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Analisi di "Consolati, Maria, del tuo pellegrinare" di Guido Gozzano

Guido Gozzano, poeta e scrittore italiano nato a Torino nel 1883 e scomparso prematuramente nel 1916, è considerato uno dei massimi esponenti del crepuscolarismo. Era un poeta solitario, un'anima sofferente nello spirito e nel corpo, afflitto dalla tisi, aspirava a vivere in modo diverso da quello che gli era toccato in sorte.

Tra le sue opere più celebri figura "La Notte Santa", scritta nel 1914 e destinata ai bambini. Questa commovente reinterpretazione in versi della Natività è spesso insegnata nelle scuole elementari, dove i bambini la recitano a memoria come una filastrocca, spesso ignorando che sia stata scritta da uno dei maggiori poeti italiani del Novecento.

- Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!Siam giunti. - O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almenoavete per dormire? Non ci mandate altrove!- S'attende la cometa. - Oste di Cesarea... - Un vecchio falegname?Albergarlo? Sua moglie? La neve! - ecco una stalla! - Avrà posto per due?- Che freddo! È nato!Alleluja! Non sete, non molli tappeti,ma, come nei libri hanno dettoda quattro mill'anni i Profeti,un poco di paglia ha per letto.Per quattro mill'anni s'attesequest'ora su tutte le ore.È nato! È nato!Alleluja!

Prima di analizzare la poesia è innanzitutto necessario contestualizzarla. Il 19 dicembre 1883 nasceva ad Agliè, in provincia di Torino, il poeta Guido Gozzano autore di punta del Novecento italiano. Il mito del Gozzano poeta per i bimbi fu creato da sua madre, Diodata Mautino, che ne curò alcune raccolte postume tra cui Dolci rime. Le poesie raccolte nelle Dolci rime furono effettivamente scritte da Gozzano tra il 1907 e il 1913 e destinate ad alcune realtà editoriali dell’epoca come Il Corriere dei Piccoli e Adolescenza.

Nella prefazione del volume, Diodata scriveva che il libro era dedicato ai bambini: “A voi cari bimbi”. Guido Gozzano nelle Dolci rime raccontava la favola perduta dell’infanzia a sé stesso rammentando anche le consuetudini religiose che scandirono le sue ore infantili. Nell’intenzione originaria la poesia non doveva infatti essere un componimento destinato all’infanzia, ma lo svolgimento di un tema evangelico e persino drammatico quale fu il viaggio accidentato di Giuseppe e Maria per le strade di Betlemme.

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La Natività nei versi di Gozzano viene raccontata nel suo aspetto meno romantico: il poeta non dipinge l’idilliaco scenario del bue e dell’asinello mostrandoci un roseo Gesù bambino già nato, ma descrive Maria che “impallidisce” e “trascolora” giunta allo stremo delle forze. Maria nella narrazione gozzaniana sembra già prefigurare la Madonna piangente che trascolora ai piedi della croce.

Questa Maria “divinamente affranta” riflette già da la Donna de’ Paradiso cantata da Jacopone mentre piange il suo “figlio bianco e vermiglio”. Maria è un personaggio dolente sin da quando patisce le doglie del parto; in questo senso Guido Gozzano contribuisce nel donarci l’immagine meno idealizzata e più realistica della Madonna intesa nel suo ruolo di madre. Il calvario patito da Maria nell’attesa di giungere alla salvezza della Capanna sembra, in un certo senso, anticipare e riflettere quello patito da Gesù sulla via della croce.

La figura di Cristo viene a incarnarsi perfettamente in quella del Redentore venuto dal cielo in terra per riscattare gli umili e gli offesi. Per quanto riguarda la metrica la poesia di Gozzano segue lo schema antico della lauda anche nella ripresa del distico “il campanile scocca lentamente” che chiude ogni strofa segnando il trascorrere delle ore.

La Notte Santa di Guido Gozzano dunque, in origine, non era una composizione destinata ai bambini ma la reinterpretazione di un testo dall’alto valore letterario e una rilettura evangelica. Oggi possiamo leggere il poemetto di Gozzano come un tentativo di umanizzare il divino. Umanizzando i personaggi biblici, Guido Gozzano riesce ad affermarne con maggior vigore lo status di santità.

Maria e Giuseppe ne La Notte Santa non sono più le ingenue e statiche statuine del Presepio, ma un uomo e una donna che hanno patito delle prove, hanno subito il rifiuto e i soprusi, prima di potersi avvalere del diritto inderogabile di santità.

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Nel consueto spazio dedicato alla Letteratura per l’Infanzia, in occasione del Natale, il celebre componimento di Guido Gozzano: La Notte Santa. Il suo interesse per la simbologia del presepe lo portò a vivere la nascita di Gesù Bambino proprio attraverso questo simbolo, quanto di più casalingo e familiare possa esserci.

Il poeta dirà a riguardo:”Il Natale lo sento così. O presepe o niente. Gesù che dovrà essere perseguitato, tradito e croce-fisso dagli uomini senza pietà, nasce tra la pietà delle bestie. San Francesco, primo fabbricatore di presepi, darebbe ragione a me”.

Sia nel componimento qui preso in analisi che nella poesia Natale, in precedenza analizzata, Gozzano sottolinea ancora una volta l’insensibilità degli uomini nei confronti di Maria e Giuseppe contrapposta alla dolcezza del mondo animale nei loro riguardi: la pecorina di gesso in Natale, o l’asino e il bue che accolgono la Madre e il Padre del Salvatore.

Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.Presso quell’osteria potremo riposare,ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.Il campanile scoccalentamente le sei.- Avete un po’ di posto, o voi del Caval Grigio?Un po’ di posto per me e per Giuseppe?- Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppeIl campanile scoccalentamente le sette.

Azioni che sottolineano la perfidia degli uomini e la reciproca tenerezza degli animali. Seppur questa poesia sia stata spesso tacciata di sentimentalismo e banalità, Guido Gozzano coglie in questo evento non solo la commozione che ne deriva; il poeta sottolinea un problema fondamentale, ovvero, il rapporto con gli uomini. E’ l’umanità che è responsabile dell’accoglienza o del rifiuto di questo evento: a loro il libero arbitrio.

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L’autore intravede il destino del Redentore già nella spoglia capanna in cui nasce: coloro che chiudono la porta in faccia a Giuseppe e Maria non accogliendoli neppure in un giaciglio e neanche in una condizione di attesa come quella della Vergine, sono gli stessi che il Bambino incontrerà sulla Via del Calvario: quelli che lo respingeranno e gli volteranno le spalle.

La neve! - ecco una stalla! - Avrà posto per due?- Che freddo! - Siamo a sosta - Ma quanta neve, quanta!Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue…Maria già trascolora, divinamente affranta…Il campanile scoccaLa Mezzanotte Santa.È nato!Alleluja! Alleluja!È nato il Sovrano Bambino.La notte, che già fu sì buia,risplende d’un astro divino.Orsù, cornamuse, più gaiesuonate; squillate, campane!Venite, pastori e massaie,o genti vicine e lontane!

Un po’ come se il poeta preannunciasse il suo destino fatto di sacrifici, incomprensioni e, successivamente, il fine ultimo: la crocifissione auspicando la redenzione degli uomini. Vivendo con la morte accanto, alla quale lo condannava la sua malattia non poteva certo guardare troppo al futuro e questo lo indusse quasi a vivere nel mondo d’una volta e considerarlo come all’unico tesoro della propria esistenza. Tale tipologia umana, non certo insolita, se genera di regola una figura stravagante, nel caso di un essere geniale quale fu il Poeta, dette luogo a una poesia singolare, di grande valore, carica di sensibilità, attenta alle cose e al loro significato, tanto più grande e fascinoso, quanto più queste sono piccole e trascurate.

È una poesia nata con destinazione specifica per l’infanzia. Abbiamo davanti forse la migliore, ma anche le altre, come Il Natale, sono molto belle. Fu scritta nell’avvicinarsi del Natale del 1914. Naturalmente Gozzano amava la vicenda della nascita di Gesù e amava viverla attraverso l’usanza del presepio, che è quanto di più casalingo, risaputo e familiare si possa immaginare.

È però proprio per questo che il Poeta lo amava: le cose condivise da molti hanno una vita profonda, lontana, forte e misteriosa. Mariarosa Masoero in una piccola plaquette: La Notte santa di Guido Gozzano, del Centro Studi Piemontesi del 1993, insieme a preziose notizie su questa composizione e al testo francese da noi qui tradotto, riferisce una notizia su Gozzano che a proposito di un’illustrazione del Presepio disse a un amico: «L’albero lascialo ai nordici Tu fammi un bel presepe, con grotta, gli angeli cantanti, la stella cometa, il bue, l’asino, le pecorine, gli agnelli, i leprotti nella borraccina, i dromedari, gli elefanti, le giraffe, le galline faraone, i maialetti e tutta l’altra gente».

All’obiezione: «mi pare che il tuo presepe diventi a vista d’occhio un’arca di Noè», Gozzano avrebbe risposto: «Il Natale lo sento così. O presepe o niente. Gesù che dovrà essere perseguitato, tradito e croce-fisso dagli uomini senza pietà, nasce tra la pietà delle bestie.

Questa notazione indica chiaramente come Gozzano ami mettere nella sua composizione la serie di esseri umani che rimangono insensibili alle necessità e alle sofferenze di Maria e Giuseppe, i quali trovano invece più solidarietà nell’asino e nel bue della grotta.

Se si guarda bene c’è qui invece un forte senso religioso che vede nel Bambino la figura intera del Redentore del mondo che entra nella storia. Coglie questo evento non nella commozione sentimentale, ma nel problema fondamentale, che è appunto il rapporto con gli uomini. Sono loro che lo possono accogliere e rifiutare, adorare o uccidere, amare o odiare, mentre la natura vive già tra le sue braccia, pacificata e mite nel riconoscimento del suo amore che l’ha creata.

Gozzano vede già nel destino del Bambino che va a nascere nella Capanna, i personaggi che incontrerà sulla Via del Calvario e che gli chiuderanno in faccia la porta, lo respingeranno, mentre solo pochi gli useranno pietà e lo ascolteranno.

La riprova di quanto diciamo si può trovare in un testo che è stato certamente l’ispiratore del nostro poeta. Classificato comunemente come un canto natalizio non esiterei a riconoscervi una breve sacra rappresentazione popolare, un mistero, di cui ha le caratteristiche fondamentali. Prima di tutto la struttura dialogata con l’elenco delle figure all’inizio, quindi la sceneggiatura tipica dell’azione drammatica, l’iterazione, il tono di devozione.

Gozzano ne trasse il suo melologo utilizzando la poesia per intero, al punto che formalmente si può considerare la sua composizione una traduzione se non un calco dell’originale. In realtà il poeta, sulla traccia precisa dell’originale ha creato una cosa nuova, pur rimanendo apparentemente i testi sono molto simili.

Bisogna tener presente che di due ritratti identici d’una persona il pittore che conosce la sua arte può ottenere due facce diverse alterando poche linee essenziali del disegno, basta che egli trovi quali sono. Abbiamo esempi famosi di queste operazioni: basta pensare ai concerti di Vivaldi trascritti per organo da J. S. Bach, a famose canzoni arrangiate da pezzi classici, a pezzi classici quali certi temi sinfonici di Beethoven derivati da motivi popolari, all’Imitazione (dalla poesiola La Feuille di A. V.

In questi casi il brano, l’opera, i versi letteralmente copiati o adattati entrano dentro una nuova tavola di valori e vivono un’altra vita, con nuove valenze, armonia, significati. Abbiamo così una trascrizione sapiente e riuscita di un antico mistero, rivissuto in un vago e rarefatto clima di Art nouveau. Per rileggere la vicenda nella sensibilità sua e in quella del suo tempo ha usato parole diverse, addolcendo il clima, creando un tono più intimo, avvicinando tutto alla nostra epoca variando minimi particolari.

Si è guardato bene da alterare il ritornello (elemento caratterizzante della composizione, come anche il canto finale) ma ha sostituito all’antico banditore che nella notte scandiva le ore, il suono del campanile a noi più familiare. Ha lasciato anacronismi come il campanile appunto: nell’originale si trova addirittura una bottega d’orologiaio che a quei tempi avrà venduto clessidre. Ha variato i nomi delle locande per ragioni metriche.

Accentua la nota patetica facendo fare la richiesta agli osti per due volte a Maria, così pure aumenta il tono favoloso riempiendo gli alberghi di figure folcloristiche orientali (astronomi, negromanti, magi) che sarebbero venuti – con non poca ironia – a osservare un fenomeno celeste determinato proprio da coloro che vengono messi da tutti alle porte. Inserisce, secondo il suo sentire, gli animali col bue e l’asino.

Dove si scopre l’unghia del leone, vale a dire la capacità di creare, è nel canto finale dove con un ritmo nuovo dei versi e d’invenzione ha riforgiato tutta la materia, a cominciare da quel celebre esplosivo annuncio dell’inizio: È nato! Alleluia! Alleluia!

La Notte SantaMelologo popolare di Guido Gozzano

– Consolati Maria del tuo pellegrinare!Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.Presso quell’osteria potremo riposare,ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.Il campanile scoccalentamente le sei.– Avete un po’ di posto, o voi del Caval Grigio?Un po’ di posto avete per me e per Giuseppe?– Signori, ce ne duole, è notte di prodigo;son troppi i forestieri; le stanze sono zeppe.Il campanile scoccalentamente le sette.– Oste del Moro, avete un rifugio per noi?Mia moglie più non regge ed io son così rotto!– Tutto l’albergo è pieno, soppalchi e ballatoi:tentate al Cervo Bianco, quell’osteria più sotto.Il campanile scoccalentamente le otto.– O voi del cervo bianco, un sottoscala almeno avete per dormire? Non ci mandate altrove!– S’attende la cometa. Tutto l’albergo ho pienod’astronomi, di dotti, qui giunti d’ogni dove.Il campanile scoccalentamente le nove.– Ostessa dei Tre Merli, pietà d’una sorella!Pensate in quale stato e quanta strada feci!– Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella.Son negromanti, magi persiani, egizi e greciIl campanile scoccalentamente le dieci.– Oste di Cesarea – Un vecchio falegname?Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?L’albergo è tutto pieno di cavalieri e dame:non amo la miscela di alta e bassa gente.Il campanile scoccale undici lentamente.La neve! – Ecco una stalla! – Avrà posto per due?– Che freddo! – Siamo a sosta – Ma quanta neve, quanta!Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue Maria già trascolora, divinamente affrantaIl campanile scoccala Mezzanotte Santa.È nato!Alleluja! Alleluja!È nato il sovrano Bambino.La notte, che già fu sì buia,risplende d’un astro divino.Orsù, cornamuse, più gaiesuonate; squillate, campane!Venite, pastori e massaie,o genti vicine e lontane!Non sete, non molli tappeti,ma, come nei libri hanno dettoda quattro mill’anni i Profetiun poco di paglia ha per letto.Per quattro mill’anni s’attese quest’ora su tutte le ore.È nato! È nato il Signore!È nato nel nostro paese!La notte, che già fu sì buia,risplende d’un astro divino.È nato il sovrano BambinoÈ nato!Alleluia!

Con “La notte Santa“, stupenda poesia di Guido Gozzano, vogliamo augurarvi di trascorrere questa Vigilia circondati dalle uniche cose che contano davvero: l’amore, di qualunque forma di esso si tratti, la salute e il calore di una casa. Ma soprattutto, la consapevolezza di quanto siamo fortunati, perché non tutti possono trascorrere queste feste in serenità. Le poesie dedicate al Natale sono numerose, ma in poche riescono a rendere con così tanta forza il messaggio di amore e speranza che si cela dietro a questa festività.

Con le sue opere, l’autore de “La notte Santa” ci ha lasciato un’importante eredità letteraria, in cui la disillusione borghese del Novecento si mescola all’ironia, alla nostalgia per un tempo perduto, alla consapevolezza di come il reale sia “Tutto e Niente”.

«Gozzano è il poeta dei viandanti che con l’anima illuminata di ricordi e colma di rimpianti cercano nell’aspre selve della vita quella via che meni a un calmo rifugio di pace e di serenità […] poesia di pensiero [….] nutrita da una sottil vena di pessimismo [….]. Il verso è sempre nobile e robusto e sa piegarsi elegantemente nei più diversi e vari atteggiamenti. Non c’è persona della mia generazione che non conosca o non sappia a memoria la poesia di Guido Gozzano, la Notte Santa: “Consolati, Maria, del tuo pellegrinare! / Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei. / Presso quell’osteria potremo riposare, / ché troppo stanco sono e troppa stanca sei. // Il campanile scocca / lentamente le sei…”. Poi, il canto finale: “ È nato il Sovrano Bambino. / La notte, che già fu sì buia, / risplende d’un astro divino. / Orsù, cornamuse, più gaie / suonate; squillate, campane!

Giuseppe e Maria cercano invano un alloggio dove poter riposare. Scende ormai la sera ma non disperano: “E innalzano al Signore una preghiera, / mentre col manto li copria la sera. / La notte s’addensava cupa e greve, / e qualche fiocco discendea di neve”. Si inoltrano nella campagna e trovano una stalla di pastori.

Decidono di fermarsi: “Staremo nell’alloggio poverello / in compagnia d’un bue e un asinello, / ma è meglio che sostare in sulla via / per questa notte, o Verginella mia!”. Arriva la mezzanotte e i versi di Gozzano, “È nato, è nato il sovrano Bambino. Viviamo nella precarietà più assoluta, causa la pandemia in atto. Il Natale di questo anno sarà diverso dagli altri anni. È umanamente impossibile far festa con i tanti, troppi morti, caduti nella case di riposo e negli ospedali. Dobbiamo forse ritornare all’essenzialità delle cose. La poesia, unita alla preghiera, ci deve essere di aiuto.

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