Foglio di Via Obbligatorio per Stranieri: Normativa e Presupposti
Il foglio di via obbligatorio è disciplinato all’articolo 2 del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n.159. Si tratta di una “misura di prevenzione personale” applicata dal Questore nei confronti di specifici soggetti (indicati dall’articolo 1).
In particolare, il provvedimento del foglio di via è adottato nei confronti di soggetti:
- “coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi” (lett. a);
- “coloro che, per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività criminose” (lett. b);
- “coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, comprese le reiterate violazioni del foglio di via obbligatorio di cui all’articolo 2, nonché dei divieti di frequentazione di determinati luoghi previsti dalla vigente normativa, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica” (lett. c).
L’articolo 2 prevede che qualora queste persone “siano pericolose per la sicurezza pubblica e si trovino fuori dei luoghi di residenza, il questore può rimandarvele con provvedimento motivato e con foglio di via obbligatorio, inibendo loro di ritornare, senza preventiva autorizzazione ovvero per un periodo non superiore a tre anni, nel comune dal quale sono allontanate”.
L’applicazione della misura è legata alla ricorrenza dei seguenti presupposti: la riconducibilità della persona ad una delle anzidette categorie previste dall'art. 1 del D.lgs. n. 159/2011; e il giudizio di pericolosità per la sicurezza pubblica.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, per “luogo di residenza” deve intendersi non tanto la residenza anagrafica, ma il luogo di residenza reale ed effettiva, vale a dire quello di dimora abituale in un determinato luogo, che si caratterizza per l'elemento oggettivo della permanenza e per l'elemento soggettivo dell'intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali.
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Il contenuto dettagliato delle prescrizioni imposte con il provvedimento in questione è rinvenibile nel R. D. 6 maggio 1940, n. 635, recante il Regolamento per l’esecuzione del T.U.L.P.S., ed in particolare agli artt. 221 e ss.
La sentenza in commento ha ad oggetto la violazione della richiesta di allontanamento da parte di due soggetti, che erano stati identificati dalla Polizia Giudiziaria nell’area che il foglio di via obbligatorio impediva loro di frequentare.
Tuttavia, nonostante fosse pacifico sia il fatto che gli imputati si trovassero in quel momento all’interno del Comune oggetto del divieto di ritorno, sia il fatto che in tal modo gli imputati avessero disatteso il provvedimento, il Tribunale Ordinario di Brescia (Sent. 4159 del 12/12/2022, III Sez. Penale e del Riesame), ha assolto i due soggetti per insussistenza del fatto.
Il giudice ha invero sottolineato che il provvedimento, pur prevedendo correttamente un ordine di allontanamento con indicazione del luogo in cui gli imputati non potevano circolare, ha omesso “la prescrizione del luogo in cui recarsi e quindi l'ordine di rientro nel comune di residenza per gli imputati”.
Viene anche citata a tal proposito la sentenza della Prima Sezione Penale della Suprema Corte, n. 30950/2019, la quale afferma che “in tema di misure di prevenzione, le prescrizioni di fare rientro nel luogo di residenza e di non ritornare nel Comune oggetto dell'ordine di allontanamento costituiscono condizioni imprescindibili e inscindibili per la legittima emissione del foglio di via obbligatorio; ne consegue che, la mancanza di una delle due prescrizioni […], determina l'illegittimità del suddetto provvedimento, sindacabile dal giudice penale, e la conseguente insussistenza del reato di cui all'art. 76, comma 3, d.lgs. 6 settembre 2011, n.159”.
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Sottolinea dunque nel caso di specie il giudice di merito che “le due prescrizioni indicate dalla norma sono tra di loro intimamente collegate e complementari e quindi entrambe costituiscono elementi essenziali del provvedimento”. L’assenza anche di una sola delle due prescrizioni comporta la nullità dell’atto amministrativo del Questore (come accaduto nella causa in commento) per contrarietà a previsione di legge, dalla quale è conseguita la disapplicazione dell’atto.
Ciò ha comportato la carenza “dell'elemento essenziale del reato contestato” (la violazione delle prescrizioni contenute nel foglio di allontanamento), che ha portato all’assoluzione degli imputati per insussistenza del fatto.
Con la recente sentenza depositata lo scorso 20 novembre 2017, n. 720 il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima) ha dichiarato l’illegittimità della misura del “foglio di via obbligatorio” adottato dall'Autorità di pubblica sicurezza in assenza di un’adeguata istruttoria relativa alla situazione familiare del destinatario del provvedimento e, pertanto, in violazione dell’art. 8 della Convenzione E.D.U.
Il ricorrente, residente a Roma, si trovava a Terni per assistere il padre gravemente malato e ricoverato in ospedale per un intervento chirurgico. A sostegno dell’impugnativa del provvedimento emanato dall’autorità di pubblica sicurezza, il ricorrente deduceva, tra gli altri, un difetto di istruttoria in quanto l’Amministrazione non avrebbe valutato le esigenze di assistenza al padre e di tutela dell’unità familiare, quale diritto fondamentale della persona garantito dall’art. 29 Cost.
Ebbene, proprio sulla scorta di tale ultimo assunto è stato censurato l’operato dell’Autorità di polizia. Difatti, il gravato foglio di via obbligatorio, pur dando effettivamente atto dei numerosi precedenti di polizia a carico del ricorrente (tra cui quelli concernenti la violazione della normativa in materia di stupefacenti, nonché dell’assenza di interessi lavorativi o di studio presso il Comune di Terni) è stato ritenuto viziato da eccesso di potere per difetto di istruttoria unitamente alla violazione dell’art. 8 della Convenzione E.D.U.
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L'art. 8 C.E.D.U., ricordano i giudici, salvaguarda l'unità familiare, intesa quale vincolo tra genitori e figli o tra parenti legati da consanguineità e convivenza effettiva. Pertanto, come ogni diritto fondamentale non è soggetto a restrizioni salvo che le stesse siano previste dalla legge e soltanto per fini legittimi (assicurare la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale o la protezione dei diritti e delle libertà altrui) nei limiti di quanto strettamente necessario per perseguirli.
In particolare, fermo restando il necessario giudizio di pericolosità per la sicurezza pubblica (unitamente all’integrazione, come visto, degli ulteriori presupposti legislativi) l’Autorità avrebbe, in aggiunta, l’onere di valutare anche la situazione familiare del destinatario della misura, pena l’eventuale illegittimità del provvedimento adottato nel caso in cui si traduca nella lesione del diritto fondamentale all’unità familiare dello stesso (sancito dall’art. 29 Cost.).
Tale diritto, tuttavia, nel nostro ordinamento non deve intendersi in senso assoluto, pertanto, spetterà all’Autorità questorile provvedere a bilanciare motivatamente il diritto alla vita familiare con il bene giuridico della pubblica sicurezza e con l'esigenza di prevenire minacce all'ordine pubblico.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Taranto era investito di una richiesta del pubblico ministero di emettere decreto penale di condanna a carico di una persona accusata di avere commesso il reato di cui all’art. 76, comma 3, cod. antimafia, per avere questi fatto ripetutamente ritorno nel territorio del Comune di Taranto, in violazione delle prescrizioni impostegli con un foglio di via adottato dal Questore nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 2 cod. antimafia.
Ebbene, siffatto organo giudicante, pur dando atto della legittimità di tale provvedimento, la cui motivazione appariva essere, a suo avviso «congrua, soprattutto alla luce dei numerosi precedenti giudiziari e di polizia ascrivibili [all’imputato]», ne faceva conseguire da ciò come la richiesta di decreto penale di condanna avrebbe dovuto essere accolta, tuttavia, dubitava della legittimità costituzionale dell’art. 2 cod. antimafia (nei termini che vedremo da qui a breve), osservando che - in caso di declaratoria di illegittimità costituzionale di tale disposizione - il foglio di via adottato nei confronti dell’imputato nel processo a quo avrebbe dovuto essere disapplicato il che avrebbe comportato, come logico corollario, la necessità di assolverlo ai sensi degli artt. 129 e 459, comma 3, del codice di procedura penale; con conseguente rilevanza delle questioni prospettate.
Il Tribunale di Taranto, in relazione alla vicenda giudiziaria appena menzionata, a proposito della non manifesta infondatezza delle questioni (che verranno illustrate da qui a poco) - una volta premesso che il foglio di via costituisce misura di prevenzione adottata dall’autorità amministrativa, che nel caso concreto avrebbe comportato «una restrizione della libertà di locomozione […] quantomai significativa», nonché foriera di «pesanti ed incisivi effetti stigmatizzanti sulla persona dell’imputato», tenuto conto altresì del fatto che, da un lato, a quest’ultimo - versante in «condizioni socio-economiche quantomai disagiate», ed esercitante abitualmente l’attività di parcheggiatore abusivo - sarebbe infatti stato inibito di permanere presso l’intero Comune di Taranto, che costituirebbe il «centro urbano industrialmente e commercialmente più sviluppato tra quelli siti nelle vicinanze» del suo «piccolissimo» comune di residenza, dall’altro, l’incidenza della misura sulla libertà morale e pari dignità sociale dell’imputato dovrebbe inferirsi dai presupposti della misura medesima, e cioè dalla ritenuta pericolosità sociale dell’interessato, posta in correlazione con il suo stato di consumatore abituale di sostanze stupefacenti: presupposti, entrambi, «altamente stigmatizzanti» sotto il profilo giuridico e morale - osservava come tali circostanze inducevano a domandarsi se una misura siffatta incida esclusivamente sulla libertà di circolazione dell’individuo riconosciuta dall’art. 16 Cost., ovvero costituisca una misura limitativa della libertà personale, in quanto tale soggetta alle garanzie di cui all’art. 13 Cost. - segnatamente, alla necessità che la sua restrizione sia disposta con atto motivato dell’autorità giudiziaria, ovvero sia da quest’ultima convalidata entro precisi termini, ove la misura sia disposta dall’autorità di pubblica sicurezza.
Premesso ciò, nel trattare tale quesito, il giudice a quo ripercorreva anzitutto - sulla scorta della ricapitolazione fornita dalla sentenza n. 127 del 2022 - la giurisprudenza della Consulta sulla distinzione tra le due libertà, osservando come siano state ricondotte alla sfera di tutela dell’art. 13 Cost. non soltanto le misure che implichino coercizioni fisiche, ma anche quelle «che comportino la compromissione della libertà morale degli individui, imponendo loro “una sorta di degradazione giuridica”», ancorché la loro esecuzione «non sia mediata dall’impiego di forza fisica da parte dello Stato», come - in particolare - la misura di prevenzione dell’ammonizione, antesignana dell’attuale sorveglianza speciale di pubblica sicurezza (è citata la sentenza n. 11 del 1956) dato che le sentenze n. 2 del 1956 e n. 45 del 1960 hanno escluso che il foglio di via obbligatorio costituisca misura incidente sulla libertà personale, non essendo tale misura suscettibile di esecuzione coattiva e non comportando alcuna forma di degradazione giuridica dell’interessato.
Ad ogni modo, si riteneva come questi due precedenti meritassero di essere superati alla luce degli sviluppi successivi della giurisprudenza costituzionale e ciò, in particolare, in ragione della natura e dei presupposti della misura in questione, la quale presupporrebbe un «giudizio sulla personalità morale» del destinatario, che deve essere riconducibile a una delle categorie di persone indicate nell’art. 1 cod. antimafia dal momento che la misura in questione, come osservato dal Consiglio di Stato (sezione terza, sentenza 22 aprile 2022, n. 3108), sarebbe in effetti, già «sul piano della sua tipizzazione normativa, fortemente caratterizzata in termini penalistici», senza tra l’altro ignorare il fatto che essa inciderebbe sulla pari dignità dell’individuo, precludendogli di fatto l’esercizio dei suoi diritti civili, sociali e politici; comprometterebbe la sua libertà morale, potendo altresì incidere sulla sua vita familiare e privata; e comporterebbe comunque una sua significativa degradazione giuridica, separandolo «dal resto della collettività per il tramite dell’irrogazione nei suoi confronti di un trattamento innegabilmente deteriore», come emergerebbe dal divieto, stabilito a suo carico, di rendere l’ufficio di testimone, di interprete ovvero di perito o consulente in giudizio.
Il contenuto della misura - comportante al tempo stesso un facere (il ritorno nel comune di residenza) e un non facere (l’obbligo di non fare rientro nel territorio di un determinato comune) - sarebbe, inoltre, sempre ad avviso di codesto organo giudicante, sostanzialmente sovrapponibile alla misura di sicurezza del divieto di soggiorno di cui all’art. 233 del codice penale, nonché alla misura cautelare del divieto di dimora prevista dall’art. 283 cod. proc. pen. - misure entrambe affidate alla competenza del giudice, le quali si sostanzierebbero, esse pure, nel divieto di recarsi e dimorare in una data porzione del territorio dello Stato.
Comune sarebbe, per di più, il presupposto dell’applicazione di tali misure, rappresentato dalla pericolosità sociale del loro destinatario.
Oltre a ciò, era altresì fatto presente che il foglio di via obbligatorio sortirebbe effetti incapacitanti in larga parte sovrapponibili a quelli della misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, pure affidata alla competenza del Tribunale, «allorquando essa non è caratterizzata da prescrizioni particolarmente stringenti - ad esempio, dall’obbligo di soggiorno in un determinato Comune - e, al contempo, è accompagnata dal divieto di soggiorno in un Comune», tanto più se si considera che la violazione di entrambe le misure costituirebbe, d’altronde, reato ai sensi, rispettivamente, degli artt. 76, comma 3, e 75, comma 2, cod. antimafia.
Orbene, da tali premesse, per il giudice rimettente, deriverebbe la contrarietà dell’attuale disciplina della misura all’art. 13 Cost., dal momento che essa «dovrebbe essere disposta dall’Autorità giudiziaria e non dall’Autorità di pubblica sicurezza»; nonché all’art. 3 Cost., risultando «irragionevole che una misura comportante un assoggettamento della persona all’altrui potere quale il foglio di via obbligatorio sia disposta [dall]’Autorità di pubblica sicurezza sebbene misure comportanti un analogo assoggettamento siano disposte dall’Autorità giudiziaria».
Ciò posto, il giudice a quo rammentava infine la sentenza n. 2 del 2023, con la quale la Corte costituzionale ha ritenuto contrario all’art. 15 Cost. il potere del questore di vietare il possesso o l’uso di telefoni cellulari al destinatario della misura dell’avviso orale.
Orbene, ad avviso del Tribunale di Taranto, i principi sottesi a tale pronuncia condurrebbero, nel caso ora all’esame, alla conclusione che, ove si ritenga che il foglio di via sia una misura limitativa della libertà personale ai sensi dell’art. 13 Cost., essa non possa essere adottata in prima battuta dall’autorità amministrativa, così confinandosi il controllo giurisdizionale a una mera eventualità successiva, rimessa all’iniziativa della persona interessata.
Chiarito ciò, quanto al petitum, le questioni prospettate sarebbero, secondo il rimettente, assimilabili a quella su cui la Consulta si era pronunciata con la sentenza n. 11 del 1956, in cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’intera disciplina dell’ammonizione e, dunque, analogamente, occorrerebbe parimenti dichiarare l’illegittimità costituzionale tout court dell’art. 2 cod. antimafia.
In via subordinata, il giudice a quo auspicava, per di più, una declaratoria di illegittimità costituzionale di tale disposizione, per contrasto con il solo art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che anche al foglio di via si applichi la disciplina sulla convalida del cosiddetto “DASPO sportivo” di cui all’art. 6, commi 2-bis, 3 e 4, della legge n. 401 del 1989, cui rinviava l’art. 10, comma 4, del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città), convertito, con modificazioni, nella legge 18 aprile 2017, n. 48, nel testo vigente all’epoca del deposito dell’ordinanza di rimessione.
Secondo il rimettente, invero, se il foglio di via sarebbe misura strutturalmente analoga al “DASPO urbano”, ed anzi più gravosa rispetto ad esso, tuttavia - quanto meno nelle ipotesi previste dall’art. 10, comma 3, del d.l. n. 14 del 2017, caratterizzate tra l’altro dalla durata ultrannuale delle prescrizioni - il “DASPO urbano” prevedeva una convalida da parte del GIP.
Dal che la sussistenza, a parere del rimettente, di una irragionevole disparità di trattamento tra le due misure, cui potrebbe essere posto rimedio, da parte del Giudice delle leggi, attraverso l’estensione al foglio di via del procedimento di convalida già previsto per il “DASPO urbano” di cui al menzionato art. 10, comma 3, del d.l. n. 14 del 2017, procedimento che costituirebbe soluzione costituzionalmente adeguata per ovviare al vulnus denunciato.
In «estremo subordine», il rimettente riteneva infine costituzionalmente illegittimo, al metro - ancora - del solo art. 3 Cost., che il procedimento di convalida già previsto per il “DASPO urbano” non sia esteso anche al foglio di via in tutte le ipotesi in cui quest’ultimo abbia durata (almeno) annuale.
In conclusione, il giudice a quo osservava che, secondo quanto emergerebbe dalla prassi, il foglio di via sarebbe spesso disposto in relazione a condotte rispetto alle quali non potrebbe legittimarsi la «rilevantissima degradazione giuridica» e il «pesante stigma morale» conseguenti all’applicazione della misura: emblematico, in tal senso, l’uso del foglio di via con riferimento all’attività di prostituzione, attestato dalla giurisprudenza di legittimità (citandosi a tal proposito: Corte di Cassazione, Sezione prima penale, sentenza 20 febbraio-26 aprile 2019, n. 17616).
In altre ipotesi, la misura in questione potrebbe «sortire un apprezzabile chilling effect in relazione all’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti come, ad esempio, il diritto di sciopero», come emergerebbe da prassi già stigmatizzate dalla giurisprudenza amministrativa (citandosi all’uopo: Consiglio di Stato, sezione terza, sentenze 6 novembre 2019, n. 7575 e n. 3108 del 2022; Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna, sezione prima, sentenza 15 gennaio 2020, n. 21).
Ebbene, per il giudice tarantino, tutto ciò renderebbe ancora più evidente l’importanza di estendere al foglio di via l’applicazione dello stringente apparato di garanzie previsto dall’art. 13 Cost.
La Consulta, dopo avere affrontato questioni di ordine preliminari (reputandole inammissibili), entrando nel merito di quanto prospettato dal Tribunale di Taranto, iniziava prima di tutto a trattare quella concernente la compatibilità della disposizione censurata con l’art. 13 Cost..
In particolare, dopo essere fatto presente come il giudice rimettente avesse sollecitato la Corte costituzionale stessa a superare la propria giurisprudenza con la quale, a partire dalla sentenza n. 2 del 1956, si è sempre escluso che la misura all’esame - rimasta nei suoi tratti essenziali inalterata in tutti i quasi settant’anni da allora trascorsi - sia riconducibile all’art. 13 Cost. (nello stesso senso, sentenze n. 210 del 1995, n. 419 del 1994, n. 68 del 1964, n. 45 del 1960, nonché ordinanza n. 384 del 1987), il Giudice delle leggi riteneva, tuttavia, di non doversi discostare da questa giurisprudenza, per le seguenti ragioni.
Si evidenziava prima di tutto come le questioni all’esame riproponessero il problema dell’individuazione della linea di confine tra libertà personale, tutelata dall’art. 13 Cost., e libertà di circolazione, tutelata dall’art. 16 Cost., già oggetto di estesa analisi nella sentenza 127 del 2022 (punti 4, 5 e 5.1. del Considerato in diritto).
Premesso ciò, si notava come entrambe le disposizioni costituzionali tutelino il diritto della persona di muoversi liberamente nello spazio, ed entrambe stabiliscono una riserva di legge a tutela di tale libertà fermo restando però che, allorché sia in gioco la libertà personale (e non la mera libertà di circolazione), l’art. 13 stabilisce - altresì - una riserva di giurisdizione: ogni misura che incide su tale libertà deve essere disposta dall’autorità giudiziaria, ovvero - nei casi di necessità e urgenza indicati tassativamente dalla legge - dall’autorità di pubblica sicurezza, salva la necessità della convalida da parte dell’autorità giudiziaria entro le successive novantasei ore, evidenziandosi a tal proposito che la giurisprudenza costituzionale è solita individuare le misure che incidono sulla libertà personale, chiamando così in causa le più esigenti garanzie di cui all’art. 13 Cost., sulla base di due criteri alternativi: (a) l’idoneità della misura a produrre una “coazione sul corpo” della persona; ovvero (b) la presenza di obblighi che, pur non comportando alcuna coazione sul corpo, (i) determinino una “degradazione giuridica” del destinatario, e (ii) siano di tale intensità da poter essere equiparati a un vero e proprio assoggettamento della persona all’altrui potere.
Ciò posto, per la Corte di legittimità, e’, anzitutto, pacifico che incida sulla libertà personale ogni misura che comporti una coazione fisica della persona, salvo che la restrizione della libertà di disporre del proprio corpo che ne consegue abbia carattere momentaneo e del tutto trascurabile.
Una tale nozione, dunque, per la Consulta, copre anzitutto le misure che determinino la... della carta di soggiorno (permesso permanente).
Ricorso che blocchi lespulsione. Entro 30 giorni si può ricorrere (anche personalmente) al T.A.R. (Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio) o (anche personalmente) al T.A.R. Essere sospettato dalla polizia di vivere con soldi illegali (art. (art. Dopo ununica udienza in cui limmigrato può essere sentito. Può essere scritto dallimmigrato. Prima di aver ricevuto la risposta del giudice. Entro 30 giorni si può ricorrere (anche personalmente) al T.A.R. Italiana o il consolato dal paese dorigine. A titolo di misura di sicurezza (art. Ha avuto un processo penale, per qualsiasi reato previsto dallart. Socialmente pericoloso. Momento, ma ludienza deve essere chiesta prima). Il detenuto è uscito dal carcere da mesi o da anni. A titolo di sanzione alternativa alla detenzione (art. Non è ancora definitiva. Trattenimento nelle successive 48 ore. Utile perché ha dei documenti che lo riguardano. Difesa. Lo straniero sullaereo prima che arrivi la risposta del giudice. Tutti e due i differenti ricorsi. Divieto di ritornare in Italia vale per 5 anni. Visto). Grave e urgente. Accompagnata dalla documentazione sul processo (art. Non può "quasi mai" essere espulso (art. Stranieri che ha sede a Roma. Non può "mai" essere espulso (art.
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