Le Attrazioni del Varietà: Storia e Significato
Se vi trovate a Parigi e la sera volete godervi la vita notturna della città, il posto ideale è proprio uno dei tanti cabaret di Parigi. I cabaret sono locali che offrono spettacoli di ballo famosi in tutto il mondo, come il can can appunto e sono il simbolo della affascinante vita notturna di Parigi.
Il Moulin Rouge, resta quindi il più famoso e conosciuto in assoluto, ma ci sono anche il Crazy Horse e il Paradis Latin.
Nascita ed Evoluzione del Cabaret a Parigi
Ma facciamo un salto nella Belle Epoque esplorando i quartieri parigini dove il cabaret e quindi il can can nascono e si sviluppano.
A Pigalle, ai tempi della Belle Époque aveva grande successo il Divan Japonais, café decorato e arredato in stile nipponico. Il locale cambiò nome nel 1901, diventando il Théâtre de la Comédie Mondaine, prima di essere sostituito da un teatro erotico. Infine, ha riaperto i battenti venti anni fa, con il nome di Le Divan du Monde e attualmente è un club che ospita anche concerti.
Folies Bergère nel IX arrondissement, ospitava balletti, operette e spettacoli teatrali di varietà. Inaugurato nel 1869 tre anni dopo cambiò nome e qui si poteva mangiare, bere, giocare d’azzardo e ballare. Tutt’oggi funzionante, è una music-hall che propone sia ristorazione che spettacoli dal vivo.
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Oltre a Pigalle, la vita notturna della Belle Époque aveva come scenario la pittoresca place du Tertre e le strade di Montmartre, quartiere che attirò artisti e letterati.
Le Chat Noir, divenne in breve tempo un ritrovo di poeti per poi ospitare spettacoli di cabaret. Oggi non esiste più, ma è famosissima l’insegna Le Chat Noir, affissa alla porta del cabaret, e l’immagine del Gatto Nero appunto è diventato uno dei tanti simboli della Città. Al 22 di rue des Saules c’è ancora oggi il piccolo Lapin Agile aperto nel XVIII secolo come Cabaret des Assassins. Anch’esso è un locale storico della Belle Époque e qui si puo’ assistere ad uno spettacolo ogni sera.
Il Can Can: Simbolo di Parigi
Si sa che al nome Parigi è associato anche il celebre french can can, spettacolo di ballo tipico della tradizione parigina, che viene tutt'oggi rappresentato al celebre cabaret Moulin Rouge, a Pigalle.
Inizialmente "Moulin de La Galette", la sala da ballo del Moulin Rouge viene ricavata da un vecchio mulino, e diventa ben presto un locale di successo, anche per il suo repertorio di danze e spettacoli allora ritenuti licenziosi, fra cui il can-can.
Il pittore Toulouse-Lautrec, ritrasse sempre nelle sue opere pittoriche la vita del can can essendo lui stesso un assiduo frequentatore del Moulin Rouge. Le origini del can-can (il cui nome deriva forse dalla storpiatura della parola francese "scandal") sono piuttosto incerte. Molto probabilmente il più famoso ballo deriva dal "galop" della quadriglia, inventato nel 1850.
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Storia del Varietà
Poi che giorno non passa senza che non si debba lamentare la fine di qualche genere di teatro (si legge, fin troppe volte, che è morto il Teatro di prosa, che il Teatro lirico fu, che l’Operetta si è resa defunta...) mi pare proprio necessario avvertire che il Teatro di Varietà non ci tiene a far brutta figura con le arti sorelle e maggiori.
Non era, no, nel fiore degli anni. Era vecchio, d'accordo, il Varietà: ma, come dico, gli anni li portava abbastanza bene.
Ha speso un patrimonio, il vecchio Varietà, in ritrovati e ricette, per darla ancora ad intendere. C'è, naturalmente, chi sostiene che fu precisamente questo pazzesco treno di vita a dargli il tracollo. E può anche darsi. Fatto sta che ormai non ci resta se non lacrimare sulla sua spoglia immemore.
Eppure, qualche cosa di buono ha fatto anche lui, nella vita. Qualche ora di buon umore cc l'ha data a tutti; qualche spasso, un po' di distrazione, una serata intenzionalmente gaia non cc l'ha fatta mancare.
Il Varietà italiano, a quei tempi, parlava, suonava e cantava ancora italiano. I tempi di Maldacea, della Di Landa, della Sampieri, di Viviani, della Donnarumma, di Petrolini, Pasquariello, Riccioli, Cuttica, dei Faraboni, degli Ausonia... I tempi che al Varietà non negarono il loro contributo di parole e di suoni gente come Di Giacomo, Mario Costa, Ernesto Murolo, Carlo Veneziani, E. A. Mario, Ugo Ricci...
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Quando si pensa alle quattro, alle cinquecento lire italiane che si davano, come un favoloso cachet a queste stellissime d'anteguerra e si riflette alle otto, alle nove, alle diecimila giornaliere (viaggi aller-retour in prima, non se ne parla..!) che bisogna umilmente offerire, al giorno d'oggi, alle grandi celebrità internazionali del Varieté, per il gusto d'averle sull'affiche, c'è di che mortificarsi davvero...
Come si vede, speculazione di primissimo ordine. Uno che si e occupato, per un paio d'anni, di presentare alcuni grandi programmi in un teatro milanese, fatto e costruito appositamente allo scopo, mi ha narrato adesso vita morte e miracoli del perfetto teatro di varietà.
Back: ti parlo del grande agente, di quello che ha il suo lussuosa bureau sull'Avcnue des Champs-Elysées, o nella Kurfurstcrdamme, o nella Karnestrasse, o nello Strand... Gente come si conviene, dove si fa un'ora d'anticamera, dove vedi entrare o uscire come niente fosse, Raqucl Mellcr, Maurice Chevalier, Jack Hylton. Kuhdick, Rastelli, Chaliapine, Padilla, le Dolly Sistcrs. Dove senti ridere in inglese, sacramentare in tedesco, telefonare in russo, parlare in americano...
Tu vai dal grande agente, scegli il numero disponibile per la tua stagione, fissi il compenso, firmi il contratto. E cosi firma l'artista, o, nella maggioranza dei casi, l'agente per lui o per lei, o per loro. E te ne torni al tuo paese. Lì te ne stai tranquillo come un papa, ma un poco meno, e aspetti, a suo tempo, che il telegramma ti annunzi l’arrivo.
- No: sta sicuro, che quando c’è un telegramma, vuol dire che non c'è più il «numero». - Già. Tu hai fatto assegnamento sulle indiscutibili grazie di due vezzose fanciulle americane (russe, beninteso, ma non importa) e ti vedi offrire in loro vece, un Perez qualsiasi, di quelli che si fanno rotolare il cilindro sulle braccia... Sbalordito, indignato, telegrafi: «Pas possible jongleur stop vous prie engager jolies femmes telegraphiez urgence amitiés...,». Risposta: «Formidable attraction douze chiens sur piste tout premier ordre deux mille dollars semaine voyages bagage votre charge lettre suit..».
Cucite sempre, l'agente è un mediatore non corre alcun rischio, nemmeno quando non corrano i levrieri. Appartiene, te l'ho già detto, a quella famosa quarta categoria. In quato agli artisti internazionali di varietà, che tu ti accaparri a suon di dollari, di sterline, di marchi oro, essi mantengono i loro impegni firmati, solamente quando non hanno mente di meglio altrove.
Perché oggi, cioè ieri, al pubblico non basta più come ai bei tempi, un solo grande «numero» a modesto contorno. Quel contorno, che era, poi, il maggior divertimento della serata. Ah no! Oggi si pretende tutto un seguito ininterrotto di delizie. E il seguito ininterrotto costa da un minimo di trecento lire al minuto, ad un massimo che mette il capogiro...
Né è sempre detto che, quello che tu hai constatato, de visu, come una delizia indiscutibile per il pubblico di Vienna o di Amburgo, o di Londra, lo sia altrettanto per il pubblico di Milano, o di Roma, o di Torino... Ma che! Dispiaceri in materia, sono all'ordine del giorno.
Certo, i «centri» più reputati del genere, in tutta Italia, sono, da molti mesi, o chiusi o destinati ad altri spettacoli. La maggior parte di essi ospita il Cinema, inasprito da piccolo Varietà. Qualche altro si è dato alla Prosa. Uno, fra tutti, ha fatto una fine curiosissima : sarà occupato da una Banca.
Quando la vita dei grandi centri era più semplice e accolta, l'attenzione della generalità si concentrava più facilmente su certi astri di prima grandezza che brillavano nel firmamento femminino. Gli imballamenti collettivi che si generavano allora per la bella Otero, la Tortajada, la Fougère, si determinano, a buon conto, anche oggi, con relativismi di distanza, che vanno a tutto discapito del realismo, per le elette creature di Hollywood. Guardarsi quindi dal dare la baia ai nostri non molto antichi padri, che accusavano delle vertigini per Emilia Persico o Pepita Rachel.
Cominciarono a discendere intorno al '900 dalle maggiori Capitali d'Europa e principalmente da Parigi e Berlino alcune delle maggiori rappresentanti dei Music Hall stranieri. Alle Kircbner e alle Fouguére, si accompagnarono con tutto il fascinoso fasto di pittoreschi costumi le più selezionate bellezze dell'Andalusia.
Intorno a queste donne di gran classe si polarizzò fino alla manìa l'interesse delle platee. Il Varetè, sfolgorante vetrina, donde si mostrava tanto splendore di raffinate bellezze e di lussuosa dovizia, divenne il centro d'attrazione più ricercato e più elegante.
Naturalmente alle correnti agiate che affluivano verso tali mete seducenti, si accodò tutta una falange impari di certo marginale, che reclamava il tuo posto d'osservazione e di... partecipazione, nonchè di speculatori che si accinse a trarre partito da questa tendenza di moda e si creò in ul modo l’«ambiente», il mondo del Caffè Concerto con tutte le tue gaiezze e tristezze e competizioni. Il miraggio era prevaricante. E il Varietà, proporzionato ai tempi era uno spasso impagabile.
Lo spirito d'imitazione divenne epidemico. Ogni servetta si ritenne designata ad uguagliare la bella Otero e si dibattette per essere iniziata all’arte. Si inventarono così i «primi numeri», le battute d'aspetto, cioè, i preamboli ricreativi, che dovevano guadagnar tempo per preparare lui gretto e il trionfo finale della grande gommeuse o chanteuse.
Danzatrice affascinante, dicitrice garbata, di originale e signorile gusto, possedeva un senso istintivo di misura nelle movenze, nell'incedere, nelle intonazioni, nell’abbigliarsi, che denunziavano lo stile distinto della sua arte portando l'entusiasmo del pubblico al parossismo.
Il successo della Tortajada assunse in Italia l'aspetto di una ubriacatura fanatica. Ma questa donna, verso cui ti appuntavano gli sguardi ammirati e appassionati delle moltitudini, viveva due vite: una artistica, ch’era fatta de splendori mondani e una domestica, ch'era fatta di semplicità, modestia e religione.
Chi avesse scorta nella intimità familiare Consuelo Tortajada, intenta alle più borghesi cure della cucina casareccia, dei lavori donneschi, in vesti tutt’altro che smaglianti, non ai sarebbe facilmente raccapezzato a riconoscere in quella ottima e tranquilla signora, la celeberrima étoile, che in girandole di luci, in fastosi ornamenti di toilettes e con toni cosi vibranti di portamenti. Consuelo, non più che venticinquenne at suo debutto in Italia, aveva un marito quarantenne, don Pedro, che era spaventosamente geloso della sua magnifica consorte.
Sotto la denominazione di “varietà” rientrano i programmi d’intrattenimento più classico, in buona parte derivato dalle formule nate per il teatro e precedenti all’avvento della TV. Il pericolo principale di questi programmi sul piano educativo sta nell’implicita “licenza” che viene concessa alla cornice artistica, ossia quella di veicolare contenuti scorretti oppure densi di ambiguità, in una veste brillante che dà l’illusione di annullarne l’impatto: tipico è il caso di varietà con una missione pure d’inchiesta (come Striscia la notizia e Le iene), dove l’espediente retorico dell’ironia e quello scenico della parodia possono mascherare testi e immagini di stampo sessista, che servono a realizzare l’effetto della comicità.
Spettacolo del “parlato” per antonomasia, il talk show d’intrattenimento è una formula tra le più tipiche della TV moderna o cosiddetta “Neotelevisione”, perché inscena una situazione tra le più consuete della realtà quotidiana e comune a tutte le persone, ossia una conversazione tra individui, in uno studio che riproduce ambienti tipicamente a quel tipo di situazione, come un salotto.
Un altro punto critico riguarda l’impianto dei ruoli, in quanto il talk show tende a porre il conduttore o i conduttori su un piano di sostanziale parità con il pubblico in studio, che rappresenta idealmente l’universo dei telespettatori, o meglio un insieme di telespettatori ben definito, secondo le caratteristiche socio-demografiche del target a cui il programma si rivolge; la messa in scena propone così una illusoria parificazione delle competenze, con l’implicita giustificazione che la vita quotidiana è un campo di esperienza comune a tutti.
Non a caso, questi programmi si rivolgono a un pubblico d’istruzione modesta o tutt’al più media, nonché in gran maggioranza femminile (anche quando titoli e partecipanti simulano un equilibrio tra i due sessi, come in Uomini e donne), che attraggono puntando spesso su una conduttrice donna, chiaramente ritenuta più in grado di affrontare i temi con i loro stessi toni, linguaggi e ottiche; tale espediente aggiunge distorsioni e ambiguità anche nella più generale questione del ruolo delle donne in TV, perché maschera la tendenza ad utilizzarle in prevalenza per trasmissioni di scarsa serietà e di modesta importanza (come potremmo considerare Festa italiana di Caterina Balivo e Se... Il nome stesso che chiama in causa esplicitamente la “realtà”, definisce la facciata che il genere del reality show assume nell’universo dell’Intrattenimento televisivo: un tipo di programmi che sfrutta situazioni reali, inglobandole e inquadrandole - concetto fondamentale, che non coincide con la mera ripresa ma nemmeno con la totale ricostruzione - in percorsi evolutivi o strutture narrative che le rendono spettacolari, solitamente intorno a un gioco che coinvolge un numero definito di partecipanti.
Tale formula fa del reality show uno dei prodotti più “commerciali” della TV, con tendenza a selezionare personaggi stereotipati in modo da suscitare una rapida identificazione presso il suo pubblico: un pubblico composto solitamente da telespettatori giovani e anche adulti ma con un livello d’istruzione non elevato, che tollerano contenuti scorretti come il sessismo e il classismo, spesso incarnati dai personaggi scelti.
È dunque enorme l’ambiguità del “realismo”, se così si può dire, che caratterizza queste formule d’intrattenimento, capace di attingere alla vera vita delle persone per poi manipolarla in misura pesante, a completo beneficio della messa in scena.
I concorrenti hanno più spazio laddove il programma punta su giurati non famosi (è il caso di Masterchef, trasmesso peraltro da Cielo che è un canale di rilievo secondario sulle piattaforme televisive), o quando le singole puntate hanno una durata molto estesa: un fenomeno, quest’ultimo, comune ad altri generi dell’Intrattenimento come il reality, e sollecitato da occorrenze non della messa in scena bensì dei palinsesti, perché consente alle emittenti di coprire più fasce orarie con un solo programma, risparmiando sui costi di produzione.
La naturale vocazione del genere a lanciare personaggi giovani ha innescato un ulteriore fenomeno diseducativo, quello dei programmi che propongono una competizione tra bambini con esibizioni e situazioni inadeguate alla loro età: diversamente dal classico Zecchino d’oro, gli odierni “baby-talent” come Io canto e Ti lascio una canzone fanno interpretare brani dai contenuti intriganti e problematici a bambini anche sotto i 10 anni, col pretesto che l’imitazione degli adulti è una velleità comune a molti bambini, come se non ci fosse differenza tra coltivare quelle velleità imitatorie in sede privata e costruire una messa in scena di grande impatto, che incoraggia i piccoli a comportarsi da adulti e dà l’illusione dell’assenza di barriere generazionali ed educative.
Tra i generi dell’Intrattenimento, il comparto del game show è forse il più univocamente delimitato, in quanto comprende tutti i giochi a premi pur in svariate formule, che peraltro non risparmiano ambiguità di missione ed effetti diseducativi.
L’evoluzione del genere ha inoltre abbassato drasticamente i livelli di competenza, cultura, e allenamento necessari per partecipare e per realizzare le vincite, in linea con i criteri base che caratterizzano la cosiddetta Neotelevisione, e cioè l’utilizzo della gente comune: una strategia al ribasso per catturare le più ampie schiere di telespettatori, col risultato di fare del game show un genere amato dal pubblico meno istruito e raramente giovane.
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