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Quando gli stranieri eravamo noi: Storia dell'emigrazione italiana

Rileggendo la storia, scopriamo che la storia dell’umanità si è mossa di pari passo con quella delle migrazioni, che sempre sono esistite e sempre esisteranno. Tante persone sono andate a cercare fortuna, lavoro e speranza all’estero e lì si sono fermate, hanno fatto famiglia e hanno portato una parte di Italia nel mondo. Persone che non hanno dimenticato il loro paese natio, persone che poi spesso ritornano in Italia, culla dei loro affetti e ricordi, ma con una consapevolezza diversa, di aver lasciato un paese bellissimo ma dalle tante contraddizioni.

L'emigrazione italiana: un esodo di massa

È risaputo che l’emigrazione è stata un elemento base e straniante della storia italiana. Nella prima fase dell’emigrazione, tra il 1876 e il 1900, cosiddetta “grande emigrazione”, e aggiungendo anche la seconda, dopo il 1945 e fino agli anni settanta, dovute a una pesante crisi agraria, ma del lavoro in generale tra cui fabbriche e industrie distrutte o al collasso, più di diciotto milioni di persone, provenienti principalmente dal nord Italia all’inizio, ma poi da tutta Italia, emigrarono verso altri paesi nord-europei e Australia e America Latina.

La prima emigrazione riguardò essenzialmente l’Italia settentrionale, con tre regioni che costituirono quasi la metà della popolazione emigrante, ovvero il Piemonte, il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia. Nel periodo successivo il fenomeno vide prevalere regioni del sud Italia, quali Campania, Calabria, Puglia e Sicilia.

Tra il 1861 e il 1985 dall'Italia sono partiti quasi 30 milioni di emigranti. Come se l'intera popolazione italiana di inizio Novecento se ne fosse andata in blocco.

Di questi quasi un terzo aveva come destinazione dei sogni il Nord America, affamato di manodopera. A partire non erano solo braccianti. I genovesi ad esempio ben prima del 1861 partirono per l'Argentina e l'Uruguay. E, proprio come gli immigrati oggi che giungono da noi, non iniziavano l'avventura con tutta la famiglia: quasi sempre l'emigrazione era programmata come temporanea e chi partiva era di solito un maschio solo.

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A fare eccezione fu solo la grande emigrazione contadina di intere famiglie dal Veneto e dal Meridione verso il Brasile, specie dopo l'abolizione in quel paese della schiavitù (1888) e l'annuncio di un vasto programma di colonizzazione.

Viaggi della speranza

Ieri i nostri connazionali, invece, partivano per i paesi d’Oltreoceano su vecchie navi negriere già utilizzate per il commercio degli schiavi o navi carico riadattate per lo scopo specifico, per settimane, stipati nelle stive, in viaggi di sola andata senza medici né assistenza sanitaria, chi non sopravviveva a questo lungo viaggio aveva una sola destinazione: essere gettato in mare.

Di solito chi partiva dalle regioni del Nord si imbarcava a Genova o a Le Havre in Francia. Chi partiva dal Sud invece si imbarcava a Napoli. L'approdo dei bastimenti di emigranti è l'isola di Ellis Island, nella baia di New York.

Tra il 1892 e il 1954 (anno della sua chiusura), furono circa 20 milioni gli uomini, le donne e i bambini che fecero tappa nell’immigration point di Ellis Island, un piccolo isolotto poco distante da Manhattan, dove tutti gli immigrati venivano controllati e accettati.

In molti muoiono durante il viaggio e quelli che sopravvivono vengono esaminati scrupolosamente dalle autorità sanitarie: si teme che gli italiani portino malattie, come il tracoma (un'infezione degli occhi che rende ciechi). Alle visite mediche segue una visita psico-attitudinale.

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Sui documenti rilasciati agli italiani, accanto alla scritta white (bianco), che indica il colore della pelle, a volte c'è un punto interrogativo: è un altro indice del razzismo che devono subire gli italiani da una parte della società americana. Molti morivano prima di vedere il Nuovo Mondo.

Una volta arrivati, superato l'umiliante filtro dell'ufficio immigrazione di Ellis Island, iniziava la sfida per l'integrazione. Se in Sud America conquistarsi un posto nella nuova patria fu più facile, negli Stati Uniti era una faticaccia.

Pregiudizi e discriminazioni

E fu una storia cruda e dura quella dell’emigrazione italiana all’estero, forse anche un po’ dimenticata, che vide gli italiani spesso schiavizzati e sfruttati come manodopera a bassissimo costo nelle fabbriche statunitensi, nelle piantagioni brasiliane o argentine.

Ma fino agli anni Cinquanta negli Stati Uniti eravamo citati dalla stampa come un popolo di lustrascarpe e mafiosi, in Australia eravamo straccioni e la Svizzera ci odiava, trattando chi riusciva a varcare il confine come pezzente.

Negli Stati Uniti che da poco avevano abolito la schiavitù si diceva che gli italiani non erano bianchi, "ma nemmeno palesemente negri". E poi ancora "una razza inferiore" o una "stirpe di assassini, anarchici e mafiosi". E il presidente Usa Richard Nixon intercettato nel 1973 fu il più chiaro di tutti. Disse: "Non sono come noi. La differenza sta nell'odore diverso, nell'aspetto diverso, nel modo di agire diverso.

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Il caso Sacco e Vanzetti

E arriviamo al titolo: due italiani, emigrati negli Stai Uniti, uno Bartolomeo Vanzetti, nato nel 1888 a Villafalletto, provincia di Cuneo e l’altro Ferdinando Nicola Sacco nato nel 1891 a Torremaggiore, provincia di Foggia. Insomma uno del nord e uno del sud.

La fame e la miseria, come altri milioni, li avevano spinti ad emigrare, con un bagaglio di odio verso le classi dominanti, le ingiustizie e la disuguaglianza. Si trovarono a vivere miseramente, intorno a loro c’era pregiudizio e diffidenza. Erano italiani, non parlavano o poco la lingua…nemmeno cittadini, diciamo abitanti di serie B.

Sacco e Vanzetti furono accusati con l’accusa di rapina a mano armata ed omicidio per un fatto successo nel 1920. La giustizia americana, a cominciare dal Giudice, non prese in considerazione nessun appello, nessuna possibilità di dialogo.

Negli USA, in quel periodo storico, soprattutto dopo la Rivoluzione russa, c’era un sorta di caccia alle streghe, che metteva sotto accusa gli stranieri, gli immigrati, i radicali ed i lavoratori stranieri in generale. Furono degli ottimi soggetti, in quel momento, per incarnare due capri espiatori destinati a pagare per tutti dalla giustizia americana, insomma il simbolo dei nemici per gli USA.

Il processo, pur per assurdo dimostrando la loro innocenza, senza tener conto di testimonianze a favore e altri fattori, mostrò la ferma volontà delle autorità statunitensi di realizzare un gesto di rappresaglia politica, condannando a morte in maniera esemplare i due anarchici italiani.

Dopo decenni di silenzio l’Italia comincia con convinzione a chiedere pubblicamente l’innocenza di Sacco e Vanzetti e a richiedere al governatore del Massachusetts la revisione del processo e la riabilitazione dei due anarchici.

L'emigrazione oggi: un movimento transnazionale

Solo nel 2015, secondo il Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, oltre 107 mila giovani (in maggior parte giovani diplomati, laureati, tecnici e ricercatori) sono espatriati dal “Bel Paese” in cerca di lavoro in quella che più di una vera e propria migrazione potremo chiamare “movimento transnazionale”.

I nostri giovani preferiscono come mete la Gran Bretagna, la Germania, la Francia e la Svizzera, paesi a noi similari, ma con un approccio al lavoro diverso, stipendi più alti ed in generale più potenzialità di crescita e di carriera.

Integrazione e cittadinanza globale

Dopo decenni, e non senza difficoltà, gli italiani all’estero, quelli che erano gli immigrati di un tempo, sono oggi completamente integrati, con grandi riconoscimenti in molti settori dell’economia e della politica, hanno saputo conservare la loro cultura e la loro lingua arricchendosi di esperienza e professionalità acquisite, trasmettendo , inoltre, le proprie radici ai propri figli e diventando così non solo italiani, americani o altro, ma cittadini del mondo.

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