Vocaboli Stranieri Usati Nella Lingua Italiana: Esempi e Riflessioni
Negli ultimi decenni, l’italiano si è arricchito di tante parole straniere, la maggior parte inglesi, tanto che molti parlano di “itanglese”, ossia italiano misto a inglese. Come copywriter, accogliere o meno termini inglesi nei nostri testi dipende da vari aspetti, come il settore in cui operiamo e se ci rivolgiamo a una platea ampia o di nicchia. Settori come la tecnologia e la finanza, ma anche la moda, il turismo e il marketing sembrano aver ormai abbracciato l’uso di parole in inglese nella comunicazione. Cerchiamo di capire se viene fatto in modo corretto e se ci sono dei criteri da applicare.
Quando Utilizzare Parole Straniere: Il Buon Senso
Il buon senso impone di seguire alcune regole, per scrivere bene e farci capire dal pubblico che ci legge. Vediamole insieme.
Utilizza solo parole straniere che non hanno una buona alternativa in italiano
Tieni presente che spesso l’alternativa italiana c’è, ma è percepita come goffa o antiquata, perché il termine inglese è ormai entrato nell’uso comune. Parole come wireless, brand, gadget, budget, fashion, business, leader fanno parte del nostro comune lessico ed è corretto utilizzarle. Sono i cosiddetti forestierismi, o prestiti, parole che arrivano da altre lingue ma perfettamente integrate nella comunicazione di oggi.
Ma vedi gli esempi seguenti:
- Ogni martedì ti inviamo una newsletter con offerte e tip utili. Meglio scrivere: Ogni martedì ti inviamo una newsletter con offerte e consigli utili.
- Aspetto i tuoi input per iniziare il lavoro. Meglio scrivere: Aspetto le tue indicazioni per iniziare il lavoro.
- Fai tu un recap di quanto abbiamo detto? Usa il termine in italiano: Fai tu un riepilogo di quanto detto?
Con parole poco utilizzate come tip, recap, headline (titoli) deadline (scadenza), speech (discorso), lunch (pranzo) o altre dovremmo chiederci se esiste la corrispondente in italiano e se ha la stessa efficacia. In tal caso perché non usiamo la nostra lingua? Il punto della questione è allora questo: capire sin dove utilizzare le parole straniere e soprattutto non abusarne. Personalmente inserisco al massimo una parola inglese in una frase, e solo se di uso comune.
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Forestierismi: tra virgolette o in corsivo?
Fino a poco tempo fa una regola imponeva di scrivere in corsivo le parole straniere. Oggi però, dal momento che il numero di parole straniere che oramai troviamo anche nel vocabolario della lingua italiana va crescendo, si rischia solo di fare confusione. E poi, perché isolare tra virgolette o scrivere in corsivo una parola di uso corrente, comunemente intesa dal pubblico? Il consiglio degli esperti di scrittura è quello di ricorrere al corsivo solo per le parole altamente specialistiche proposte per la prima volta, con la spiegazione del significato a seguire tra parentesi. Un po’ come ho scritto a inizio articolo quando ho parlato di itanglese.
Valuta se le parole straniere arricchiscono il testo in precisione o eleganza
In questi casi:
- quando il contesto è appropriato,
- se siamo sicuri che i nostri lettori la conoscano,
- se la parola in questione è più precisa della relativa parola in italiano
l’uso della parola straniera è consentito. Tuttavia, per mantenere un buon livello del testo, conviene non esagerare con le parole straniere. Ma, se esiste l’equivalente in italiano, come nelle parole che seguono, perché non usarlo?
- Skill: competenze
- Headline: titolo
- Speech: intervento
- Speaker: relatore
- Best practice: buona pratica
- Tool: strumento
- Meeting: riunione
- Engagement: coinvolgimento
Sono queste tutte parole con una buona alternativa in italiano, e per buona intendo plausibile, utilizzata ampiamente, non obsoleta o antiquata.
Attenzione al plurale e al genere
Manager o managers? La regola è la seguente: Le parole inglesi usate nei testi in italiano non prendono la -s al plurale, soprattutto se sono integrate nella nostra lingua. Ma attenzione: Se le parole sono entrate nella nostra lingua al plurale, come ad esempio jeans o tapas, si usa il termine plurale anche al singolare. Anche per il genere vale lo stesso concetto: non cambia. Infatti diciamo la brioche, la par condicio, il golpe, il patio.
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Per l’inglese però c’è un’eccezione. Di solito il genere si accorda con la corrispondente parola italiana. Diciamo infatti: lo speech, il target, la star, la Brexit, ma diciamo il web, anche se rete è femminile. Altre volte il genere è condizionato dalla pronuncia della parola o dalla desinenza:
- il maschile prevale nelle parole che finiscono in -ing -p -er (surfing, bookshop, scooter)
- il maschile si usa nelle parole che finiscono in -ion e -ty, in analogia con l’italiano -ione e -ta (la deregulation, la portability).
La regola è questa: Davanti a una parola straniera si usa solitamente l’articolo che si userebbe davanti a una parola italiana con lo stesso suono. Esempi: lo champagne (il suono è quello di scivolo), l’hamburger (in italiano la h è sempre muta). Fa eccezione la w, che noi italiani percepiamo come consonante anche se pronunciamo u: scriviamo infatti il wisky o il webmaster. Per ogni dubbio controlla sul dizionario, anche perché le eccezioni sono molte.
Fai attenzione all’inglese orecchiato e ai falsi amici
Quello che chiamo “inglese orecchiato” è l’inglese plausibile, credibile, che suona bene a noi italiani ma non è corretto. Ne sono un esempio alcuni cartelli che si trovano nelle pubblicità di negozi, dove leggiamo a caratteri cubitali Next Opening! Ma la scritta corretta sarebbe semmai Opening Soon.
I falsi amici sono invece quelle parole inglesi che, per la loro somiglianza sonora a una parola italiana, vengono usati come loro traduzione, ma in realtà hanno un significato completamente diverso. Ad esempio, in inglese:
- actually significa in realtà, non attualmente;
- eventually significa alla fine e non eventualmente;
- terrific significa fantastico e non terrificante.
Ci sono poi delle versioni “italianizzate” di alcune parole inglesi, soprattutto verbi, che si sono talmente diffuse nella nostra comunicazione che non ci facciamo quasi caso. Ma anche qui, sarebbe meglio non utilizzarle. Ad esempio:
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- Stiamo processando la sua richiesta. È più corretto: La sua richiesta è in lavorazione.
- Mi piace il modo con il quale ti sei approcciata al tema. Meglio scrivere: Mi piace il modo in cui hai affrontato il tema.
Esempi Concreti di Forestierismi in Italiano
Tanti vocaboli inglesi che ogni giorno leggiamo e scriviamo. Pian piano la nostra bella lingua sta scomparendo a favore di quella inglese, che non ci appartiene neanche lontanamente. In alcuni casi è impossibile usare una traduzione, come nel caso di blog, che proviene da web log. Ma anche web, che comunque viene tranquillamente tradotto in rete.
Ecco altri esempi di forestierismi comuni:
- a.k.a.: also known as, ossia “anche noto come”, “altrimenti detto”, “detto anche”.
- Audience: il pubblico.
- Automotive: un tempo c’era la sezione Motori nelle riviste e nei giornali.
- Awareness: spesso usata nell’espressione brand awareness, cioè riconoscibilità del marchio.
- Bipartisan: anche la nostra politica infierisce sulla lingua italiana.
- Brand: la cara, vecchia marca. O il caro, vecchio marchio.
- Coach (e Coaching): c’erano una volta l’allenatore e l’allenamento (negli sport), c’erano anche l’istruttore e l’istruzione.
- Community: la… comunità, forse?
- Competitor: il vecchio concorrente.
- Corporate: avete un sito corporate? No, forse avete un sito aziendale.
- Crowd Funding: è la nostra raccolta di fondi o, come ricordo ai tempi del liceo, la colletta.
- Customer Care: ovvero, Servizio clienti.
- Dating: termine introdotto nel 1939 per indicare l’atto o le pratiche di avere appuntamenti romantici.
- Deadline: scadenza? Termine?
- Default: questa parola è ormai una consuetudine. Nello smartphone certe applicazioni sono di default, per esempio. Default significa predefinito, prestabilito.
- Engagement: è il coinvolgimento.
- Feedback: ovvero riscontro.
- Food and Beverage: le riviste e i siti avevano la sezione Cibi e bevande e adesso l’hanno sostituita con Food and Beverage.
- Founder (e Cofounder): ah, quanto impazza e piace ’sta parola! I social si sono riempiti di founder che è una bellezza.
- Freelance: ovvero la lancia libera. Sì, perché era il guerriero mercenario medievale.
- Headline: è il titolo, signori. Perché non usate la parola titolo?
- Leadership: altra parola che piace molto.
- Location: quante parole possiamo usare nella nostra lingua al posto di questa location? Sede, ubicazione, localizzazione, posto, luogo, postazione.
- Magazine: cioè… rivista? Adesso spiegatemi perché abbiamo bisogno di chiamare le nostre riviste magazine.
- Meeting: incontro. C’è da dire altro? Riunione, anche, o assemblea, secondo il contesto.
- Mission: quindi che cosa avete fatto? Avete tolto la vocale finale alla nostra parola missione e vi siete convinti di aver creato qualcosa di nuovo?
- News: cioè le notizie? Oggi si parla tanto, troppo, anche di fake news… cioè le notizie false? Ma perché non chiamarle notizie?
- Outfit: è il completo.
- Preview: dunque… l’anteprima?
- Problem solving: possiamo tradurlo con risoluzione di problemi o capacità di risolvere problemi, secondo il contesto.
- Recruiting: assunzione, forse?
- Release: è versione, distribuzione, o anche pubblicazione, o in alcuni casi lancio.
- Reseller: dai, diventa un reseller!
- Sequel: è il seguito, per favore tornate a chiamarlo seguito come un tempo.
- Shopping bag: la borsa della spesa?
- Skill: comunque sono le abilità, le capacità, i talenti.
- Speaker e (Public) Speaking: lo speaker è il relatore, chi parla a un evento.
- Specialist: ah, ma allora è un vizio quello di togliere la vocale finale alle nostre parole per illudersi di aver creato una novità. Lo specialista che ha di strano? Sei un social media specialist?
- Speech: avete mai fatto uno speech? Io no.
- Stand-by: in attesa.
- Step: è la parola che sopporto di meno.
- Store: In tutti i negozi.
- Strategist: la parola stratega pare non piaccia.
- Team: eccone un’altra che non sopporto. La squadra, signori, è la squadra.
- Tool: si usa sempre per gli strumenti online. Un tool per diminuire il peso delle immagini, un tool per trovare le parole chiave.
- Topic: è il tema di uno scritto, l’argomento, il soggetto.
- Travel: come l’Automotive, anche il Travel ha sostituito la nostra categoria di Viaggi e Turismo.
- Visual: usato spesso nell’espressione contenuti visual.
- Wedding planner: oggi sono nate nuove figure professionali, le wedding planner. Come se definirsi “organizzatore di matrimoni” fosse una vergogna.
- Weekend: “che fai nel fine settimana”, mi chiedevano da ragazzo. “Che fai nel weekend?”, mi chiedono adesso.
- Welfare: parolaccia introdotta da uno dei governi passati. Welfare in inglese sono i sussidi pubblici, ma anche la previdenza sociale.
Un esempio di frase che abusa di termini inglesi:
"Sono il founder di una startup che gestisce una serie di blog corporate nel settore del food and beverage. Le nostre skill ci hanno permesso di raggiungere un’audience molto ampia, grazie alla nostra vision e a una mission che vede il cliente protagonista. I feedback sono per noi fondamentali per migliorare la nostra brand awareness. In breve tempo abbiamo superato i nostri competitor e costruito una community di fan e potenziali clienti che cresce ogni giorno, perché puntiamo su headline magnetiche che generano engagement e like."
La stessa frase, con un uso più oculato dell'italiano:
"Sono il fondatore di una giovane impresa che gestisce una serie di blog aziendali nel settore della ristorazione. Le nostre capacità ci hanno permesso di raggiungere un pubblico molto ampio, grazie alla nostra visione aziendale e al nostro obiettivo che vede il cliente protagonista. I riscontri sono per noi fondamentali per migliorare la riconoscibilità del nostro marchio. In breve tempo abbiamo superato i nostri concorrenti e costruito una comunità di appassionati e potenziali clienti che cresce ogni giorno, perché puntiamo su titoli magnetici che generano coinvolgimento e apprezzamenti."
Forestierismi Gastronomici: Un Caso Particolare
L’intera storia della gastronomia italiana è caratterizzata dalla coesistenza di una dimensione globale, alla quale si deve, in ogni epoca, l’apporto di culture alimentari differenti, e di una dimensione locale, che si manifesta nell’attenzione rivolta a prodotti ed elaborazioni gastronomiche di realtà geografiche vicine e circoscritte. Questa duplice tendenza ha avuto importanti implicazioni linguistiche.
In epoca contemporanea, il fenomeno della diffusione di parole straniere (o forestierismi) del cibo in italiano assume tratti peculiari. L’avvento di Internet, il turismo internazionale, la possibilità di acquistare facilmente cibi esotici e la diffusione della ristorazione etnica rappresentano nuove opportunità di contatto con universi alimentari talvolta anche remoti, da cui derivano nuovi prodotti e, con essi, nuove parole.
Benché il francese continui ad essere una delle fonti da cui l’italiano attinge parole straniere della gastronomia, va rilevata la tendenza, tipica soprattutto degli ultimi decenni, ad adottare gastronimi inglesi e anglo-americani. Sono entrate più o meno stabilmente nell’uso parole come chips, hamburger, cornflakes, hot dog, snack o soft drink, tutte attestate in italiano a partire dagli anni ʼ50 del XX secolo e connesse all’ondata consumistica filoamericana che ha interessato e interessa ancora oggi l’Italia.
Non solo: l’apertura di nuovi contatti con le gastronomie estere ha favorito il recente accesso, in italiano, di parole del cibo provenienti, oltre che dalle lingue europee, anche da lingue lontane ed esotiche. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di prestiti non adattati, cioè di parole che hanno mantenuto la struttura grafica e fonetica della lingua di partenza.
Tra le lingue che, a partire dalla seconda metà del Novecento, hanno contribuito a questo arricchimento, va menzionato ancora il francese, al quale si devono, oltre a prestiti legati a procedimenti per la preparazione delle pietanze (come brisé, flambé, fumé o sablé), numerosissimi gastronimi, tra i quali si ricordano aïoli, béarnaise, bisque, brunoise, citronnette, clafoutis, coulis, éclair, filet mignon, fondue, parmentier, raclette e tartare.
Per quel che riguarda gli anglismi, accanto a una serie di locuzioni latamente legate al mondo della cucina (take away, food delivery, lunch box, happy hour, comfort food, cake design), è possibile individuare voci entrate stabilmente in italiano. Oltre agli esempi succitati, si segnalano ancora cheesecake, toffee, brownies, cupcake, muffin, topping e smoothie, nonché appetizer, apple pie, crumble, egg-nog, haddock, lemon curd, marshmallow, milk-shake, parboiled, stout, T-bone, waffle e worcester, mentre di mediazione inglese è bagel.
Non meno numerosi sono gli iberismi che, indicanti spesso alimenti e pietanze tipici dell’America del sud, si dividono in ispanismi (asado, chorizo, gazpacho, mojito, nacho, taco, tapas), e lusitanismi (cachaça, caipirinha, churrasco e feijoada).
Da segnalare è inoltre il contributo di altre lingue europee, come il tedesco, da cui derivano knödel, kugelhupf, sachertorte, spätzle e speck, cui è possibile aggiungere lo svizzero tedesco rösti. Il neogreco presta all’italiano tsatziki, feta, gyros, e ancora moussakà e souvlaki.
Un comparto piuttosto nutrito del lessico gastronomico italiano è quello che raccoglie voci provenienti da lingue non europee, tra le quali spicca, per frequenza e notorietà, il giapponese. Nipponismi della cucina sono, ad esempio, seitan e tofu, prodotti oggi ben noti in Occidente assieme a pietanze come il sushi, il surimi o la tempura.
Dal nahuatl, attraverso lo spagnolo, giungono chicha, chili e guacamole. Il russo presta asetra e malossol, koulibiak e bortsch, mentre turchismi recenti sono baklavà e dolma. Ben rappresentato è il settore degli arabismi, che accoglie halwa, hummus o falaffel, ma anche harrissa e taboulè.
Un esotismo di recente e straordinario successo è infine poke, parola hawaiana indicante ‘pesce crudo accompagnato con frutta, verdura o riso’.
Anglicismi Derivanti dai Social Media
I social network hanno introdotto nuovi termini nella lingua italiana, spesso anglicismi. Vediamo alcuni esempi:
Verbi
- To tag: taggare (etichettare).
- To flag: flaggare (segnalare).
- To post: postare (pubblicare).
- To google: googlare (cercare sul web).
- To ban: bannare (vietare l'accesso).
- To swipe up: swipe up (scorrere verso l'alto).
- To tweet: twittare (cinguettare).
- To troll: trollare (pubblicare messaggi offensivi).
- To follow: seguire (seguire un profilo).
- To spam: spammare (inondare di messaggi).
Interiezioni
È ampio l’uso delle interiezioni come (bye bye, congratulations, good job!, good luck, good news!, happy birthday, happy new year, happy xmas, help!, hey, no violence!) Dagli auguri alle celebrazioni, dalle espressioni di sorpresa a quelle di supplica. Il nostro caro amico inglese sembrerebbe avere una marcia in più nel comunicare le emozioni in modo diretto e coinvolgente! Ad esempio, quanti di voi avranno visto dei “post” del tipo “Merry xmas ragazzi!” oppure “Dopo questa, no words!”? Tantissimi!
Nomi
- Weekend: fine settimana.
- Hashtag: etichetta tematica (#).
- Like: "mi piace".
- Fashion: moda.
- Account: conto utente.
- Influencer: persona con influenza sui social media.
Quando l'Italiano Può Bastare
Se alcune parole come “marketing”, “sport”, “rock”, “browser”, “smog” non trovano un corrispondente efficace nella nostra lingua, ci sono altri termini come workshop, abstract, fashion, light di cui potremmo far benissimo a meno, utilizzando i loro corrispettivi italiani seminario, riassunto, moda, leggero.
Influenza dell'Inglese: Un Fenomeno in Crescita
Da sempre, le lingue hanno assistito a una contaminazione tra di loro. Termini che si fondono e si confondono, e che danno vita a un nuovo modo di comunicare. Una delle lingue che maggiormente ha influenza, e influenza tutt’ora, la nostra, è l’inglese. L’inglese può essere considerato la lingua internazionale, e sono davvero molti i Paesi stranieri che utilizzano termini anglosassoni. Tra tutti, c’è anche l’Italia.
Sono davvero molti i settori e gli ambiti, in Italia, in cui vengono utilizzati termini inglesi. È un’azione talmente abituale, che spesso nemmeno ci si rende conto di utilizzarli. Siamo circondati da parole inglesi che non trovano un’esatta corrispondenza in italiano, e che si sono affermate saldamente nella cultura nostrana.
Quotidianamente, utilizzi parole che appartengono all’inglese, anche senza rendertene conto, come jeans, bar, football, sport, rock. Ma la lista potrebbe essere infinita, perché i termini anglosassoni, entrati nel nostro linguaggio verbale e scritto, sono sempre in continuo sviluppo.
Spesso, capita di utilizzare una parola inglese perché esprime l’immediatezza di un significato, attraverso un termine più corto, rispetto a quello italiano. Altre volte, invece, lo facciamo incondizionatamente, perché ci sono campi, come quello dell’informatica, della moda, della musica, in cui le parole straniere vanno per la maggiore, e il nostro linguaggio si è adattato a tali utilizzi.
I social hanno incrementato la diffusione dei forestierismi, perché utilizzare parole appartenenti ad altre lingue può essere sinonimo di maggiore espressione. Si usano per moda, per arrivare a una fetta di pubblico più grande.
L’importante è che, quando usi parole inglesi nell’italiano, tu sia in grado di farlo nel modo giusto, dando loro il peso e il significato adeguato. L’importante, quindi, è modulare il linguaggio a seconda del contesto e dell’interlocutore, utilizzando parole inglesi se hai la certezza che, dall’altra parte, possano capirti.
Per concludere, utilizzare parole inglesi in italiano è divenuta una cosa all’ordine del giorno. Puoi scegliere, a seconda del tuo stile, del contesto (ad esempio, per un esame universitario o a lavoro), degli obiettivi di comunicazione, come “dosare” le parole in inglese nel tuo vocabolario.