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Il Viaggio Nella Testa: Alla Scoperta dell'Empatia e della Consapevolezza

Se c’è una cosa che si fa sempre più fatica a trovare ai nostri giorni, ma di cui si sente spesso parlare, questa è l’empatia. Empatia non significa solo sapersi mettere nei panni degli altri, ma significa soprattutto riuscire a sentire profondamente, dal profondo dell’anima, quello che sente l’altro. Empatia è “la capacità di sentire dentro di sé l’interno di ciò che sta fuori di sé” (R.Vischer).

Troppo occupati a guardare solo il proprio, e alla superficie, nell’epoca del narcisismo e dell’egocentrismo, dell’inneggiare all’accoglienza, mostrandosi intolleranti, fermarsi e fare attenzione al sentire dell’altro, è un evento sempre più eccezionale. Eppure è alla base della comprensione tra gli individui, della solidarietà, della relazione vera. Se posso sentire quello che sente l’altro, posso essere compassionevole con lui e posso essere in grado di essergli vicino e, se necessario, lenire il suo dolore, i suoi patimenti, o gioire con lui. Posso accoglierlo e accettarlo, con la disponibilità all’ascolto profondo e senza giudizio. Senza volergli per forza fornire consigli o soluzioni.

L'Importanza dell'Empatia

L'empatia ha a che fare con la delicatezza e il rispetto del sentire dell’altro. E quando una persona è empatica ha il potere di fare sentire l’altro meno solo e di sentirsi lui stesso meno solo. Una dote terapeutica, che accomuna. Per essere empatico, non devo essere troppo corazzato per difendermi, altrimenti non entra nulla in me e tutto rimbalza.

Chi ha i confini fragili, suo malgrado, ha difficoltà a proteggersi e, tendenzialmente, proprio per questo è più empatico. Può lasciare entrare quello che l’altro trasmette. Ma se è troppo permeabile, tende ad avere difficoltà a distinguere il sentire dell’altro dal suo, a confondere le due cose. E allora potrebbe venire troppo coinvolto dalle vicissitudine ed emozioni dell’altro, non riuscire a discriminare, e quindi non riuscire ad essere di supporto. Per poter essere empatici quindi, occorre avere l’apertura per fare entrare l’emozione dell’altro e farsene contagiare, senza restarne sopraffatti, avendo i giusti confini per proteggersi.

Chi si è chiuso al sentire per non soffrire, si difende, sapendo che probabilmente non potrebbe sostenere una nuova ferita o il riaprirsi di una vecchia. Alcuni hanno invece proprio il bisogno di confondersi con l’altro, e/o di invaderlo, per vivere una vita che non hanno o non sono in grado di costruirsi. Queste persone avrebbero ancor più bisogno di comprensione ed empatia. Ma non sempre riescono ad avere l’umiltà di ammetterlo o anche solo di guardare questa fragilità e mettersi in discussione. Piuttosto, fanno di tutto per farsi odiare o biasimare, creare conflitti e allontanare le persone.

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Perché Essere Empatici?

Ma a cosa serve essere empatici? Per vivere l’incontro vero con l’altro. Perché non sia solo l’incontro di due solitudini, per colmare un bisogno, ma possa crearsi un rapporto vero, autentico e soddisfacente. O più semplicemente, per restare umani. Perché stare attenti al sentire dell’altro, è sempre una bella cosa. Accedere alle cose, al flusso vitale e esperienziale delle altre persone, è ciò che chiamiamo empatia. (Maurizio Stupiggia) Questo è uno dei maggiori sostegni dell’esistenza umana: trovare risonanza emotiva in altri uomini ai quali si è affezionati e la cui presenza suscita un caldo sentimento di appartenenza.

Questa reciproca conferma mediante i sentimenti, la risonanza emotiva tra due o più persone, ha un ruolo centrale nel conferire un significato e un senso di appagamento all’esistenza. (Norbert Elias) La più alta espressione dell’empatia risiede nell’accettare e non giudicare. (Carls Rogers) Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile. Sempre. (Platone) Tutto quello che volevo era raggiungere e toccare un altro essere umano, non solo con le mie mani, ma con il mio cuore. (Tahereh Mafi) Vedere con gli occhi di un altro, ascoltare con le orecchie di un altro, e sentire con il cuore di un altro. (Alfred Adler)

Il Viaggio Interiore come Trasformazione

Mi sono fatta diverse volte questa domanda. Si nasce viaggiatori o lo si diventa nel corso della propria vita? Io credo che viaggiatori si diventi. E soprattutto che si impari ad esserlo. Viaggiare non significa salire su un aereo e raggiungere destinazioni lontane. Viaggiare, viaggiare veramente, significa mettere in un angolo le proprie certezze ed aprire gli occhi su quello che ci circonda. E imparare a guardare. Spesso si fa l’errore di pensare che viaggiare significhi necessariamente raggiungere l’altro capo del mondo ma non è così, si può essere viaggiatori anche nella propria città o nel proprio paese.

La prima scintilla però, quella che ha cambiato per sempre il mio concetto di viaggio, è scoccata a Bali. Questo paese meraviglioso mi ha fatto definitivamente aprire gli occhi. Immersa in tutta la sua bellezza ho scoperto una cultura millenaria ed una spiritualità capaci di rasserenare anche l’animo più inquieto. Un’esplosione di colori, sapori e profumi che mi hanno fatto girare la testa e innamorare irrimediabilmente di quella terra.

La quotidiana solennità dei balinesi, unita alla loro gentilezza e ai loro splendidi sorrisi mi hanno fatto capire quanto fossi stata miope fino a quel momento e quanta meraviglia ci sia nel mondo, basta solo aprire gli occhi e guardare. Qui per la prima volta non mi sono sentita ospite, ma parte del mondo che stavo esplorando. Da lì è iniziato tutto. La voglia di scoperta, la curiosità verso ciò che non conosco ed il bisogno di comprendere e di imparare, il desiderio di condivisione, la necessità di rivedere l’idea di radici.

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Un’altra lezione importantissima che ho imparato a Bali è che viaggiare ti cambia nel profondo. Ogni viaggio lascia su di te splendide cicatrici che non se ne andranno mai. Un viaggio non ti scivola mai addosso. Un viaggio vero lo senti sotto alla pelle e ti entra nell’anima. Un viaggio ti cambia la testa e modella i tuoi pensieri e il tuo sentire. Chi viaggia accetta questo continuo cambiamento e non gli oppone resistenza, anzi, lo cerca costantemente. Perché ogni esperienza vissuta arricchisce. È questo che contraddistingue un viaggiatore: la curiosità, l’inquietudine, la voglia di conoscere sempre luoghi e culture diverse, la fame di emozioni.

Ad un viaggiatore non basta mettere la bandierina sul mappamondo e fare gara a chi ha visitato un maggior numero di paesi. Un viaggiatore è colui che vuole conoscere un luogo ed i suoi abitanti, la sua cultura e la sua cucina, e che in questo si immerge completamente. È colui che vuole scoprire un mondo nuovo e di quel mondo fare parte.

"Come una Notte a Bali": Un Viaggio di Scoperta Interiore

Gianluca Gotto non è nuovo al mondo dell’editoria. Tuttavia, in Come una notte a Bali, Gianluca Gotto abbandona il formato autobiografico per avventurarsi nel romanzo, un genere che gli consente di esplorare nuovi territori creativi. Nel protagonista, Luca, sembra possibile riconoscere molti tratti di Gianluca Gotto stesso. O perlomeno quel che riusciamo a conoscere di lui attraverso i suoi scritti e il suo blog.

Questo senso di insoddisfazione - un tema centrale dell’opera - spinge Luca a interrogarsi profondamente su ciò che davvero desidera. All’inizio del romanzo, Luca vive una vita apparentemente stabile: un lavoro sicuro, una relazione affettuosa, amici con cui trascorrere il tempo libero. Luca si sente intrappolato, incapace di trovare un senso nelle giornate che scorrono tutte uguali. Il momento di svolta arriva quando si rende conto che le risposte che cerca non possono essere trovate negli altri, ma solo dentro di lui. Ed è tutt’altro che semplice.

Però è deciso a cambiare, vuole abbandonare il suo vecchio mondo e decide di partire per Bali con un biglietto di sola andata. Qui, in un luogo ricco di bellezza naturale e cultura autentica, vive un’esperienza immersiva con se stesso e il suo zaino. Qui, trova di tutto. Un arcobaleno di emozioni. Dalla paura alla gioia, alla sorpresa alla rabbia, allo sconforto. Trova principalmente ciò che cercava: libertà, consapevolezza e un nuovo modo di vedere il mondo. «Un vero viaggio inizia nella tua testa, quando lo immagini, lo sogni e lo desideri.

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A Bali, Luca incontra poi un personaggio che lo tocca intimamente. Emma è una giovane donna del Sud America che incarna lo spirito libero che lui stesso aspira a raggiungere. Il loro legame, profondo e immediato, turbolento perché nulla è così facile come si potrebbe sperare. Questo incontro però diventa una metafora della capacità di connessione autentica che si può trovare solo quando si è veramente in pace con se stessi. È un mondo che guadagna in autenticità, dove essere senza veli è l’unico modo per conoscersi. Stare senza filtri con se stessi e con gli altri diventa possibile, grazie all’esercizio continuo del non giudizio.

Bali non è solo l’ambientazione del romanzo, ma un vero e proprio personaggio. Questo libro, intriso di emozioni e riflessioni, può essere perfetto per chiunque si senta intrappolato in una vita che non sente davvero propria. Non è detto che serva cambiarla drasticamente. Siamo in balia della nostra testa e spesso non ce ne rendiamo conto.

La Scala dell'Inferenza: Come i Nostri Pensieri Modellano la Realtà

Oggi parliamo proprio di questo processo sviluppato da Chris Argyris che, tecnicamente, si chiama SCALA DELL’INFERENZA e che sta alla base di tutti i film mentali che ci facciamo e di molte delle scuse che creiamo per restare seduti sul nostro divano della zona di confort. La scala dell’inferenza descrive il processo logico che attraversiamo, di solito senza rendercene conto, per arrivare da una evidenza a una decisione ed a un’azione.

Per spiegare bene tutte le fasi, prendiamo ad esempio il “costrutto mentale” che mi sono costruito dopo l’operazione. Selezioniamo determinati dati o informazioni riguardo ciò che vediamo: a questo punto quindi creiamo la nostra REALTA’ SOGGETTIVA andando a selezionare pochi input interessanti. Del resto, sappiamo che il nostro cervello ha bisogno di ottimizzare l’energia. Elaboriamo supposizioni: come abbiamo detto più volte ormai, il nostro cervello è fatto per dare spiegazioni e risposte. E per farlo dobbiamo crearci un ventaglio di opzioni da cui scegliere. Traiamo conclusioni sulla base delle nostre supposizioni: dopo aver passato tutte le opzioni si arriva al dunque creando la NOSTRA NUOVA REALTA’. Agiamo sulla base dell’idea di fondo: partendo dalle conclusioni quindi andiamo a cambiare il nostro modo di agire.

A questo punto si instaura una specie di ciclo dove, a fronte di azioni “autolimitate” si creano emozioni negative (quello che facciamo influenza quello che proviamo-che delusione, non riesco più a fare quello che facevo prima) e queste emozioni creano pensieri negativi (quello che proviamo influenza quello che pensiamo-ecco non tornerò più come una volta) che a loro volta provocano azioni ulteriormente limitate (quello che pensiamo influenza quello che facciamo-devo stare più attento per non farmi male di nuovo dato che non sono più come un tempo).

Osserviamo quello che ci circonda: osservare tutti i fatti con sguardo obiettivo senza aggiungere le proprie convinzioni. Selezioniamo determinati dati o informazioni riguardo ciò che vediamo: non scartare alcun dato. A volte tendiamo a eliminare determinate informazioni perché non rispecchiano il nostro specifico punto di vista sulle cose. Attribuiamo essi un significato. Elaboriamo supposizioni. Una volta attribuito un significato a qualcosa, ecco arrivare le nostre supposizioni. Traiamo conclusioni sulla base delle nostre supposizioni. Se siete giunti a una determinata conclusione, filtratela. Eliminate da essa le vostre convinzioni, le vostre emozioni, e analizzatela sotto la lente dell’obiettività. Agiamo sulla base dell’idea di fondo. Agite spinti dalle vostre emozioni oppure tenete conto delle informazioni obiettive a vostra disposizione? Agite sempre adattandovi alla realtà che percepite.

Riscoprire il Desiderio di Viaggiare

La voglia di viaggiare era ridotta a una vocina flebile nella testa, quasi silente, quasi inconsistente. In quei primi momenti, infatti, è stato facilissimo mettere da parte qualsiasi desiderio di evasione. A dominare era lo stupore, l’incredulità di fronte a fatti che neanche nella peggiore delle fantasie avrebbero potuto concretizzarsi. Io mi sentivo immobile, mi mancavano le parole e i pensieri scappavano via talmente veloci che non facevo in tempo a formularli. La pandemia, con il carico di restrizioni e clausura che si è portata dietro mi aveva quasi ridotta al silenzio.

La voglia di viaggiare che è tornata a fare capolino tra i miei pensieri è tra le cose belle che, in questa situazione di quarantena, mi fanno sentire viva. Sono anche curiosa, però, non posso negarlo. E mi chiedo quanto saremo bravi a dare un senso positivo a quello che è successo. A permeare le nostre vite di una ritrovata umanità, a trasformare la nostra libertà in azioni sostenibili. A immergerci in un contesto più vivibile.

La cosa strana, durante questa quarantena, è che continuo ad avvertire follemente la mancanza dei luoghi in cui sono già stata più della voglia di visitarne di nuovi. Il mio, adesso, è più un bisogno di tornare che di scoprire. In pole position ci sono tre dei paesi che conosco meglio, quelli che riescono sempre a farmi sentire a casa.

Lisbona è probabilmente la città straniera in cui vivrei e che condivide con Berlino una porzione più che generosa del mio cuore. Tuttavia, la voglia di viaggiare che sento in questo periodo mi porta a esplorare con la mente tutto ciò che del Portogallo ancora ignoro. Le coste paradisiache dell’Algarve, ad esempio, puntellate di paesini bianchi. O le atmosfere autentiche dell’Alentejo, tra strade poco battute e rotte inedite.

Probabilmente, quando ci saremo sbarazzati dalla quarantena e si potrà ricominciare a viaggiare, il primo volo che prenoterò sarà diretto a Berlino. Ho bisogno di respirare a pieni polmoni la sua atmosfera di città in cui tutto è possibile, mi mancano la sua arte e la sua creatività. E una marea di altre cose che è difficile riassumere nello spazio limitato di un blogpost. Vorrei tornare anche a Francoforte per scoprire com’è cambiata in questi anni ed esplorare tutto quello che mi sono persa nei dintorni.

Ho una voglia matta di tornare in Andalusia, nella provincia di Cadice che in passato ho solo sfiorato, e affondare nel suo tappeto di pueblos blancos. Vorrei passare in rassegna le gemme preziose di Burgos, Toledo, Saragozza. Ritornare nei Paesi Baschi (a proposito: prima o poi, vi racconterò di Bilbao). Percorrere la costa del nord in tutta la sua lunghezza e scendere in Galizia, alla scoperta delle cittadine più belle e dei panorami delle colline. Ma a pensarci bene, della Spagna mi prenderei anche tutto il resto.

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