I Veri Viaggiatori Partono per Partire: Alla Ricerca del Significato
È una delle cose che ci affascinano di più, il viaggio. Già dal titolo, veniamo proiettati in un universo caratterizzato da emozioni positive: il viaggio è, nella maggior parte dei casi o almeno nelle aspettative, un’esperienza bella, desiderabile e desiderata, un momento in cui ci si allontana dalla noiosa quotidianità per immergersi in una vita nuova, più rilassata, o semplicemente diversa.
Nella sua importante raccolta poetica, “Les Fleurs du mal”, Baudelaire dedica larga parte dei suoi versi al topos del viaggio, e il componimento che chiude la celebre raccolta è proprio incentrata su questo tema. Articolata in ben 8 parti di lunghezza diseguale, questa poesia è la quintessenza del senso ultimo della raccolta baudelairiana.
In effetti, l’immagine del ragazzo assetato di avventura che colleziona “mappe e stampe”, ci infonde ancora di più l’idea che questo sia un componimento tradizionale, incentrato sul viaggio in quanto tale. È andando avanti che ci accorgiamo di quanto i versi siano profondi e intendano parlare di un viaggio di ben altra entità. Ed infatti, al ragazzo dall’“appetito smisurato”, alle “mappe”, alle “stampe”, ai desideri dei viaggiatori che “hanno la forma delle nuvole”, si sostituisce un lessico molto più intimo, con termini quali “anima”, “destino”, “speranza”.
E quello che prima ci era sembrato un evento felice come il viaggio, si trasforma in qualcosa di negativo, in un diversivo, in un modo per sfuggire al destino. Fra dialoghi, meditazioni, rivelazioni, il componimento ci regala un’altissima espressione della poesia di Baudelaire, e ci mostra il senso della raccolta stessa, che è anzitutto un viaggio poetico. Noi cerchiamo di sfuggire alla noia - lo spleen - e al tempo che passa utilizzando diversivi come il viaggio, senza sapere che anche la morte è un viaggio, quello supremo. Non possiamo sconfiggere il tempo e lo spleen, nostri nemici supremi.
Charles Baudelaire sognò il paradiso abitando a suo agio nell’inferno. Nacque il 9 aprile di duecento anni fa ma non è morto. È il più imperdonabile tra gli imperdonabili, ma non fu solo l’autore luciferino de I fiori del Male. Il suo capolavoro, dedicato a Satana Trismegisto, in cui professa di adorare Belzebù e di esserne posseduto, è piuttosto il documento poetico della malattia di vivere e del sole nero che ispira il suo spleen.
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Baudelaire fu il poeta dell’Altrove, pur essendo la sua figura sempre associata a un luogo preciso, Parigi. Ebbe “orrore del domicilio”, non solo in poesia; cambiò casa trenta volte in ventiquattro anni, a parte le camere d’albergo. Tra i Fleurs più belli c’è proprio Invito al viaggio (che si fece canzone con Franco Battiato e Manlio Sgalambro) in quel paese che ti somiglia tanto, dove tutto è calma, bellezza e voluttà.
Per lui “i veri viaggiatori partono per partire”; hanno cuori leggeri e i loro desideri hanno forma di nuvole. In un poemetto in prosa canta la nostalgia per il paese ignoto, dove andare a vivere e morire. Baudelaire fu poeta dionisiaco dell’ebbrezza. “Ubriacarsi di vino, di poesia, di virtù” (e di hashish) per non sentire scorrere il tempo. Nella dedica ai Paradisi artificiali esordisce: “il buon senso ci avverte che le cose terrestri esistono ben poco, la vera realtà è solo nei sogni”.
Arthur Rimbaud seppe trasformare la parola in alchimia. La sua stessa vita fu specchio riflesso delle sue parole. Animo irrequieto e vagabondo, Rimbaud visse secondo le sue regole: scrisse la maggior parte delle sue poesie tra i sedici a i diciannove anni, in seguito decise di abbandonare la letteratura per dedicarsi ai viaggi in giro per il mondo. Si stabilì a lungo in Africa, lavorando come commerciante di pellami e spezie. Morì a soli 37 anni a causa di un tumore ormai in stato avanzato che gli aveva causato l’amputazione della gamba destra.
L’essenza di Arthur Rimbaud ora è tutta racchiusa nelle sue poesie. Lui era un petit bateau ivre, un piccolo battello ebbro, come recita il testo del suo poema più famoso Le bateau ivre, scritto nel 1871. Insofferente di tutto, sempre furibondo, Rimbaud era come un “piccolo battello ubriaco” che si opponeva alle norme sociali, alla soffocante vita di provincia, a ogni forma di normalizzazione, deciso a fondare una nuova civiltà.
Per accostarci all’opera di Rimbaud dobbiamo innanzitutto comprendere a fondo una sua celebre affermazione Je est un autre: l’io è un altro. Il poeta scrisse questa frase in una lettera indirizzata al suo principale corrispondente, Paul Demeny, il 15 maggio 1871. Cosa significa? È necessario ricondurre le sue parole allo sdoppiamento che avviene attraverso l’attività poetica: non esisto se non nell’elevazione di me stesso. Rimbaud è uomo e Dio; poeta e musa ispiratrice. Il suo “altro” è il suo genio, che lo innalza a una natura superiore per intelligenza e sensibilità.
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Il battello ebbro di Arthur Rimbaud deve essere concepito come la coscienza allargata del poeta. Il bateau è dunque Rimbaud stesso, potente metafora della sua condizione umana. La lirica ci guida attraverso un viaggio seguendo i movimenti scostanti e insoluti del battello ubriaco. L’imbarcazione è infatti priva di equipaggio, come a rimarcare l’orrore assoluto che Rimbaud nutriva nei confronti di qualsiasi forma di autorità. La corrente in cui il battello-uomo si lascia trasportare è una dimensione fatta di sensazioni, visioni ed esperienze.
Nel suo viaggio onirico e allucinatorio Rimbaud trasporta noi lettori in un itinerario che non conosce coordinate spaziali ma solo diacroniche: dall’infanzia all’adolescenza sino all’età adulta. L’esperienza poetica trascende la realtà per condurre in un tempo ignoto e imprevedibile dove non vige nessuna legge, attraverso questo percorso si compie la purificazione dell’animo. La poesia assume quasi le funzioni di un rito religioso. Il viaggio del battello ebbro, non a caso, termina con un naufragio liberatore.
Le bateau ivre è una poesia che sembra essere composta della stessa sostanza dell’acqua e attira il lettore in un gorgo irresistibile: il moto costante del mare si fonde con la visione, riproducendo così una realtà altra che appare come parallela alla vita reale. E proprio in questa seconda lettura possiamo ritrovare anche la metafora più efficace dell’espressione poetica. Il battello ebbro di Rimbaud è un’ode alla libertà dell’essere umano e, in sottotraccia, anche una celebrazione della forza della parola poetica.
Il giovanissimo poeta scrisse il testo Le bateau ivre in risposta a un altro grande poema molto celebre in quegli anni in Francia, Le voyage di Charles Baudelaire. Il poeta diciassettenne nella sua immaginazione trasfigurò il grande veliero in un battello, facendone il petit bateau ivre che simboleggiava la sua acerba giovinezza. Nella sua opera Charles Baudelaire teorizzava la distinzione tra arte e realtà; Arthur Rimbaud invece gli dimostrò che potevano essere un tutt’uno, fondersi in un unico viaggio dalla destinazione ignota.
I veri viaggiatori partono per partire e hanno cuori leggeri simili a palloni che solo il caso muove eternamente, dicono sempre “Andiamo”; così scriveva Charles Baudelaire ne Il viaggio. Forse il poeta de I fiori del male ignorava che c’era un cuore leggero pronto a sollevarsi al suono delle sue parole, un giovane ragazzo che avrebbe risposto all’invito come ad un richiamo, facendo dell’arte una regola di vita, tramutando la poesia in realtà: sono un piccolo battello ubriaco. Era un’anima persa nella corrente di un fiume che attendeva di volgere verso il mare.
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Ma i veri viaggiatori partono per partire e basta: cuori lievi, simili a palloncini che solo il caso muove eternamente, dicono sempre "Andiamo", e non sanno perché. I loro desideri hanno le forme delle nuvole.
Simbolicamente ciascuno inizia, nascendo, il viaggio della vita: da un certo luogo e in una certa epoca s'inoltra (senza vie già tracciate, senza aderire alla routine, alla piccola route) verso l'ignoto che lo aspetta. Va incontro alle cose future: ad ventura. è quindi, letteralmente, un avventuriero, giacché abbandona la sicurezza iniziale e si sottopone alle prove e alle peripezie di un avvenire improgrammabile. Il viaggio imita perciò la vita, di cui contiene tutti i fattori: abbandono del noto, accettazione del rischio, incertezza, ma anche piacere e promesse di felicità.
Il viaggiatore può giungere a un porto sicuro e ritornare sano e salvo a casa. Oppure può decidere di viaggiare per viaggiare, di rinunciare a qualsiasi fissa dimora. Una delle espressioni più alte della modernità è appunto rappresentata dall'abbandono d'ogni luogo noto e sicuro per intraprendere un viaggio senza fine, dal trasformare in opportunità il volontario perdersi di chi non ha "terra ferma". La maledizione che colpiva figure mitiche senza patria e in perpetuo movimento - come l'Ebreo Errante o l'Olandese Volante - diventa una sfida avvincente.
Tale errare senza fine e senza scopo appare invece pieno di fascino a Baudelaire, che, nella poesia Il viaggio, afferma: «Ma i veri viaggiatori partono per partire; / cuori leggeri, s'allontanano / come palloni, / al loro destino mai cercano di sfuggire, /e, senza sapere perché, sempre dicono: Andiamo!». E dove anela l'anima, «questo veliero che cerca la sua Icaria»? «Non importa dove! Non importa dove! Purché sia fuori da questo mondo!» Il rifiuto della nostalgia incrementa il desiderio di lontananza, l'andare «al fondo dell'ignoto / per trovare il nuovo» quale surrogato dell'impossibile fuga dal mondo.
Questo viaggiatore, descritto da Kafka nel racconto Richard e Samuel, rivela i fugaci pensieri che scorrono nella mente durante un viaggio, le immagini rubate di persone e luoghi che quasi sicuramente non rivedremo mai più, la malinconia che scaturisce dallo sfiorare per un solo istante altre vite indipendenti dalla nostra. In compenso il viaggio ci spoglia dalle abitudini; ci restituisce lo stupore; ci fa sentire capaci di rigenerazione; ci permette di assaporare la libertà in quanto assenza di obblighi e costrizioni abituali; ci spinge alle metamorfosi interiori; ci procura choc emotivi (speranze, attese) e cognitivi (spiazzandoci grazie al continuo confronto con idee, costumi e luoghi differenti).
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