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Alessandro Barbero: Un Viaggio Attraverso la Storia e il Successo Mediatico

Alessandro Barbero è un nome che risuona con forza nel panorama culturale italiano, un medievista che ha saputo conquistare un pubblico vastissimo. Ma cosa si cela dietro questo successo? Basta la passione per il Medioevo e una presenza attiva sui social media per spiegarlo? Cerchiamo di analizzare il fenomeno Barbero, esplorandone le diverse sfaccettature.

Un Talento Precoce e Poliedrico

Barbero è bravo. Bravo come storico del Medioevo, bravo come divulgatore. Diverte, intrattiene, incanta platee diversissime su e giù per la penisola: da Floris al Petruzzelli, da Sarzana al San Carlo, dal Salone di Torino al Leoncavallo. Barbero è un format (“In viaggio con Barbero”), Barbero è un podcast (“Chiedilo a Barbero”), Barbero è un canale YouTube (“La storia siamo noi”). Barbero è una diretta social con Dibba per lanciare “Scomode verità. Dalla guerra in Ucraina al massacro di Gaza”, Barbero è una rockstar medievista, tipo Jethro Tull, polistrumentista, eclettico, carismatico, l’occhietto spiritato, come Ian Anderson.

Il suo successo è innegabile, con file di persone che attendono ore per un firmacopie o che si dannano per trovare posto ai suoi eventi. Un po’ di tempo fa, persone davvero molto estranee a libri e festival culturali hanno cominciato a dire “ma tu che conosci questo e quello non è che puoi rimediare un biglietto per Barbero che è tutto esaurito”. Ed erano disposte a farsi parecchi chilometri, a pagarlo anche il doppio, a intrufolarsi magari di nascosto, qualsiasi cosa insomma pur di godersi Alessandro Barbero in “Cosa pensava la donna nel Medioevo: Caterina da Siena”. A Napoli, invece, orde di ragazzini in coda per sentire Barbero su Federico II, “tra storia e leggenda”. A quel punto non si poteva più restare indifferenti.

Il Ruolo dei Social Media e la Fascinazione per il Medioevo

Il "barberismo" è figlio dei social e d’una frettolosa smania di sapere modellata su podcast e tutorial. Qui Barbero si gioca anche una lunga militanza da “wargamer”, in gergo un “grognard”, cioè un veterano dei giochi di simulazione di strategia militare, con l’aria vagamente ossessivo-maniacale di chi da giovane è stato un piccolo Mozart del “Risiko!”. Questo dei social è un punto decisivo per due motivi. Poi perché a differenza di altri grandi divulgatori (Sgarbi, Daverio, Piero e Alberto Angela), Barbero non viene dalla tv. Barbero è una web-star.

La sua presenza online è caratterizzata da video registrati dai fan, spesso di bassa qualità, che restituiscono il fascino di una comunità per pochi adepti, ma che nel frattempo raggiungono milioni di visualizzazioni. Altra ipotesi: la fascinazione per il Medioevo, che acchiappa sempre. Perché podcast e tutorial li fanno tutti, ma il Medioevo solletica fantasie sfrenate, accende l’immaginazione, vira sempre un po’ sul fantasy, e da Carlo Magno a Tolkien e Atreju c’è, volendo, tutta un’immaginifica continuità. Miscelato nel modo giusto, il Medioevo si vende sempre bene, come aveva capito meglio di tutti Umberto Eco.

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Qui Barbero può contare su solidissime e poderose ricerche, ma anche su cose minori e svolazzanti, tipo “La voglia dei cazzi e altri fabliaux medievali”, raccolta di poemetti erotici curata da Barbero contro i soliti cliché sul medioevo buio e tetro, quando invece si trombava alla grande, come sa bene chi si è formato non su Le Goff e Braudel ma su “Quel gran pezzo dell’Ubalda”, “Metti lo diavolo tuo ne lo mio inferno”, “Le notti peccaminose di Pietro l’Aretino” o l’immortale “I Racconti di Viterbury”.

Questo eterno Medioevo italiano del palio, dei borghi, delle contrade, dei chiostri, dei monasteri, delle abbazie, il Medioevo di San Francesco e Frate Indovino, di Guido D’Arezzo e Brancaleone da Norcia, delle feste medievali, del carnevale medievale, delle rievocazioni in costume, dei prodotti trappisti e di armature, alabarde, balestre in vendita all’Autogrill, insomma tutto questo magma sorvegliato dal sommo Poeta è un altro punto a favore per Barbero. Medievista è del resto il suo fandom più idolatrante. Pagine, tributi, gruppi di ascolto, “Primo Vassallo”, “I vassalli di Barbero”, la community “Feudalesimo e Libertà”, il gruppo musicale BardoMagno, una specie di versione gothic-metal dei Modena City Ramblers, che raduna “sotto lo spirito del Sacro Romano Impero” il meglio dei talenti musicali italiani (brano di culto “Magister Barbero”: “scaglia la sua temibile spranga / contro chi la historia infanga / Barbero Barbero / illuminaci il sentiero”). Social più Medioevo suona bene.

Un Linguaggio Accessibile e Collegamenti con il Presente

Barbero spiega cose, eventi, personaggi, epoche, andando ormai a spasso nel tempo: la disfatta di Caporetto, la parabola delle Br, Plutarco, Lenin, il crack di Wall Street, Garibaldi, i vichinghi, Nilde Iotti, Matteotti, Cavour, il sacco di Roma, il 25 aprile. Un barberiano della prima ora (“quando ancora non lo conosceva nessuno”) dice che il segreto di Barbero è che parla un linguaggio accessibile a tutti, senza tecnicismi, “e poi fa continui collegamenti col presente”. Certo, Barbero qui sa essere davvero molto televisivo. In una conferenza a Milano parla di San Francesco come di “un uomo straordinario ma anche molto scomodo”. Discorrendo magari dei longobardi, se ne esce con cose come “e a un certo punto che si fa? Signori, siamo in Italia, si mette su una commissione d’inchiesta!”, e tutti giù a ridere. “Mai invadere la Russia” è un altro suo refrain che strappa sempre qualche sghignazzata al pubblico.

Il "Professore Comunista": Un Archetipo Rassicurante

In Barbero c’è il format italiano più vecchio e rassicurante di sempre, come una prima serata su Rai 1 con Carlo Conti: il professore di storia comunista. Un archetipo. Una maschera. Un personaggio fisso della nostra eterna commedia. Vedo Barbero e mi si apre così uno squarcio fantasy e distopico su come sarebbe stata una Leopolda marxista-medievista, radicata nella base del partito, con Gramsci al posto di Baricco, il cappotto di Togliatti invece dell’iPhone, la scrivania di Berlinguer sul palco, ma senza quei laptop messi in bella vista sopra, il mito della “sezione” e non del “garage”, l’attrazione ancora forte e struggente per la Grande Madre Russia al posto d’una Silicon Valley vista col binocolo da Firenze.

C’è in Barbero la fierezza di aver avuto la tessera del Pci “firmata da Berlinguer”. C’è la certezza di essere appartenuto alla “gente migliore del paese”, ma sfiorato dal dubbio di aver tifato per la parte sbagliata, e vabbè. Ma cos’è il comunismo per Barbero? Il trionfo del proletariato? L’abolizione della proprietà privata? Quel bisogno emotivo di credere in un’alternativa allo status quo, anche quando l’alternativa si è rivelata sempre, sistematicamente, di gran lunga peggiore dello status quo? Non si sa. Nel frattempo Barbero fa le dirette Anpi per separare il comunismo buono da quello cattivo, spiega che Stalin andando al potere si è “dimenticato di cosa vuol dire essere comunista” (che è la versione Barbero del refrain da bar “ma quello non era vero comunismo!”).

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Barbero con Angelo D’Orsi, Barbero a braccio sul “capitalismo dilagante” e a braccetto con Montanari sulle Foibe; Barbero che celebra il 25 aprile con Marco Rizzo, festa dell’antifascismo e dell’“anticapitalismo”, e Barbero fianco a fianco con Dibba che lo guarda sbattendo le ciglia mentre dice “nessuno storico ricorderà le vittime palestinesi perché non sono morti occidentali”, quando tanto per cominciare, a una settimana dal 7 ottobre, erano semmai spariti morti e ostaggi israeliani, ma questi son dettagli, lasciamo perdere.

In Viaggio con Barbero: Un Formato Televisivo in Evoluzione

Ogni volta che Alessandro Barbero torna in televisione, l’attesa è palpabile, non solo tra gli appassionati di storia ma anche tra chi, magari per la prima volta, si lascia trascinare dal suo modo unico di raccontare il passato. Lunedì 13 gennaio 2025, alle 21:15, La7 trasmetterà una nuova puntata del programma In viaggio con Barbero, intitolata Francesco, un Santo scomodo. In questo episodio, il professor Alessandro Barbero esplora la figura di San Francesco d’Assisi, presentando una narrazione che si discosta dall’immagine tradizionale del santo. Barbero ha analizzato le prime biografie di Francesco, da Tommaso da Celano alla Legenda Maior di San Bonaventura, evidenziando come la sua figura sia stata reinterpretata nel corso dei secoli, talvolta anche per fini politici, come nel caso dell’appropriazione da parte del regime fascista.

Le attese per il suo ‘debutto’ in un programma ‘finalmente’ proprio erano alte e quindi chi ama i suoi interventi tv, le sue ‘videolezioni’ social, le sue incursioni nell’attualità non avrà avuto difficoltà a sintonizzarsi su La7 nel primo lunedì della garanzia Autunnale per seguire il primo appuntamento di In viaggio con Barbero, ciclo di speciali a tema che comparirà nel palinsesto di rete a intervalli ‘irregolari’. In una serata che ha visto come novità di prime time da una parte il debutto de Il Grande Fratello e dall’altra questa primo incontro col prof. Barbero, il pubblico ha avuto modo di polarizzarsi. Ma anche i più aficionados hanno dovuto dar fondo a tutto l’amore e la stima per il ‘magister’ per seguire tutto il programma tv, che ha dedicato la sua prima puntata a Democrazia e Dittatura. Ed è proprio la forma televisiva ad essere apparso il principale problema di questo esperimento: il desiderio (evidentemente inteso come necessità) di dare una veste televisiva a un contenuto nato per altri media e altri contesti ha finito per trasfigurare il contenuto stesso.

A rendere difficile l’inizio di questo ‘viaggio’ è proprio la parte ‘mobile’ del format, ovvero i primi 20 minuti (sui 100′ del programma, al netto degli spot) che vedono Barbero avvicinarsi in auto al luogo dove si terrà il suo spettacolo teatrale. L’idea è quella di approfittare del transfer per conoscere meglio il professore, per parlare di lui e con lui di argomenti vari, non necessariamente inerenti all’argomento di puntata. Ne viene fuori una sorta di Milano - Roma (Rai 3 Edition, quella storica, da annuncio ‘live’ del Nobel a Fo, per intenderci) che però distrae fortemente dall’obiettivo primario, ovvero ascoltare i viaggi narrativi di Barbero. Il suo trasferimento fisico diventa ridondante, anche noioso. E non bastano le (pur belle) riprese dei luoghi che il professore e i suoi accompagnatori attraversano in questa sorta di divulgazione on the road: il content è altro e questa lunga intro non aggiunge valore. Diventa una sorta di ‘test’ di motivazione all’ascolto: se si supera questa prima parte il resto è in discesa. O quasi.

Certo, non è facile prendere un contenuto killer che funziona in purezza, e soprattutto on demand, e che ha il suo punto di forza nella sostanza e nella brevità, e portarlo in tv. Bisogna rispondere alle necessità del mezzo e confezionare un abito su misura su contenuti strutturati, e di successo, è complicato. Già la durata di un prime time mette solitamente in difficoltà anche le idee e i personaggi più rodati; se poi si cerca una nuova veste anche al contenuto la missione rischia di diventare impossibile. Barbero è e resta il ‘content king’ del genere, per cui la sostanza c’è.

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