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Dimora del Viaggiatore: Significato e Riflessioni sul Viaggio Autentico

Estate. Il viaggio. Le agenzie sono piene di prenotazioni, ma noi sappiamo ancora viaggiare? Sappiamo ancora congedarci e dire addio? Siamo davvero all’altezza della nostra frenesia estiva di cambiare orizzonte e cielo e terra, o siamo solo dei turisti diretti a una meta che si muovono per arrivare e non per viaggiare?

Per l’occidentale abituato a spostarsi e non a viaggiare, che ne è dell’intervallo tra l’inizio e la fine? Che ne è del viaggio per chi vuole arrivare? Per chi vuole arrivare e si mette in viaggio con la stessa mentalità che l’ha sorretto per l’intero anno, una mentalità che ha di mira le mete, i progetti, gli obiettivi da raggiungere, del viaggio ne è nulla. Le terre che egli attraversa o sorvola non esistono. Conta solo la meta. Egli viaggia per arrivare non per viaggiare.

Così il viaggio muore durante il viaggio, muore in ogni tappa che lo avvicina alla meta. Eppure, quando il cielo sovrasta terre dimenticate da Dio e dalla storia, allora anche l’anima prova qualche sussulto. Allora il sole sorge insolito e la notte copre tutte le insidie che l’uomo primitivo temeva nascoste nel buio. Le facce delle persone appaiono nei loro lineamenti indecifrabili, dove l’intenzione non si traduce in linguaggio e la comprensione è affidata all’empatia dell’animale. Qui il viaggiatore incontra quella parte dell’anima che è meno spirituale perché è la più istintiva. L’anima-animale appunto.

Questa dimensione significa consapevolezza della propria spaesata e casuale esistenza, su una terra, che quando non è tecnicamente organizzata come la nostra, dove ogni cosa esprime nella sua funzionalità il suo senso, mostra devastante nella sua vastità, la sua totale indifferenza. Terra dimenticata da noi, a cui noi reagiamo con la nostra forsennata costruzione di prospettive, mete, obiettivi.

A ostacolare lo spaesamento dell’anima, di cui il viaggio è la prima figura, è da un lato la nostra tradizione religiosa, dall’altro la stessa progettualità laica. L’una e l’altra, infatti, hanno inaugurato un viaggiatore che tratta i luoghi che incontra come luoghi di transito, tappe che lo avvicinano alla meta. Per cui i luoghi diventano interluoghi in attesa di quel Luogo che è la meta stessa, la patria ritrovata, la vita realizzata, la stabilità raggiunta.

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Inutilmente la via ha istituito viaggiatori, le loro orecchie sono sorde alle voci dei luoghi, le sirene del ritorno e della meta hanno cancellato ogni stupore, ogni meraviglia, ogni dolore. Non più Odissea con un’Itaca che fa di ogni luogo una semplice tappa sulla via del ritorno, ma Odissea come ripresa del viaggio, secondo la profezia di Tiresia, per cui è il letto scavato nell’ulivo intorno a cui è stata edificata la reggia a divenire una tappa del successivo andare.

Senza meta e senza punti di partenza e di arrivo, che non siano punti occasionali, il viaggiatore, con la sua etica, può essere il punto di riferimento dell’umanità a venire, se appena la storia accelera i processi di recente avviati che sono nel segno della deterritorializzazione. Il <>, sempre meno specchio di me, e sempre più <>, obbligherà tutti a fare i conti con la differenza, come un giorno, ormai lontano nel tempo, siamo stati costretti a farli con il territorio e la proprietà.

Fine dell’uomo come lo abbiamo conosciuto sotto il rivestimento della proprietà, del confine e della legge, e nascita di quell’uomo più difficile da collocare, perché viaggiatore inarrestabile, in uno spazio che non è garantito neppure dall’aristotelico <>, perché anche questo cielo è tramontato per noi. E con il cielo la terra, perché non è più terra di protezione e luogo di riparo. Tagliati gli ormeggi, l’orizzonte si dilata, il suo dilatarsi lo abolisce come orizzonte, come punto di riferimento, come incontro della terra con il suo cielo, il viaggio e la costellazione delle metafore che lo circondano avviano a questi pensieri. Sono pensieri ancora tutti da pensare.

L'Irlanda: Una Dimora per l'Anima del Viaggiatore

Pochi Paesi al mondo incantano la fantasia del viaggiatore ancor prima di imbarcarsi per il volo. Uno di questi è l’Irlanda. Il motivo? In questa natura leggendaria, che ha ispirato la nascita del genere fantasy, non sorprende che la tradizione prima orale e poi letteraria irlandese, abbia messo a dimora fate, gnomi, goblin, elfi e folletti. Il “Piccolo Popolo”, un regno segreto di creature magiche che vivono nei boschi, nei ruscelli, nelle grotte, lungo le spiagge, sotto le querce secolari o fra le rovine di antichi monasteri. Luoghi ameni.

Goderecce e dispettose, sagge e spiritose o astute e malefiche, queste creature straordinarie incarnano vizi e virtù degli esseri umani e popolano i racconti del Paese, spargendo consigli e riflessioni, sempre sotto l’occhio vigile della natura, della quale interpretano i fenomeni e i capricci. Si dice che abitassero l’Irlanda fin dalla notte dei tempi, stirpe antichissima e misteriosa che con l’arrivo del Popolo Alto iniziò a mimetizzarsi nella natura.

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Ecco allora il Leprecauno (Leprecahaun), il folletto più famoso d’Irlanda (la sua maschera apre le sfilate di San Patrizio, il 17 marzo). Laborioso, diffidente, dispettoso, è un artigiano ciabattino che porta i capelli e la barba lunga. Quando invece il paesaggio è più malinconico, avvolto dalla nebbia o reso plumbeo da un imminente temporale, probabilmente si aggira nei paraggi una Banshee, lo spirito femminile più rispettato d’Irlanda. Questa “donna delle fate” (dal gaelico), di solito bellissima e avvolta in un mantello, annuncia al mondo la morte di una persona valorosa. Non deve spaventare, benché abbia occhi rossi di lacrime, perché non è cattiva.

L’Irlanda è anche la terra dei druidi, sacerdoti depositari di antiche conoscenze. Il loro ruolo nella società celtica preromana era fondamentale: consiglieri dei re, guide spirituali, filosofi e condottieri, traevano il loro potere da una forte connessione con la natura. Erano proprio le piante a rivestire un ruolo centrale nelle attività dei druidi, che vantavano una vasta conoscenza delle erbe medicinali. Per i rituali avevano assegnato un compito a ogni albero: il nocciolo rappresentava la saggezza, il salice la profezia, il noce era il più temuto e con le sue foglie ottenevano le pozioni per incantare. Il nome della quercia (Duir in gaelico, da cui deriva probabilmente la parola druido) significava “porta”, ovvero ingresso nel mondo del mistero, e per questo, sotto l’albero re della foresta, si riunivano in assemblea.

Che all’orizzonte si aggiri un Leprecauno, un elfo o un druido, è impossibile non innamorarsi dell’Irlanda. Un luogo ovunque verdissimo, puntellato di boschi secolari e umide brughiere che scendono a picco sul mare. Ovunque sull’isola l’elemento naturale è sovrastante ogni altra cosa. E ricade su tutto il resto.

La seduzione magica in Irlanda è anche questo: perdersi a zonzo nelle campagne, lasciare la strada maestra per seguire un sentiero indicato da un cartello malconcio e ritrovarsi in una radura sferzata dal vento, circondati da alte siepi di fucsie spontanee dal colore abbagliante e massi preistorici disposti in cerchio. C’è un parco, sulla costa occidentale, che per molti è la sintesi perfetta del paesaggio irlandese. È il Killarney National Park: prati infiniti e incontaminati, boschi primordiali e romantici specchi d’acqua, dove l’Irlanda accarezza il cuore dei viaggiatori. Il parco è attraversato da una strada ombreggiata e silenziosa che permette infinite soste. Il consiglio è quello di non darsi un orario, non fare programmi, ma di fermarsi dove la luce, i suoni e i profumi della natura lo chiedono.

Ma natura in Irlanda significa anche profumo. La seduzione in Irlanda è infine nell’abbraccio intenso e sincero, che troverete in ogni pub, in cui scaldarsi la sera, mentre riecheggia musica celtica suonata dal vivo. La mente ripercorre i paesaggi di cui gli occhi e il cuore si sono riempiti: le atmosfere dei boschi, delle coste selvagge in balia dell’oceano, delle vallate e delle morbide brughiere. Luoghi mitici, abitati dal Piccolo Popolo ma anche da gente socievole e alla mano, sorridente, estremamente ospitale, che si fa voler bene.

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Viaggiatori vs. Turisti: Una Distinzione Chiave

Cercando il termine viaggiare su uno dei motori di ricerca di Internet e procedendo - per intuito e insieme distrazione, per serendipity - tra gli innumerevoli risultati raggiunti (soltanto su Google se ne contano 6.300.000) ci si imbatte in una citazione: «Non si considerava un turista, bensì un viaggiatore. E in parte la differenza sta nel tempo, spiegava. Questa citazione serve da esordio - e come tale è usata anche qui - a un interessante intervento sui rapporti tra viaggio e letteratura scritto da Luca Malavasi che così commenta: «la distinzione, ben nota, è posta in apertura a Il tè nel deserto di Paul Bowles, storia di Kit e Port, viaggiatori per cui lo spostamento nel tempo e la dilatazione imprevista della sua durata nascondono, in realtà, l’incapacità di definirsi (di situarsi) in rapporto a un’origine. Ma rivelano anche una condizione, quella del viaggiatore appunto, diventata ormai impraticabile (il romanzo è del 1949), tanto che il loro viaggiare somiglia piuttosto a un fuggire dalla dimensione ‘turistica’ della vita, e la loro esperienza del viaggio, non a caso, si piega quasi subito verso il paesaggio interiore, con una certa indifferenza per ciò che li circonda. Il luogo diventa un mezzo, non un fine, e lo spostamento un’esperienza privata, mai completamente comunicabile.

In effetti, all’epoca della pubblicazione del romanzo la distinzione fra viaggiatori e turisti possiede già una sua complessità sociologica che fa di Port e Kit due figure inattuali di contro al loro compagno di viaggio, Tunner, al quale la distinzione è orgogliosamente (e con una punta di disprezzo) indirizzata. Questi incarna infatti il ritratto più prossimo al turista borghese, ma soprattutto testimonia delle trasformazioni sociali e culturali che hanno ormai messo in crisi un modello di viaggiatore ancora ben vivo fino a tutto l’Ottocento» (Viaggio alle origini del turismo, «il manifesto», 22 ag. Questa distinzione tra viaggiatore e turista è stata messa in rilievo dal sociologo Rachid Amirou (1995) che, dichiarandosi giustamente contrario al carattere ideologico di una simile contrapposizione, vi ha visto la ricorrenza di una tipica questione sociale: il conflitto tra modelli culturali elitari e modelli culturali di massa, tradizione e consumo, individualismo e collettivismo.

L'Evoluzione del Viaggio nell'Era Digitale

La costruzione di forme simboliche del potere sull’intera vita umana ha avuto il suo inizio in tempi immemorabili nell’erranza dei raccoglitori e dei cacciatori e infine nel transito dalle culture nomadiche a quelle sedentarie. Il viaggio è uno di questi dispositivi, forse quello che più ingloba, articola e mette in sequenza tutte le altre forme ancestrali, primitive e storiche di interiorizzazione della sovranità: dalla sfera sacrificale del sacro, della guerra, della politica e della religione, a quella economica della ricchezza e della dissipazione, infine a quella produttiva e ludica dell’abitare. Il globo terrestre è stato territorializzato e continua a esserlo da viaggi di conquista o di fuga. Niente dunque di più esteso dei contenuti e delle forme del viaggiare. E tanto più esteso quanto più si restringe il campo di osservazione al tempo breve del mondo presente.

Le sue spaziature sono ora fondate sull’intensità di relazioni e valori in cui la riproduzione digitale dell’abitare va spingendosi oltre le passate forme della sua riproduzione meccanica, progressivamente assorbendo in sé tutti i vari cicli preistorici e storici della mobilità umana, dei suoi mezzi di trasporto e di comunicazione; delle sue memorie e dei suoi immaginari. L’innovazione tecnologica è il prodotto di questa imponente assunzione del passato nel presente, il modo in cui lo permuta, rendendolo possibile e praticabile non secondo i modi dell’apprendimento e della conoscenza storica bensì secondo dimensioni esperienziali (Gemini 2008). Immensi magazzini di parole, di discorsi e di immagini che si sono accumulati nel passato stanno ora confluendo - insieme alle memorie dei singoli - nella rete di relazioni situate messe a disposizione dall’informatica. Stanno rovesciandosi in universi spaziotemporali che sono andati molto al di là dell’umano, dell’umanamente comprensibile e gestibile e che tuttavia risultano tendenzialmente a disposizione dell’individuo.

Per descrivere un così clamoroso processo, possiamo ricorrere ad analisi volte a semplificarlo o, al contrario, metterne in rilievo l’estrema complessità. Proprio in ciò che è più complesso accade di poter attingere meglio l’essenziale. È quello che qui ci proponiamo. Senza eccedere in teorie e abbondando in descrizioni che tengano conto di un panorama difficilmente riducibile a una sola cartolina o anche a un solo catalogo di siti. Per questo motivo, qui si sorvola sulla parte più scontata del tema affrontato, quella che, pur riguardando l’innesto tra gli apparati del viaggio e i new media, concepisce e applica tale innesto in sostanziale continuità con le tradizioni moderne. In simili casi, la natura dei linguaggi numerici del computer, estremamente flessibile a qualsiasi scopo, è tale da rafforzare piuttosto che indebolire le pratiche attuate nei regimi di senso precedenti. Ma alcune attitudini qualitative dell’intrattenimento in rete stanno finendo comunque per incidere in profondità - con modi automatici, remoti - sulle misure quantitative delle sue applicazioni standard.

Il fine è di conseguire dinamiche di mercato concorrenziali e quindi, pur osservando le dure regole economico-politiche di tali dinamiche (le disuguaglianze locali e globali del liberalismo), l’obiettivo è di ottenere processi di democratizzazione dei prodotti sempre più estesi così da favorire la mobilità per lavoro o per diletto; o per le due cose insieme. Conseguente al proliferare di forme di tele-lavoro, l’integrazione tra il dover essere e l’essere è il segno di uno dei grandi mutamenti intervenuti nella società postindustriale grazie al postfordismo, cioè grazie alla caduta delle barriere fisiche tra spazi e tempi prefissati: fattore di non poco peso nella crescita della mobilità sociale anche nel campo dei viaggi (cfr. Gemini 2008, che prende in esame il film Lost in traslation, 2003, di Sofia Coppola, per spiegare il mutato rapporto tra tempo di lavoro e tempo libero).

Il mercato ha gradatamente dettato le qualità emergenti in questi processi. Se in un passato molto vicino - e per certi aspetti sopravvissuto (si pensi ai pellegrinaggi dei papa boys), anzi in qualche caso persino rinvigorito (si pensi ai raduni e ai rituali no global) - andavano messi in prima posizione valori collettivi di movimenti ideologici, ora invece bastano allo scopo procedure ostentative e operative sempre più garantite da vasti sistemi di rete e da piattaforme informatiche che, quando non siano ancora utilizzate direttamente dal singolo utente-cliente, costituiscono in ogni caso la nuova forza promozionale e operativa delle agenzie di viaggio: sportelli diretti o on-line in cui innovazioni di prodotto e di processo, ricerca, documentazione, informazione, prenotazione e acquisto di posti via mare, terra o cielo, così come prenotazione di alberghi, intrattenimenti, visite a città, quartieri e musei, soste o deviazioni ecologiche e paesaggistiche, acquisti di prodotti tipici o globali - e via dicendo - non sono più momenti tra loro separati. Appartengono a un solo ritmo, a un solo disegno. Sono progettati come design del viaggio.

Di fronte a questo quadro sembrerebbe possibile accontentarsi di una valutazione tendenzialmente semplice (comprovata da statistiche sui flussi di viaggio che mostrano un costante sviluppo della mobilità mondiale; ma anche sul volume di viaggi in continuo sviluppo, e non arrestato dalle preoccupazioni per le guerre che affliggono il pianeta e dalla percezione diffusa di pericolo; e sulla crescita dei flussi turistici che incide in maniera determinante sulla nascita di ‘nuovi turisti’ provenienti dai Paesi del Sud-Est asiatico, dalla Cina e dall’Europa dell’Est).

All’interno e all’esterno dell’uso degli apparati informatici impiegati dalle dimensioni del viaggio e dei viaggiatori - pur sempre, come s’è detto, sostanzialmente tradizionali - accade qualcosa di diverso, si insinua e matura un’inedita composizione culturale delle partenze, dei transiti e dell’abitare. Quello che sta accadendo è implicato nello sgretolarsi delle grandi narrazioni e dei grandi movimenti, dunque in quel processo di destrutturazione dei modelli forti di socializzazione di cui la modernità ha potuto godere per merito della rigorosa mappatura geopolitica realizzata dallo spirito occidentale del mondo proprio grazie a trame sempre più fitte di viaggi reali e immaginari.

Con la Prima guerra mondiale e con le avanguardie storiche il viaggio è precipitato nell’orrore del progresso moderno e nello splendore delle sue forme estetiche. Dopo la Seconda guerra mondiale ci sono state la guerra fredda e la televisione. Crisi e ricostruzione. Le politiche democratiche e comunitarie, laiche e religiose, si muovono in modo ancora sostanzialmente disgiunto dalle politiche economiche e dallo sviluppo dell’esperienza turistica come marketing della cultura. I giovani, per es., arrivano a essere reclutati come ‘turisti in formazione’ da organizzazioni nate dentro l’associazionismo religioso. Esemplare il caso italiano del CTS (Centro Turistico Studentesco e giovanile), legato all’associazionismo cattolico.

La televisione è divenuta tra gli anni Sessanta e Novanta il territorio di esperienze di consumo in cui le figure sociali privilegiate dai movimenti e dalle istituzioni - il cittadino così come il viaggiatore cosmopolita - sono state progressivamente espanse e ibridate da altre qualità, trovando la loro più tipica conformazione nello spettatore e, infine, nel consumatore. L’intero sistema multimediale dell’industria culturale di massa (fiction, informazione, pubblicità) è divenuto un gigantesco collettore di immagini che - da essere disperse nel tempo e nello spazio, in luoghi, memorie, archivi e pubblici diversi e distanti, sconnessi, tra loro - confluiscono ora nei ritmi quotidiani, insieme ciclici e lineari, del piccolo schermo.

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