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La Vita è un Viaggio: Esplorando il Significato Profondo

“La vita è un viaggio” quante volte abbiamo sentito queste parole? Sembrerà una frase un po’ idiomatica, un banale modo di dire, eppure possiede un significato molto più profondo di quanto si possa immaginare. Viaggiare è un modo di cambiare, una trasformazione che avviene attraverso la visione di nuovi luoghi e il contatto con persone e culture diverse.

Il Viaggio come Metafora

In viaggio, come nella vita, dalla partenza al ritorno, abbiamo l’occasione di sperimentare e conoscere parti di noi sopite e alienate nella quotidianità. Il viaggio la fa da protagonista nell’arte e nella letteratura, anche perché ha il fascino dell’archetipo e risveglia antiche, aurorali sensazioni, ormai sopite nell’inconscio collettivo. Nella sua profonda radice mitica scorre ancora linfa vitale: si può dire che è uno dei pochi miti sopravvissuti allo tsunami tecnologico e multimediale, perché mantiene una sottile aura di sacralità, a differenza di altri miti, trasformati ormai in stanchi rituali.

In tal senso il viaggio si può considerare un ponte lanciato sopra l’abisso verso nuovi (e al tempo stesso antichi) continenti dello spirito, un’avventura tanto più intensa quanto più ricca di eventi impredicibili (solo ciò che è oscuro stimola al profondo), o rischiosa oltre i limiti dell’incalcolabile (come ad esempio accade con certo alpinismo, nei solitari attraversamenti dell’oceano, ecc.). Innumerevoli sono i tipi e le finalità dei viaggi e dei viaggiatori.

Il poeta greco Konstantin Kavafis, nel poema Itaca, esprime il concetto secondo cui è il viaggio che conta, non l’arrivo. Non troverai altro luogo, non troverai altro mare. La città ti verrà dietro. Andrai vagando per le stesse strade. Invecchierai nello stesso quartiere. Imbiancherai in queste stesse case. Sempre Farai capo a questa città.

Un leit motiv diverso da viaggiatore a viaggiatore, come diversa ne è la filosofia in argomento: “La vita è la più bella delle avventure, ma solo l’avventuriero lo scopre” (Condorcet); “La meta è partire” (Giuseppe Ungaretti); “Chi non si muove non può rendersi conto delle proprie catene” (Rosa Luxemburg); “Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone” (John Steinbeck); “Non c’è uomo più completo di colui che ha viaggiato, che ha cambiato venti volte la forma del suo pensiero e della sua vita” (Alphonse de Lamartine).

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Ci sono anche persone che si illudono di viaggiare stando sedute davanti alla TV: per esempio, se vedono un documentario su Petra, credono che ciò equivalga all’esserci stati…Ma chi non percorre con le proprie gambe il SIQ, non potrà mai comprendere l’intimo, magico stupore, di un mondo che di colpo si svela. Inoltre, non si possono non ricordare gli internauti, i frequentatori della realtà virtuale e quant’altro, ma il viaggio nell’universo tecnologico e multimediale (e dunque nell’infosfera, manipolata dalle multinazionali per colonizzare anche l’inconscio, e diventare sempre più ricche…) sarebbe troppo lungo e dispersivo.

Con un immenso volo pindarico, si possono annoverare fra i grandi ‘viaggiatori’, anche se ciò può sembrare assai strano, molte delle nostre…. azioni(!), specialmente quando diventano interazioni col mondo circostante. Qualunque persona, interagendo con qualunque altra persona, infatti, modifica anche la tempistica, e in certi casi pure la modalità, delle azioni e interazioni successive di entrambi: ne consegue una sorta di reazione a catena fenomenica, teoricamente infinita. È un fenomeno analogo al cosiddetto ‘effetto farfalla’, un concetto introdotto dal matematico e meteorologo Edward Lorenz in un suo articolo del 1972: “Predictability: does the flap of a butterfly’s wings in Brazil set off a tornado in Texas?”

In sostanza l’autore si chiede se il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano nell’altra parte del mondo (The Butterfly Effect). Anche se non è da prendere alla lettera, dà comunque un’idea dell’influenza che può avere un evento casuale e insignificante nei sistemi complessi.

Ma essendo la vita stessa un viaggio, che noi facciamo ponendoci e riponendoci le tre domande fondamentali che non hanno risposta - chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo? Del viaggio sono belle tutte le sue fasi e le sue tappe, ma particolarmente intrigante è sempre la partenza, con il suo enorme carico di aspettative.

«Ordinai di andare a prendere il mio cavallo dalla stalla. Il servo non mi capì. Andai io stesso nella stalla, sellai il mio cavallo e vi montai. In lontananza sentii soffiare una tromba, chiesi al servo che cosa volesse dire. Egli non lo sapeva e non aveva sentito niente. Presso il portone mi trattenne e domandò: “Signore, dove vai?”. “Non lo so”, dissi, “Solo via di qui, solo via di qui. Sempre via di qui, solo così posso raggiungere la mia meta”. “Conosci allora la tua meta?”, chiese. “Sì”, risposi, “io l’ho detto: ‘via-di-qui, è la mia meta”. “Non hai viveri con te”, disse. “Io non ne ho bisogno”, dissi, “il viaggio è così lungo, che dovrò morire di fame, se non ricevo nulla sulla via. Nessuna provvista mi può salvare.

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Viaggiare non è solo uno spostamento fisicamente misurabile. È un percorso, una scelta che parte dal desiderio di essere, di scoprire e di trasformare il proprio punto di vista. C’è chi parte per dimenticare, chi per cercare, chi semplicemente perché non riesce a farne a meno.

Viaggiare significa parlare con chi è diverso, accogliere la pluralità dei modelli culturali, lasciarsi interrogare da ciò che non si comprende subito. L’incontro con le comunità locali, come i San, i Maasai o gli Himba, mette in crisi le certezze e offre spazi di comprensione. Le relazioni che si instaurano sono autentiche, essenziali, spesso memorabili: bastano un tè caldo, un sorriso, una storia raccontata sotto le stelle. Ogni viaggio breve o lungo in Africa è un invito al cambiamento, soprattutto interiore.

Viaggiare è una strategia per lasciarsi andare e ottenere molto di più di ciò che ci aspettavamo: una consapevolezza rinnovata, una visione più ampia, la capacità di tornare al proprio mondo con occhi diversi. Ogni volta che si torna, qualcosa è cambiato.

Il significato del viaggio non sta nelle mete raggiunte, ma nella qualità dello sguardo con cui affrontiamo il cammino. Parti con Mokoro: lasciati guidare dalla curiosità, dalla voglia di esplorare, dal desiderio di trovare dentro e fuori di te nuove risposte. Il viaggio è un fenomeno psicologico che nelle sue fasi (partenza, percorso e arrivo) rende l’idea della ciclicità della vita e del suo dinamismo.

Da un punto di vista psicologico si può dire che ci sia analogia tra il viaggio inteso come conoscenza di realtà esterne (luoghi, culture, lingua ecc.) e il percorso di conoscenza di sé (Carbonetto, 2007). La vita è un viaggio: tale affermazione, riconosciuta come espressione idiomatica, sottende un significato più profondo (Papapicco, Scardigno, Mininni, 2017).

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Le Fasi del Viaggio

  • Partenza: Il termine ‘partenza’ fa riferimento al verbo ‘partire’, la cui etimologia è fondamentale per comprendere come questa prima fase del viaggio possa essere considerata metafora della vita. Viaggiare, quindi, rappresenta il superamento delle azioni abituali e quotidiane o anche la rottura dalla routine della vita condotta nel luogo di residenza, che denota una base sicura per l’individuo.
  • Arrivo: L’arrivo nella località scelta comporta il raggiungimento di un traguardo. Questa fase implica una pausa, una sospensione di un flusso sempre più minaccioso che suscita ansie, implica la realizzazione di un’aspettativa. L’arrivo, però, non rappresenta il punto finale del viaggio, ovvero la ricerca della stabilità, perché l’individuo sarà alla ricerca di nuovi traguardi, orizzonti da esplorare, nuovi abbandoni.

Il souvenir è dunque qualcosa che può essere regalato a qualcuno o che si tiene per sé; è un pensiero di un viaggio che ha lo scopo di ricordare un luogo visitato. Oggi il souvenir turistico ha connotazioni diverse e si configura nello scattare fotografie. Questa trasformazione del souvenir in fotografia dipende da varie ragioni: innanzitutto la fotografia è qualcosa di personale, auto-prodotta, è molto economica ed è tipica del luogo visitato.

Dietro il desiderio di viaggiare si nascondo bisogni emotivi del momento troppo personali per qualificare in modo oggettivo la motivazione alla vacanza.

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