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Marchi Italiani Venduti a Stranieri: Un'Analisi Approfondita

Il Made in Italy è sempre meno italiano, dato che le aziende di punta del settore dell’industria, della moda e degli alimentari vengono acquisite con preoccupante costante da holding straniere. Il primato sul bel vivere e vestire non ci appartiene più, è meglio farsene una ragione. Non esiste settore che non sia stato toccato dalle mani delle ricche holding straniere. Ecco così che una opportunità di crescita per il comparto esportazioni viene ridotta al lumicino dall’esternalizzazione della proprietà e, molto spesso, anche della produzione.

A tutt’oggi, solo per l’agroalimentare sono stati venduti marchi per circa 10 miliardi di euro. Vendere è forse di vitale importanza per gli imprenditori, ma in tutto questo discorso si sente l’assenza dello Stato, che nulla sembra volere e potere fare per arrestare la dissoluzione del Made in Italy e, anzi, vessa sempre più le aziende con una pressione fiscale a livelli record. Artigianato e tradizione spesso non vanno molto d’accordo con i ritmi e le pretese di un mercato in cui le spese di produzione si alzano e i profitti calano.

Ma quello che preoccupa di più è l’acquisizione di negozi, supermercati, fabbriche, ristoranti, da parte di cinesi che ormai sono l’etnia più numerosa, specie nel Sud Italia. Ormai siamo avviati su una china molto pericolosa per l’occupazione e per l’approvvigionamento delle materie prime, che rischiano di spostarsi in terra straniera.

Settori Coinvolti nelle Acquisizioni

Il marchio italiano piace a tutti e a far gola non sono solo le marche di moda, ma tutti i settori. Dall’alimentare all'energia, i migliori "pezzi" italiani vengono arpionati e trascinati in acque straniere. Facciamo il punto su tutti i gioielli tricolore "perduti".

Alta Moda e Lusso

Uno dei brand più in voga tra gli anni ’70 e gli anni ’90 è Fiorucci, fondata a Milano da Elio Fiorucci nel 1967. Nel 1990 viene rilevata dalla Edwin International, società giapponese di abbigliamento con diversi marchi di proprietà e licenza, poi dalla Itochu Corporation e infine dagli inglesi di Schaeffer. Le collezioni di Krizia sono invece passate a Marisfrolg Fashion Co.

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Grande scorpacciata per il fondo francese Kering, che ha acquistato Gucci, Bottega Veneta, Pomellato, Dodo, Brioni e Richard Ginori. Dal 2012, la maison Valentino è nelle mani di Mayhoola Investments mentre Ferrè è passato nelle mani del Paris Group di Dubai. Anche La Rinascente appartiene alla compagnia thailandese Central Group of Companies. Tra i casi che ha tenuto alta l’attenzione degli italiani, c’è quello di Versace il cui brand è stato venduto allo stilista americano Michael Kors per la bellezza di 2 miliardi di dollari.

L'altro grande colosso francese della moda, LVMH, è diventato proprietario di Loro Piana, Fendi, Emilio Pucci e Bulgari. La giapponese Itochu Corporation ha fatto suoi altri marchi italiani come Mila Schon, Conbipel, Sergio Tacchini, Belfe e Lario, Mandarina Duck, Coccinelle, Safilo, Ferrè, Miss Sixty-Energie, Lumberjack e Valentino S.p.A. Quasi tutte queste aziende sono state poi rivendute sempre ad aziende straniere.

Anche l’Italia, seppur non con la stessa voracità, ha però acquistato un’azienda francese, la Moncler, che dal 2003 è di proprietà dell’italiano Remo Ruffini.

Cibo

Galbani, Locatelli, Invernizzi e Cademartori sono di Lactalis, acquirente della Parmalat nel luglio del 2011, mentre gli oli Cirio-Bertolli-De Rica sono passati nel 1993 alla Unilever, che poi li ha ceduti nel 2008 alla spagnola Deoleo, già titolare di Carapelli, Sasso e Friol. Anche l’Eridania Italia, società leader nel settore zucchero italiano, è passata poi in mani francesi.

La Birra Peroni, comprendente i marchi Peroni e Nastro Azzurro, è stata fagocitata dal colosso giapponese Asahi Breweries, mentre la Star, proprietaria di diversi marchi come Pummarò, Sogni d'oro, GranRagù Star, è stata acquistata dalla spagnola Gallina Blanca del Gruppo Agrolimen.

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Lunga è la lista delle case italiane dell’industria alimentare finite in mani straniere a partire dal lontano 1993, quando gli svizzeri della Nestlè si comprarono il marchio Italgel (Gelati Motta, Antica Gelateria del Corso, La Valle degli Orti) ed il Gruppo Dolciario Italiano (Motta e Alemagna). Quest’ultimo è poi ritornato in mani italiane grazie alla Bauli di Verona. Attualmente Nestlè controlla l’ex Italgel insieme a surgelati e salse Buitoni. Il colosso elvetico possiede anche l’acqua minerale Sanpellegrino e controllate (Levissima, Recoaro, Vera, San Bernardo e Panna).

Finanza

Anche in termini economici e finanziari, sono molte le società straniere che stanno fagocitando quelle italiane. Nel 2006, il gruppo Bnp Paribas acquisisce Bnl. Nel 2007, Credit Agricole prende il controllo delle banche Cariparma e Banca Popolare FriulAdria. Sempre nello stesso anno, Generali accetta l’offerta di Groupama per l’acquisto del 100% di Nuova Tirrena per 1,25 miliardi di euro. Anche Unicredit ha venduto Pioneer ad Amundi per un valore di 3,5 miliardi di euro.

Industria

Nell’industria, Italcementi è stata acquisita da HeidelbergCement. A Pirelli invece tocca andare in Cina. ChemChina è infatti il nuovo socio. A settembre 2016 la francese Suez ha acquisito parte di Acea mentre Magneti Marelli passa ai giapponesi di Calsonic Kansei.

Energia

In campo energetico, Edison ha piegato la bandiera tricolore a favore di un’altra: quella francese.

Trasporti

Nell’industria dei treni, il made in Italy non esiste più. La Fiat Ferroviaria è controllata da Alstom. AnsaldoBreda è stata invece venduta alla giapponese Hitachi da parte di Finmeccanica. Non è diverso per gli aerei, Etihad ha acquisito per tre anni Alitalia mentre la Piaggio Aerospace è dal 2014 in mano agli arabi di Mubadala.

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Tabella Riepilogativa delle Acquisizioni

Settore Marchio Italiano Acquirente Straniero
Moda Versace Michael Kors (USA)
Moda Gucci, Bottega Veneta, Pomellato, Dodo, Brioni, Richard Ginori Kering (Francia)
Alimentare Galbani, Locatelli, Invernizzi, Cademartori Lactalis (Francia)
Alimentare Birra Peroni Asahi Breweries (Giappone)
Industria Italcementi HeidelbergCement (Germania)
Trasporti AnsaldoBreda Hitachi (Giappone)

L'Impatto e le Reazioni

Tra il 2014 e il 2023, ci sono state 2.948 acquisizioni estere di aziende italiane (contro le 1.673 acquisizioni italiane all’estero) per un valore di 203 miliardi di euro. Solo negli ultimi 5 anni (2019-2023) le acquisizioni estere sono state 1.719 (contro le 980 acquisizioni all’estero di gruppi italiani) per un valore di 82 miliardi. Sono le meraviglie degli IDE, gli Investimenti Diretti Esteri.

“Il made in Italy rappresenta ancora oggi un patrimonio identitario estremamente importante per il consumatore italiano, ma con una percezione sempre più sfaccettata e critica. Mentre tradizionalmente simboleggiava qualità assoluta, artigianalità e unicità, oggi il consumatore ha sviluppato un approccio più complesso e razionale”.

Secondo Giacomelli, infatti, “la svendita di marchi storici a gruppi internazionali ha certamente modificato la percezione di autenticità. “I consumatori - continua il segretario di Codici - oggi sono più consapevoli della complessità dei processi produttivi globali. Non cercano più solo l’origine geografica, ma valutano qualità del prodotto, innovazione tecnologica, sostenibilità dei processi produttivi, etica aziendale. Il made in Italy rimane un brand di prestigio, ma non più un’etichetta automatica di garanzia. I consumatori richiedono trasparenza, autenticità e coerenza con i valori tradizionali di qualità e creatività. Il made in Italy non è scomparso, si è evoluto.

“Made in Italy” non è solo un brand ma è anche il nome di un progetto che ha come obiettivo quello di mettere in luce le storie di successo delle aziende italiane. Secondo Assocamerestero parliamo di qualcosa come 60 miliardi: cioè quanto spendono in più all’estero per la qualità dei nostri prodotti. I biscotti Lazzaroni nascono in provincia di Teramo. Prodotti buoni e genuini che si rivelano molto più di semplici dolci grazie alla filosofia aziendale che pone l’uomo al centro. La Franciacorta si affaccia sulla sponda meridionale del lago d’Iseo e si estende fino a Brescia. Per fare la pasta, l’azienda De Cecco utilizza un metodo di lavorazione che definisce unico come i luoghi in cui nasce che sono quelli dell’Abruzzo.

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