book 2013, pag.
La Civiltà Contadina e la Solidarietà
Quello che mostrano con grande evidenza questi casi è la voglia di riscatto di una civiltà contadina di cui quei giovani erano gli ultimi eredi (proprio nel 1977 era uscito “Il mondo dei vinti” di Nuto Revelli). Ma tale motivazione, come rammenta Ottavio Rube, poteva esprimersi proprio perché stava cambiando nelle città l’atteggiamento verso la campagna e i contadini. Allo stesso tempo questi giovani che spesso avevano studiato, magari proprio perché i loro genitori non volevano che dovessero fare i contadini, condividevano gran parte della cultura giovanile e gli ideali dei movimenti di quegli anni.
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Sceglieranno in molti di dar vita a delle cooperative perché volevano essere senza padrone, ma più in generale condividevano con i giovani di città valori di egualitarismo, di solidarietà, di anti autoritarismo. Per queste ragioni ci sembra interessante pubblicare a confronto due testimonianze individuali - una di un figlio di contadini e l’altra di un cittadino, nati entrambi nel 1956. Bruno Sebastianelli è uno dei fondatori e attuale presidente della cooperativa La Terra e il Cielo (Piticchio di Arcevia - AN). Nato e cresciuto nella regione Marche, posso dire di essere Marchigiano DOC.
Sono cresciuto in una famiglia di mezzadri, e ho vissuto gli ultimi anni della mezzadria e della civiltà contadina oramai scomparsa. Cos’è la mezzadria? Per chi non la conosce, nelle nostre zone dell’Italia centrale era la cosa più diffusa: solitamente c’erano grossi proprietari terrieri, generalmente nobili, che davano in gestione un appezzamento di terreno con la casa ad una famiglia di contadini. La grandezza del terreno variava secondo la numerosità della famiglia, soprattutto si guardava se c’erano uomini forti e robusti, spesso le famiglie erano composta da 20 o anche più persone.
Questa numerosità però era più della generazione dei miei genitori, la mia famiglia era composta da 6 persone, i nonni, i miei genitori e una sorella di mio padre che poco dopo si è sposata, quindi siamo rimasti in 5, si viveva con 6 ettari di terreno a mezzadria e i miei hanno pure risparmiato! Torniamo alla mezzadria: una volta assegnato il terreno al contadino, al momento dei raccolti il 58% andava al mezzadro e il 42% andava al padrone. Questo rappresentava però solo l’ultima conquista dei contadini prima del superamento della mezzadria: subito dopo la guerra infatti era 50% ciascuno, e prima della seconda guerra mondiale la maggior parte del raccolto lo portava via il padrone [vedi: Bruno Sebastianelli, “Contratto di mezzadria del 1911” - sezione Documenti ].
Ho definito le famiglie che vivevano sulla terra una vera e propria “Civiltà Contadina” perché per loro l’economia circolare era la normalità quotidiana: la sostanza organica, il letame, veniva curato più di ogni altra cosa, esisteva una legge nazionale per come trattare e curare il cumulo del letame. Tutto si faceva in casa, anche se già ai miei tempi, negli anni 60, parecchio era scomparso. Si faceva il pane in casa, il bucato, e per detersivo si utilizzava la cenere, si facevano le scarpe e soprattutto gli zoccoli di legno, si coltivava la canapa per poi fare i vestiti che le donne tessevano al telaio.
Un momento, non bello, ma importante per la famiglia, era l’uccisione del maiale. E qui mi vien di raccontare una piccola storiella: quella delle vacche che tornavano dal duro lavoro nei campi, passando davanti alla stalla del maiale, e il maiale dice alle vacche: come siete sfortunate, voi lavorate sempre invece io mangio e non faccio niente! Allora le vacche guardando il maiale gli dicono: ma attento caro amico! Ma la cosa più bella era la grande solidarietà che esisteva tra i contadini. I lavori si facevano tutti insieme e nei campi si cantava e si scherzava.
Il momento magico, per me e per tutti, era la mietitura e trebbiatura del grano. Sarà perché era finita la scuola e quindi erano da poco iniziate le vacanze, ma soprattutto era l’entusiasmo, la gioia, la festa, tutto questo lo sentivi anche nell’aria, perché per i contadini era il momento del raccolto e da questo si decideva il destino della famiglia per l’anno che veniva, grasso se il raccolto era buono, magro se era scarso.
C’era poi il momento del raccolto del grano turco (mais), la vendemmia, la raccolta delle olive e poi si andava in letargo con l’inverno. D’inverno tutta la vita rallentava e spesso si passavano le serate con i vicini (la veglia) a giocare a carte o ballare nel periodo di carnevale. Mi ricordo, ma ero proprio piccolo, che durante il periodo invernale tutto rallentava, sia le persone che gli animali, si mangiava meno. Le vacche mangiavano due volte al giorno, il mattino e la sera, come noi uomini. E a mezzogiorno per noi era una cosa molto frugale, due olive con il pane o noci con il pane. Ma ho un ricordo meraviglioso di quel periodo, questo ha creato le fondamenta della mia vita.
Ma poi un giorno troviamo un liquido nero, e cosa sarà ci siamo detti! Nella nostra casa non c’erano riscaldamenti, proprio all’inizio degli anni 60 c’era solo un camino, poi è arrivata una stufa che scaldava molto meglio la cucina, ma le camere erano gelide e per scaldare il letto si metteva, si chiamava così, “il prete con la monica”. Il prete era un trabiccolo di legno che si infilava sotto le lenzuola con la monica, un tegame di terracotta con dentro carboni ardenti per scaldare il letto e quando si entrava sotto le lenzuola era caldo caldo. La nostra casa non aveva il bagno, in inverno si andava in stalla perché era il punto più caldo, l’ambiente veniva scaldato dall’alito delle vacche, in estate c’era un casotto costruito sopra la letamaia che fungeva da bagno.
Ci si lavava in una grande “mastella”, un grande recipiente prima di legno, poi di plastica, quando arrivò. I primi anni del 60 non c’era tv, non c’era frigorifero, c’era solo una radio per sentire ogni tanto le notizie. Il mio piccolo paese, Mondavio in provincia di Pesaro, per diversi anni è stato amministrato dall’allora Democrazia Cristiana, ma in un paese confinante, Barchi, per la prima volta aveva vinto il partito Comunista; questa nuova amministrazione come primo intervento ha acquistato un pulmino per portare i bambini a scuola e noi tutti entusiasti di questo comune che finalmente i bambini non dovevano più camminare! Ma oggi dico Maah!!!! Crescendo però tutto questo mondo bucolico della campagna mi cominciava a pesare, anche perché gli anni 60 hanno rappresentato l’abbandono della campagna per andare a lavorare nelle fabbriche.
A quei tempi si diceva: “en ce piov en ce nengue” non ci piove e non ci nevica, il 27 del mese si prende la paga! In quei tempi, ma anche prima, è iniziata la denigrazione dei contadini: i figli dei contadini facevano fatica a trovare una moglie, perché nessuno più li voleva, perché considerati arretrati. Una donna non voleva sposare un contadino per poi andare a lavorare nei campi, era iniziata,...
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La "Guida del Viaggiatore Contadino" non è solo un elenco di luoghi, ma un invito a vivere un'esperienza di viaggio trasformativa, riscoprendo il valore della terra e della comunità.
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