Albergo Atene Riccione

 

Il Significato Profondo del Pellegrinaggio e del Turismo

La riflessione che propongo si svolge in due momenti. Iniziamo dunque dalla figura del pellegrino. Chi è il pellegrino? Per grazia di Dio sono uomo e cristiano, per azioni grande peccatore, per vocazione un pellegrino della specie più misera, errante di luogo in luogo. I miei beni terrestri sono una bisaccia sul dorso con un po' di pan secco e, nella tasca interna del camiciotto la Sacra Bibbia.

Il Pellegrino: Un Viaggio Spirituale

Il pellegrino si presenta come "uomo e cristiano", "gran peccatore", continuamente in cammino da paese a paese. Il pellegrino è quindi un uomo incamminato verso una meta: questa determina anche la "direzione" o meglio il "senso" di tutta la sua esistenza, poiché è il cammino a dare "senso" cioè "significato" alla sua vita. Nel Medioevo, il tempo in cui si è affermata la passione per i grandi pellegrinaggi, la meta era spesso individuata in un luogo santo: il santo sepolcro a Gerusalemme, la tomba di Pietro a Roma, il santuario di S. Giacomo a Santiago di Compostela...

Nella preghiera e nella meditazione del pellegrino questi luoghi raffiguravano l'incontro con Dio: arrivare alla meta significava incontrare Dio. Tant'è che i concittadini, al loro ritorno, li ricoprivano di ammirazione ritenendoli beneficiari di una grazia speciale. L'idea di intraprendere un pellegrinaggio poteva nascere dal desiderio di conversione oppure dal pentimento dei propri peccati. Il viaggio era una scommessa, quella della vita e quella della fede.

Si era certi di dover affrontare le avversità naturali, la propria stanchezza e anche le insidie dei briganti... non si era altrettanto sicuri di tornare. Per questo molti pellegrini, prima di partire, preparavano il testamento: il viaggio poteva durare molto tempo e il ritorno non era sicuro. In ogni caso era consuetudine porre sotto la protezione della Chiesa i beni e le proprietà di chi partiva.

Partendo, il pellegrino sapeva poco di quello che lo aspettava: non conosceva bene i territori, le popolazioni, il clima, le risorse che avrebbe incontrato. Aveva le poche notizie raccolte da quelli che avevano avuto la fortuna di ritornare: dove si trovavano luoghi ospitali; se c'erano confraternite dedite all'assistenza dei pellegrini, chiese e santuari pronti all'ospitalità o luoghi fortificati dove trovare riparo dalle scorrerie dei predoni; dov'erano i valichi di montagna o i guadi nei fiumi... Il pellegrino viaggiava solo, poteva però incontrare qualcuno come lui, in cammino, e insieme si sarebbero aiutati lungo il viaggio.

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Lungo il cammino il pellegrino conduceva una vita sobria: troppe cose gli avrebbero impedito di muoversi speditamente, per cui portava con sé solo l'essenziale, un po' di pane e pochi indumenti. Tra questi, un mantello di tessuto ruvido, il cappello, la bisaccia, il bastone: vestiti sobri che avevano anche un significato simbolico poiché venivano solennemente benedetti all'inizio del cammino attraverso un vero e proprio rito di vestizione. A questi oggetti potevano aggiungersi anche alcuni segni distintivi del pellegrinaggio che si intendeva percorrere: le chiavi se si era diretti a Roma, da Pietro; la conchiglia se diretti a Santiago, da S. Giacomo; l'immagine della Veronica che asciuga il volto di Gesù se diretti a Gerusalemme... Soprattutto, a questi oggetti si aggiungeva la Bibbia: la meditazione della Parola di Dio permetteva al pellegrino di percorrere un viaggio interiore nello stesso momento in cui percorreva quello fisico.

Per questo, al termine del pellegrinaggio, il pellegrino sarà diverso, sarà cambiato, il viaggio lo avrà trasformato o, meglio, letteralmente "convertito": fisicamente e spiritualmente... Oggi tutto questo non è possibile. Più precisamente sembra impossibile comprendere la vita come un pellegrinaggio. Il pellegrinaggio implica una meta stabile, una direzione di viaggio precisa, ma anche un punto di partenza chiaro.

Il Turista: Un'Esperienza di Passaggio

Il turista "doc" è maestro dello spostamento: si mette in viaggio perché si annoia a casa sua dove tutto è prevedibile e noto oppure perché è allettato dal fascino della novità e dell'avventura. È facile decidere di mettersi in viaggio. Naturalmente egli non intende compiere una scelta definitiva: è bello sapere che da qualche parte nel mondo c'è una casa che lo attende e lo può sempre accogliere, una casa dove si può sempre rifugiare, chiudere le porte a chiave e rilassarsi lasciando fuori il mondo intero.

Questa casa "immaginata" nostalgicamente quando si è in viaggio non è però la casa concreta nella quale si vive quotidianamente: quella è un sogno, questa una prigione. Quando si chiude la porta, questa casa diventa una gabbia. Il turista preferisce perciò avere nostalgia di casa piuttosto che viverci. Così si mette in viaggio, senza appartenere a nessuno dei luoghi che visita, senza legarsi a nessuna delle persone che incontra, restando sempre e soltanto un ospite di passaggio.

Viaggiando leggero, mettendo in valigia solo gli oggetti di uso quotidiano, spesso del tipo "usa e getta", è sempre pronto a ripartire quando inizia ad annoiarsi avendo ormai spremuto l'ambiente che l'ha accolto o quando si lascia affascinare da nuove attrattive, da nuovi sogni. Agli occhi del turista questa prontezza e disponibilità è sinonimo di libertà: interpretata come autonomia e indipendenza è il valore supremo della vita, quanto di fatto viene cercato e ricercato nel viaggiare. Il turista non sa quanto si fermerà in un luogo, né quale sarà la sua prossima meta. L'importante per lui è viaggiare, non dove andare.

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Diversamente dal pellegrino, il turista non ha davanti a sé una meta. I luoghi non sono tappe di un itinerario: sono luoghi e null'altro, senza alcun legame con quelli che li hanno preceduti né con quelli che li seguiranno. Non sono occasioni di incontro, di amicizia, di legami affettivi... con la gente del posto si intrattengono solo contatti superficiali, in modo che non ci siano conseguenze o impedimenti al prossimo viaggio. Non ci si impegna responsabilmente. Si passa, sempre oltre.

Il Vagabondo: Un Viaggio Forzato

Accanto al turista, in questo scenario mobile che Bauman, suggestivamente, definisce anche "liquido", emerge anche un'altra figura continuamente in movimento: il vagabondo. Il viaggio dei vagabondi non assomiglia però a quello del turista, imbarcato in una "crociera di piacere", e neppure a quello del pellegrino, incamminato verso una meta desiderata. Il vagabondo non viaggia, né propriamente è in cammino. Il vagabondo "erra". Non lo spinge il desiderio di santità, né il piacere dell'avventura. Lo costringe l'indigenza, la miseria, la povertà.

Il turista sceglie di andare dove lo porta il cuore, abbandona senza pensarci (senza scrupoli) il luogo dove soggiorna per assecondare nuovi desideri. Il vagabondo lascia un posto quando sente crescere verso di lui l'intolleranza. Le figure del turista e del vagabondo vanno ovviamente considerate metafore della vita postmoderna.

Giubileo: Pellegrini di Speranza

Il 2025 è l’anno del “Giubileo”. Un nome particolare che sembra dal nome di uno strumento, lo yobel che era utilizzato per indicare l’inizio del Giorno dell’Espiazione (Yom Kippur). Bonifacio VIII nel 1300 ha indetto il primo Giubileo, chiamato anche “Anno Santo”, perché è un tempo nel quale si sperimenta che la santità di Dio ci trasforma. Dal 1330 in poi prima si celebrava ogni 100 anni, poi 50 anni nel 1343 da Clemente VI e poi ogni 25 nel 1470 da Paolo II.

Unito al giubileo c’è il tema del pellegrinaggio, una sorta di viaggio, di cammino compiuto non da un turista o un vagabondo; non da una persona che non sa cosa fare o dove andare. È un viaggio compiuto dal pellegrino. Per il giubileo è stato scelto il motto: “Pellegrini di speranza”.

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Il Pellegrinaggio Cristiano

Il pellegrinaggio cristiano nasce nel IV secolo d.C. Letteralmente pellegrino (per- agre) è uno che cammina per i campi, attraversa i campi. I campi sono fuori dalla città, dal centro abitato, dai luoghi di incontro. Il peregrinare anticamente era l’andare qua e la, fuori dalla propria terra. Il pellegrino è uno straniero, un forestiero che è fuori dalla città. Già questo ci da alcune indicazioni interessanti. Ci dice che è una persona che cammina, che non è ferma: è in movimento. È un forestiero, uno straniero, non appartiene ad una terra specifica, ma la attraversa. Attraversa luoghi. La natura del pellegrino è il cammino.

Il Pellegrino se lo vedevi si riconosceva. Aveva un abbigliamento. Una bisaccia o uno zaino: sa bene che non deve portarsi appresso pesi inutili o un bagaglio troppo pesante. Si rischierebbe di fermarsi, di tornare indietro magari di non arrivare alla meta. Il Pellegrino allora si riconosce anche dal bagaglio che porta con sé, da quello che decido di mettere dentro allo zaino che diventa parte di me per tutto il tempo del viaggio. Un’altra caratteristica che aveva il Pellegrino nella immagine comune è il bastone: un tempo serviva per proteggersi dai briganti o da qualche animale che si incontrava lungo la strada. Di fatto il bastone serve per camminare, serve per appoggiarsi quando si è stanchi, è un appoggio, una sicurezza.

Anticamente per raggiungere la destinazione esistevano delle vie non tracciate bene e allora…il pellegrino aveva la sua bussola. Dio. Si fidava, di Lui e degli altri pellegrini. Ha un suo passo. Il passo del pellegrino è la ricerca non solo della meta, ma di sé stesso: ha a che fare con qualcosa di grande, quasi una nostalgia di infinito, di trascendenza, di un di più da vivere. Il pellegrino simboleggia bene la nostra vita terrena. Ci ricorda che siamo fatti di cielo e che il nostro cammino su questa terra altro non è che un pellegrinaggio verso la meta definitiva: la “Gerusalemme celeste”.

Il Linguaggio del Pellegrino

Il pellegrino ha anche un suo linguaggio: quello del silenzio. Chi fa esperienza di camminare a lungo, vive il silenzio, che non è assenza di parole, ma di ritorno anche qui all’essenziale. Non ritorno alle parole, ma alla Parola. In qualche modo tutto si unifica: non ci si disperde, nemmeno nel linguaggio. Lungo il cammino il pellegrino si nutre di interiorità.

Oltre al silenzio le parole del Pellegrino sono parole che si rivolgono a un “tu”, parlano al cielo, parlano a Dio. Le nostre parole a chi sono rivolte? Il Pellegrino può avere tante domande dentro di sé, ma poche parole dovrebbero accompagnarlo. Anche il linguaggio del Pellegrino deve essere in grado di far entrare Dio dentro di quello che sta vivendo.

I Gesti del Pellegrino

Il Pellegrino compie anche dei gesti che raccontano non solo il suo pellegrinaggio, possono raccontare anche la sua storia, possono raccontare le sue domande. Anche i gesti del Pellegrino sono gesti molto semplici ma non banali: raccontano la solennità di quello che sta vivendo. Il gesto tipico si manifesta attraverso quello che comunemente viene chiamato “ex voto”. Questa espressione indica delle immagini o degli oggetti che il pellegrino lascia nel luogo di arrivo del suo pellegrinaggio, proprio perché è arrivato alla meta e così facendo ha adempiuto a un voto.

Quando parti per un pellegrinaggio e desideri raggiungere una meta, lo scopo del tuo camminare lo raggiungi quando arrivi lì nel luogo che hai scelto. Spesso è un voto, più o meno formulato, che mette in marcia il pellegrino. Il voto di rendere grazie per una guarigione, per un’esperienza di salvezza, la riconoscenza per la vita stessa; può anche semplicemente essere solo la speranza di metterti nelle mani di Qualcuno. Ed è proprio quando arrivi che deponi l’ex voto: accendere un cero, abbracciare la statua del Santo (questo lo si fa a Santiago), deporre una preghiera.

Pellegrini Oggi

Che senso ha oggi parlare di pellegrini? Il pellegrino del XXI secolo, spesso è una persona o un gruppo che raggiunge un luogo Santo usando mezzi moderni per non perder tempo, dormire magari comodamente in qualche albergo stellato, possibilmente con pensione completa e usare anche in loco mezzi di trasporto agevoli per non fare troppa fatica e rientrare a casa dopo qualche giorno. Essere pellegrini oggi forse è un atteggiamento più interiore.

Anche oggi chi vuole e chi ne ha la possibilità, certo, può affrontare pellegrinaggi come un tempo ed essere pellegrini così che camminano, che fanno un po’ si penitenza, che partono per un voto fatto. Il pellegrino però, indipendentemente dalla sua età e dal suo credo è alla ricerca e ha la possibilità di trovare la Via, di vedere il suo cambiamento prima e dopo il viaggio. Da cristiani dobbiamo pensare anche ad un percorso interiore, dobbiamo interrogarci in un confronto quotidiano con sé e con gli altri.

Essere pellegrini nel vero senso della parola è qualcosa che ti tieni dentro per sempre, significa uscire dalle tipiche abitudini del viaggio ed entrare in una realtà profonda, in sintonia anche con il mondo che ti circonda. Camminare non per sentirsi turisti, ma per metterci in relazione con il Creato e con Dio, entrare lentamente nella strada, passo dopo passo.

Distinzione tra Turista e Pellegrino

A partire da questa esperienza cerchiamo di capire la differenza fra l’andare in gita (o in passeggiata), cosa in sé e per sé non negativa, e l’andare in pellegrinaggio. Ovvero la differenza fra l’essere turista/gitante e l’essere pellegrino. Il pellegrino quando sente la meta del pellegrinaggio non si ferma a dire: “Ci sono già stato!” ma si pone nell’ottica di andare in un luogo, magari già visitato in altri momenti, dove vivere un momento di preghiera e di incontro col Signore. Crede che in quel luogo il buon Dio attraverso la Madonna o i Santi può donargli qualcosa. Si mette quindi “in cammino”, non per forza nel significato fisico di camminare, ma si “muove” ponendosi nell’atteggiamento di colui che cerca e accoglie.

Il turista è una figura tipica dell’era moderna. Egli viaggia per piacere, curiosità o svago. Nel suo viaggiare confida nelle sue risorse economiche, potremmo dire che la carta di credito è ciò che gli permette di viaggiare tranquillo e lo smartphone sostituisce ormai la memoria. Si preoccupa spesso di incasellare foto, senza a volte gustare veramente ciò che si ha davanti. Il turista fa dipendere il successo della sua giornata da ciò che mangia. Il pellegrino, pur mangiando, si ricorda che: “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.

Il pellegrino si muove con un atteggiamento di fiducia fondamentale in Dio. Egli cerca di incontrare il Signore nella preghiera, nei Sacramenti, nel volto di persone che si incontrano, nella vicenda di testimoni. Il pellegrino si apre allo stupore, al silenzio e all’ascolto; il turista/gitante pensa sempre ossessivamente a cosa c’è dopo, non gustando l’attimo presente. Come arriva pensa già a quando deve partire. Il gitante spesso rischia di vedere solo “il dito” che indica “la luna”, il pellegrino cerca “la luna”.

Turista e pellegrino entrambi sono in viaggio. Mentre il turista soddisfa i sensi, il pellegrino è alla ricerca della verità. Il turista si stanca e si abbronza, mentre il pellegrino risplende di spirito. Ogni movimento del pellegrino è compiuto con sacralità e gratitudine, mentre il turista è spesso preoccupato e inconsapevole. Sia il turista come il pellegrino tornano a casa magari un po’ stanchi. Il primo va a letto e dorme, il secondo, prima di dormire ringrazia per quello che ha ricevuto e il suo cuore è colmo di gioia e consolazione.

Le Dinamiche del Pellegrinaggio

Il pellegrinaggio religioso, nella fattispecie quello cristiano, è caratterizzato da un’aspettativa di fondo che, anche se variamente motivata a seconda del vissuto di ciascun pellegrino, implica una nostalgia di infinito, di trascendenza, che prima o poi - coscientemente o in maniera irriflessa - fa capolino. Il pellegrinaggio dovrebbe essere, di fatto, un’esperienza di “conversione”.

In genere si tratta di processi che coinvolgono le dimensioni della persona: corpo, spirito e anima, e che hanno come primo protagonista la Grazia. È essa che produce frutti spirituali di conversione, anche se questi ultimi si realizzano solo là dove vi è un cuore vulnerabile, che si lascia dissodare e rendere fertile. La grazia normalmente non si impone. Cerca di persuadere e di attrarre a sé, ma sempre nel rispetto della libertà umana.

Per questo motivo, al di là dell’azione della grazia, all’interno del pellegrinaggio si vivono delle dinamiche che di per sé sono di natura squisitamente antropologica, legate cioè alla struttura dell’essere umano in quanto tale, e dunque non necessariamente collegate alla vita di fede e alla concezione cristiana della vita. E tuttavia, sarà proprio la luce della fede ad aggiungere a tali dinamiche un plusvalore, trasformandole in occasione di crescita spirituale.

Il Distacco

Quando si inizia un pellegrinaggio, si fa la scelta di sospendere la routine quotidiana, di deporre temporaneamente il proprio ruolo o la propria professionalità all’interno della società civile e religiosa, e di assumere un’identità diversa, quella di pellegrino appunto, per interagire con lo spazio e il tempo in una maniera diversa e inedita rispetto al consueto tran tran quotidiano.

Ancora oggi, dunque, farsi pellegrini e mettersi in cammino significa vivere il distacco dalle cose di ogni giorno, rinunciare a oggetti e abitudini che nella ripetitività quotidiana si ritenevano indispensabili.

La Fatica

La fatica dovuta ai disagi e agli imprevisti sono componenti pressoché inevitabili di un pellegrinaggio. Anche oggi, il pellegrino può mettersi alla prova e sperimentare non solo le proprie possibilità, ma anche le proprie inadeguatezze. Difatti, non è raro che, accanto alla scoperta sorprendente di avere le energie necessarie per potercela fare, si affianchi l’esperienza del proprio limite.

La Compagnia

Anche oggi il pellegrinaggio regala l’esperienza di una compagnia che si sperimenta unita nel condividere momenti di cammino o di sosta che diventano occasione di conoscenza e di dialogo. È un’esperienza singolare di umanità, alla quale contribuiscono anche i non-pellegrini, quelli cioè incontrati casualmente lungo la strada o quelli che supportano il cammino con il loro servizio.

Durante il pellegrinaggio emerge poi quell’elemento costitutivo dell’essere umano che è il bisogno dell’altro. Cade la falsa idea di autosufficienza e si impone la verità che gli altri ci sono necessari, come noi agli altri. Si riscopre, di fatto, quella interdipendenza che ci lega gli uni gli altri, e che ci mostra in maniera eloquente come noi siamo fatti per la relazione.

La Solitudine

Se l’essere umano è fatto per la relazione e la comunione, tuttavia ha bisogno di armonizzare la sua ricerca di condivisione con l’altrettanto necessaria dimensione del silenzio e della solitudine. È forse la componente più difficile del pellegrinaggio, e tuttavia non meno importante della compagnia.

La possibilità di godere di spazi di solitudine (in cui non si conversa con chi ci sta vicino) e di lunghe pause di silenzio rappresenta una componente essenziale del cammino. E proprio perché silenzio e solitudine sono merci rare nella vita frenetica delle nostre odierne società, è importante, durante il pellegrinaggio, prevedere spazi in cui essi possano essere sperimentati e apprezzati come opportunità di “ritorno in sé stessi”, come laboratorio dello spirito.

La Meraviglia

Tali pellegrinaggi possono offrire: - una rinnovata esperienza della bellezza del “creato” (=dimensione teologica della natura), che spesso, nella vita di tutti i giorni, non abbiamo il tempo di ammirare e gustare; - una più intensa percezione del territorio - resa possibile anche dal fatto di doverlo attraversare a piedi - con ciò che esso ha significato in passato e significa oggi; - la possibilità di godere dell’arte e delle vestigia - soprattutto religiose - del passato, disseminate lungo la strada.

Il procedere a piedi, ci dà il tempo di “guardare” con più attenzione ciò che si offre al proprio sguardo. Il pellegrino impara a fermarsi; non è più un “consumatore”, ma un “contemplativo”.

La Preghiera

Dai “Cantici delle ascensioni” del Salterio alle pratiche esicastiche del pellegrino russo, la preghiera appartiene strutturalmente al pellegrinaggio cristiano. Anche nel pellegrinaggio, ovviamente, non devono mancare opportunità per proporre momenti di preghiera, che quasi sempre trovano una inaspettata rispondenza interiore.

L’Amicizia con Gesù

La preghiera è certamente uno degli strumenti con cui il cristiano mantiene vivo il suo rapporto di amicizia con Gesù. Anche il pellegrinaggio - per le ragioni sopra addotte - può trasformarsi in un’esperienza più profonda di Gesù.

Vacanze: Un Tempo di Riflessione

Il tempo delle vacanze ci rimanda al significato del viaggio - da cui nasce l’etimologia della parola turismo (tour) - della festa e del riposo. Nel contesto culturale contemporaneo l’alternativa vera che segna la qualità delle vacanze non è il «dove» vivere ma «come» vivere le vacanze. Con uno slogan si potrebbe dire che uno sceglie la propria vacanza in base a come si sente interiormente.

Per questo non deve stupire se sta crescendo il numero di turisti che ricercano il silenzio nelle loro vacanze per potersi incontrare e ascoltare. La ricerca di questa dimensione - che non è assenza di voci o di rumori, ma è capacità di ascolto, coraggio d’incontrare sé e Dio -, richiede la scelta di progettare «una vacanza nella vacanza». È il tempo favorevole per chiedersi come è andata l’anno passato e come programmare quello futuro pensando al bene della propria famiglia, e alla qualità del lavoro e del l’impegno sociale. Le vacanze possono diventare il tempo per un profondo esame di coscienza, in cui si rilegge con serenità la vita.

Turismo e Accoglienza

Il turista è chiamato a vivere il valore dell’accoglienza e dell’ospitalità e quindi dell’integrazione, significa lasciarsi avviluppare dalla cultura per costruire una vera comunità di vita. A questo riguardo i turisti sono chiamati ad essere pro-vocati anche dalla presenza dei poveri che incontrano. L’atteggiamento discriminatorio di molti turisti nei confronti dei poveri, non deriva dal presunto pericolo che incarnano, ma dall’incertezza e dalla fragilità della vita che personificano.

Tabella Comparativa: Pellegrino vs. Turista

Caratteristica Pellegrino Turista
Meta Spirituale, incontro con il divino Piacere, curiosità, svago
Motivazione Fede, conversione, ricerca di significato Divertimento, relax, scoperta
Atteggiamento Fiducia, preghiera, silenzio Consumo, fotografia, intrattenimento
Rapporto con il luogo Profondo, spirituale, trasformativo Superficiale, di passaggio, consumistico
Risultato Crescita spirituale, conversione Riposo, divertimento, esperienza

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