Come Insegnare Matematica agli Stranieri: Strategie Efficaci
Accrescere le competenze in matematica significa garantire un futuro più solido a bambini e bambine. Eppure sono moltissimi gli studenti che non raggiungono le competenze di base. Nell’ultimo rapporto OCSE a disposizione si rileva che l’andamento dei quindicenni in Italia per quanto riguarda le competenze di matematica è in linea con quello europeo; tuttavia si rileva anche un 24% di low performer (ossia studenti che non raggiungono le competenze di base in matematica).
Le norme attuali sui BES fanno infatti riferimento anche agli alunni stranieri. Gli alunni NAI sono gli studenti neoarrivati in Italia che non parlano italiano o lo parlano poco, o coloro i quali sono inseriti a scuola da meno di due anni. Si tratta quindi di alunni con cittadinanza straniera che ancora non parlano italiano o conoscono poco la nostra lingua. Come anticipato, si definiscono studenti NAI tutti quegli alunni che sono arrivati in Italia da poco tempo e che perciò non conoscono ancora la nostra lingua, e che decidono di continuare la loro formazione scolastica nel nostro Paese.
La prima fase di apprendimento dura qualche mese, durante i quali l’attenzione e gli sforzi dello studente si rivolgono principalmente all’acquisizione della lingua italiana, in modo da iniziare a comunicare. Durante la prima fase della durata di alcuni mesi, gli sforzi e l’attenzione privilegiata sono rivolti all’acquisizione della lingua per comunicare.
Individualizzazione dell'Insegnamento
L’individualizzazione dell’insegnamento in questo periodo si baserà sull’attenzione degli insegnanti alle difficoltà della lingua scritta dello studio, avendo cura di non dare nulla per scontato nella comprensione dei significati. Anche le forme di verifica di valutazione dello studente NAI devono essere personalizzate sulla base dei suoi specifici bisogni. Nel PDP devono essere indicate tutte le discipline coinvolte nel piano.
Per riuscire ad inserire in modo efficace gli alunni NAI nel sistema scolastico e lavorare con loro nel modo migliore possibile, si raccomandano apposite misure dispensative, che possono essere applicate senza problemi a tutte le materie. Gli approcci didattici e le strategie utilizzate per i processi di apprendimento in relazione agli alunni NAI devono prediligere le attività di gruppo.
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Infine, all’interno di qualsiasi strategia didattica è fondamentale il coinvolgimento dei genitori, che rivestono un ruolo fondamentale nel processo di crescita dell’alunno. I genitori devono infatti stimolare il proprio figlio verso l’indagine e la conoscenza di tutti quegli aspetti di tipo culturale, sociale e artistico del nuovo Paese in cui vivono.
Vediamo infine quali sono le modalità di inserimento degli alunni NAI all’interno del sistema scolastico italiano. Se lo studente è ancora in età di obbligo scolastico sarà inserito in una classe che corrisponde alla propria età anagrafica. L’iter di inserimento dell’alunno NAI, infatti, cambia in base all’ordine e grado della scuola nella quale verrà iscritto.
Il Metodo Singapore
Singapore è da moltissimi anni uno dei Paesi con i più alti livelli di competenza matematica tra studenti e adulti, perché applica un metodo particolare. Il metodo Singapore è un metodo efficace per insegnare la matematica ottenendo ottimi risultati anche da parte dei bambini e delle bambine che solitamente fanno più fatica con i numeri. In questo articolo i principi fondamentali del metodo Singapore e alcune attività per metterlo subito in pratica.
Il metodo Singapore è utilizzato soprattutto nei paesi anglosassoni e asiatici, ma negli ultimi anni si è diffuso anche in Francia, Scandinavia e America Latina. La sua diffusione piuttosto rapida si deve agli eccellenti risultati in matematica raggiunti nei test dagli alunni dei paesi in cui è stato adottato. Uno dei principi base di questo metodo è che la matematica non è qualcosa che va memorizzato, una conoscenza, ma una competenza: secondo questo metodo è importante raggiungere la padronanza della matematica attraverso tante strategie diverse. Il Metodo Singapore favorisce la metacognizione e incoraggia gli alunni ad avere un atteggiamento positivo verso la matematica.
Uno dei principi di base è quello di senso del numero (componente semantica). Il senso del numero riflette la componente semantica, primitiva, legata alla rappresentazione che ci creiamo dei numeri (come sono associati?) e stimola il pensiero in ambito matematico. In un brainstorming in classe possono emergere tutte queste definizioni. Gli alunni sono invitati a raccontare e spiegare il ragionamento che hanno fatto per risolvere l’enigma.
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Nel Metodo Singapore è ritenuta fondamentale l’esperienza con oggetti concreti. Alla fase concreta segue una fase grafica, ossia di rappresentazione della situazione attraverso immagini-simbolo, in cui si utilizzano soluzioni grafiche attraverso schemi che aiutano la comprensione. Nell’approccio astratto/mentale si impara a trasformare in simboli (cifre e operazioni) il concetto che si è già acquisito.
Approccio Pratico e Reale
Già lo scorso autunno il ministro prof. Valditara ha annunciato di voler “riformare l’insegnamento delle discipline STEM, che ci vede purtroppo oggi molto indietro rispetto ad altri paesi europei”. La ricetta sintetizzata dal ministro è “partire dalla realtà per arrivare alle astrazioni”. Concordo pienamente con questo ribaltamento di prospettiva rispetto all’impostazione assiomatica che ancora caratterizza in larga misura l’insegnamento della matematica nel nostro sistema scolastico.
Il ministro ha affermato che “la nostra formazione, rispetto alla Svizzera o alla Germania, è ancora troppo astratta e poco concreta”, ma immagino che in quel passaggio si riferisse alla formazione professionale. Per quanto riguarda invece l’insegnamento della matematica nei licei, molte delle difficoltà di apprendimento mi sembra siano spesso causate, o per lo meno accentuate, non tanto da un eccessivo livello di astrazione (che dire allora dello studio della filosofia?), quanto piuttosto da una grave mancanza di motivazione.
La domanda tipica di molti studenti di fronte alla matematica è “Perché devo studiare queste cose?”. Questo ostacolo si può affrontare presentando i concetti matematici come strumenti utili per risolvere problemi (rilevanti), che altrimenti non si saprebbe come affrontare se non “a occhio e croce” o “per tentativi”.
Se è arduo (anche in un liceo scientifico) far appassionare gli studenti alle formule di prostaferesi, non è affatto difficile (anche in un liceo artistico o linguistico) far cogliere il valore del metodo scientifico applicato alla risoluzione di problemi decisionali. A qualcuno piacerebbe essere curato da un medico che procedesse “a occhio e croce” o “per tentativi”?
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In effetti, la matematica, anche nelle sue diramazioni più astratte, si è storicamente sviluppata a partire da necessità concrete, quasi sempre connesse a problemi decisionali, anche quando poi si è sviluppata verso generalizzazioni teoriche concettualmente interessanti di per sé (ma solo per alcuni che le sanno apprezzare, non per tutti) e slegate dalle applicazioni. Nell’azione didattica a livello scolastico, non universitario, assumere un punto di vista meno assiomatico e più aderente alla realtà storica non significherebbe insegnare meno concetti matematici: anzi, di più!
Nemmeno significherebbe essere meno rigorosi e neppure sostituire le conoscenze con le abilità (confondendo la formazione culturale con la formazione professionale) né sostituire i “segmenti” coi “bastoncini” (secondo lo stile in voga in taluni paesi stranieri). Una seconda tipica causa di difficoltà di apprendimento in matematica mi pare sia la frammentazione dei contenuti, figlia - è lecito supporre - della definizione dei diversi settori scientifico-disciplinari in cui si articola ancora l’area delle scienze matematiche.
Anche nelle ultime linee-guida ministeriali, risalenti a circa dieci anni fa, resta la divisione dei contenuti matematici in “capitoli” distinti: “Aritmetica e algebra”, “Geometria”, “Relazioni e funzioni”, “Dati e previsioni”. Noto en passant che la dicitura “Numeri e algoritmi”, proposta dall’UMI già anni prima della riforma, non compare.
Ma ancora più grave della negligenza relativa agli algoritmi è la scarsa enfasi sui modelli. I modelli matematici sono l’elemento unificante di tutti i “silos” in cui viene frammentata la matematica e contemporaneamente sono l’anello di congiunzione tra la teoria e le applicazioni. È pur vero che a livello di ricerca scientifica le diverse branche della matematica hanno raggiunto un livello di specializzazione altissimo e sempre crescente, per cui ormai ciascuna tende a “vivere di vita propria”. Tuttavia, nell’insegnamento la frammentazione della matematica porta con sé aspetti decisamente negativi.
Adottare uno stile didattico modellistico significa presentare la matematica anche come un linguaggio (straordinariamente efficace) per descrivere sistemi e problemi. Mi permetto di insistere sul fatto che i modelli matematici rappresentino sistemi e problemi, non sistemi soltanto. Il termine “modello matematico” ricorre già, anche se raramente, nelle linee-guida ministeriali per la matematica, ma sempre in relazione a modelli di sistemi fisici, naturali o artificiali. Scarseggia o talora manca del tutto il concetto di modello matematico dei problemi decisionali o di ottimizzazione.
Una delle eredità culturali più importanti del XX secolo è stato lo sviluppo della matematica computazionale, che ha allargato molto i confini della matematica. Aperta parentesi. Siccome si tratta di un allargamento, e non di una sostituzione, sarebbe bene questo fosse accompagnato da un aumento del monte-ore dedicato alla matematica, anche a scapito del livello di approfondimento di materie forse un po’ meno fondamentali nella formazione della cultura dei giovani del nostro secolo. Sui contenuti bisogna saper fare delle scelte e anche delle rinunce.
A mio modo di vedere, sarebbe interessante provare a sostituire tutto ciò che è meccanico, noioso, ripetitivo e procedurale nella didattica della matematica con lo studio del corrispondente algoritmo. Noi umani siamo bravi nell’inventare gli algoritmi, non nell’eseguirli; per eseguirli abbiamo inventato i calcolatori. Tra l’altro gli algoritmi sono indispensabili in molti casi, perché non tutti i problemi in matematica si risolvono applicando una formula e facendo qualche calcolo, come accade nella risoluzione degli esercizi scolastici.
Presentare solo esercizi deliberatamente inventati per essere risolti in modo esatto con apposite formule significa adattare la realtà alla matematica. Non sarebbe una resa della matematica né uno scadimento: infatti, anche gli algoritmi sono concetti matematici con proprietà matematicamente dimostrabili. Oggi molti alunni (e forse non solo loro) hanno un’idea un po’ distorta dell’informatica: la vedono come information technology, dispensatrice di dispositivi elettronici con cui comunicare o fruire di contenuti multimediali, ma ben poco come computer science, cioè scienza del calcolo automatico.
Può darsi che queste tre proposte suonino un po’ eretiche, però le vorrei condividere con voi lettori di MaddMaths! per il semplice fatto che le ho già sperimentate tutte e tre (anche se solo “in vitro” e su scala ridotta) soprattutto grazie ad attività di orientamento, da cui ho sempre ricevuto riscontri estremamente positivi. Peraltro, diversi altri colleghi in varie università italiane hanno attivato con successo iniziative analoghe, sia verso gli alunni che verso gli insegnanti.
Inoltre, il 9 giugno scorso presso l’Università di Milano si è svolta la prima Summer International Conference della Decision Science Alliance, un’organizzazione no profit promossa da manager, imprenditori, accademici e professionisti supportati da aziende, università, centri di ricerca e pubbliche amministrazioni, tutti interessati allo sviluppo della scienza delle decisioni in ambito anche economico, sociale e ambientale. Nel corso dell’evento è emerso chiaramente il tema della necessità di attivare - sia a livello scolastico sia universitario - percorsi di studio innovativi e interdisciplinari rispetto alle obsolete e discutibili tassonomie tuttora in vigore, per sviluppare una forma mentis modellistica prima ancora che computazionale.
Infine, vale la pena notare anche che il tema sollevato dal ministro Valditara non riguarda solo programmi e linee-guida, ma coinvolge pesantemente la formazione dei docenti e quindi il sistema universitario.
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