Maschile e Femminile in Italiano: Regole ed Eccezioni
Grammaticalmente parlando, sappiamo che di solito i nomi che finiscono in -o sono maschili e quelli in -a femminili. Certo, la regola di base è presto detta: i sostantivi che finiscono in -o sono di genere maschile, quelli che finiscono in -a sono di genere femminile.
Se fosse davvero così semplice, però, diremmo “il mano” anziché “la mano“, e “la sistema” sostituirebbe “il sistema“.
In genere le parole in -e in italiano sono di genere maschile, pur con qualche accorgimento da tenere a mente.
Genere Naturale e Genere Grammaticale
Per impostare correttamente la questione dobbiamo dire subito che il genere grammaticale è cosa del tutto diversa dal genere naturale. Che il genere come categoria grammaticale non coincida affatto con il genere naturale si può dimostrare facilmente: è presente in molte lingue, ma ancora più numerose sono quelle che non lo hanno; può inoltre prevedere, nei nomi, una differenziazione in classi che in certi casi non sfrutta e in altri va ben oltre la distinzione tra maschile e femminile propria dell’italiano (dove riguarda anche articoli, aggettivi, pronomi e participi passati) perché, oltre al neutro esistono, in altre lingue, vari altri generi grammaticali, determinati da criteri ora formali ora semantici; infine, come avviene in inglese, può limitarsi ai pronomi, senza comportare quell’alto grado di accordo grammaticale che l’italiano prevede.
Neppure in italiano si ha una sistematica corrispondenza tra genere grammaticale e genere naturale. È indubbio che, in particolare quando ci si riferisce a persone, si tenda a far coincidere le due categorie (abbiamo coppie come il padre e la madre, il fratello e la sorella, il compare e la comare, oppure il maestro e la maestra, il principe e la principessa, il cameriere e la cameriera, il lavoratore e la lavoratrice, ecc.), ma questo non vale sempre: guida, sentinella e spia sono nomi femminili, ma indicano spesso (anzi, più spesso) uomini, mentre soprano e contralto sono, tradizionalmente almeno (oggi il femminile la soprano è piuttosto diffuso), nomi maschili che da oltre due secoli si riferiscono a cantanti donne.
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Arlecchino è una maschera, come Colombina, mentre Mirandolina è un personaggio, come il Cavaliere di Ripafratta, che di lei si innamora. Vero è che nel parlato spostamenti di genere nell’àmbito dei nomi in rapporto al sesso del referente ci sono stati: da modello si è avuto modella; si parla di un tipo ‘un tale’ ma anche di una tipa; accanto a membro si sta diffondendo membra; dall’altra parte, dal femminile figura deriva il maschile figuro (ma con una connotazione negativa).
Abbiamo poi i cosiddetti nomi “di genere comune”, che non cambiano forma col cambio di genere, perché la distinzione è affidata agli articoli nei casi di cantante, preside, custode, consorte, coniuge. Passando al mondo animale, distinguiamo, è vero, il montone o ariete e la pecora, il gatto e la gatta, il gallo e la gallina, il leone e la leonessa, ma nella maggior parte dei casi il nome, maschile o femminile che sia, indica tanto il maschio quanto la femmina (la lince, il leopardo, la iena, la volpe, il pappagallo, la gazza, il gambero, la medusa, ecc., nomi che la tradizione grammaticale indica come “epiceni”).
Quanto alle cose inanimate, è evidente che il genere femminile di sedia, siepe, crisi e radio e il maschile di armadio, fiore, problema e brindisi non si possano legare in alcun modo al sesso, che le cose naturalmente non hanno.
Il Neutro
Chi propone di far ricorso al neutro per rispettare le esigenze delle persone che si definiscono non binarie, citando il latino, non tiene presente da un lato che l’italiano, diversamente dal latino, non dispone di elementi morfologici che possano contrassegnare un genere diverso dal maschile e dal femminile, dall’altro che in latino (e in greco) il neutro non si riferisce se non eccezionalmente a esseri umani (accade con alcuni diminutivi di nomi propri) e neppure agli dei: venus, -eris ‘bellezza, fascino’ (da cui venustas), che era neutro come genus, -eris, diventò femminile come nome proprio di Venere, la dea della bellezza.
D’altra parte, per venire all’attualità, anche in inglese il rifiuto dei pronomi he (maschile) e she (femminile) da parte delle persone non binarie non ha comportato l’adozione del pronome neutro it, presente in quella lingua ma evidentemente inutilizzabile con riferimento a esseri umani, bensì l’uso del “singular they”, cioè del pronome plurale ambigenere they (e delle forme them, their, theirs e themself/themselves), come pronome singolare non marcato.
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Anche l’introduzione in svedese nel 2012, accanto al pronome maschile han e al femminile hon, del pronome hen, usato per esseri umani in cui il sesso non è definito o non è rilevante, si inserisce senza difficoltà nel sistema di quella lingua, in cui un genere “comune” (o “utro”), che non distingue tra maschile e femminile, si contrappone al genere neutro e l’opposizione tra maschile e femminile si ha solo nei pronomi personali di terza persona singolare.
Il Maschile Plurale come Genere Grammaticale Non Marcato
Un altro dato da ricordare è che nell’italiano standard il maschile al plurale è da considerare come genere grammaticale non marcato, per esempio nel caso di participi o aggettivi in frasi come “Maria e Pietro sono stanchi” o “mamma e papà sono usciti”. Inoltre, se dico “stasera verranno da me alcuni amici” non significa affatto che la compagnia sarà di soli maschi (invece se dicessi “alcune amiche”, si tratterebbe soltanto di donne). Se qualcuno dichiara di avere “tre figli”, sappiamo con certezza solo che tra loro c’è un maschio (diversamente dal caso di “tre figlie”), a meno che non aggiunga “maschi”.
Se in passato poteva capitare (oggi mi risulta che avvenga più di rado) che a un alunno indisciplinato si richiedesse di tornare a scuola il giorno dopo “accompagnato da uno dei genitori”, poteva essere sia il papà sia la mamma a farlo (e lo stesso valeva nel caso della dicitura al singolare, “da un genitore”, sebbene questo termine abbia anche il femminile genitrice, di uso peraltro assai più raro rispetto al maschile).
Lingue Naturali, Processi di Standardizzazione e Dirigismo Linguistico
Ogni lingua è un organismo naturale, che evolve in base all’uso della comunità dei parlanti: è vero che molte lingue hanno subìto un processo di standardizzazione per cui, tra forme coesistenti in un certo arco temporale, alcune sono state selezionate, considerate corrette e destinate allo scritto e all’uso formale e altre censurate e giudicate erronee, o ammesse solo nel parlato o in registri informali e colloquiali; ma in questo processo la scelta (che può anche cambiare nel corso del tempo) avviene sempre nell’àmbito delle possibilità offerte dal sistema. Soltanto nel caso della scrittura (che infatti non si apprende naturalmente, ma va insegnata) è possibile imporre norme ortografiche che si discostino dalla pronuncia reale: per questo la stampa e la scuola hanno avuto e hanno tuttora un ruolo fondamentale nella costituzione della norma standard scritta.
Non c’è dunque da meravigliarsi se alcune proposte di soluzione del problema della distinzione di genere abbiano riguardato, almeno in prima istanza, la grafia, più suscettibile di cambiamenti. Ma ormai da tempo l’ortografia italiana è da considerarsi stabilizzata, il rapporto tra grafia e pronuncia non presenta particolari difficoltà (basta prendere a confronto l’inglese e il francese) e i dubbi si concentrano quasi esclusivamente sull’uso dei segni paragrafematici (accenti, apostrofi, ecc.). Questo non esclude che, almeno in àmbiti molto precisi come la scrittura in rete e quella dei messaggini telefonici, si possano diffondere usi grafici particolari, spesso peraltro transitori; ma il legame sistematico tra grafia e pronuncia, così tipico dell’italiano, non dovrebbe essere spezzato.
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Gli Allocutivi (tu, voi, lei) e la Tematica del Genere
Il latino conosceva un unico pronome per rivolgersi a un singolo destinatario, maschio o femmina che fosse: tu e l’uso si è conservato, praticamente senza soluzione di continuità, a Roma, nel Lazio e lungo la corrispondente dorsale appenninica. In età imperiale cominciò a diffondersi il vos come forma di rispetto, da cui il voi dell’italiano antico, vivo tuttora in area meridionale. In età rinascimentale, sull’onda della diffusione (per influsso dello spagnolo) di titoli come vostra eccellenza, vostra signoria, vostra maestà, ci fu un altro cambiamento e si iniziò a usare, come forma di cortesia, anche il lei (ella, per la verità, almeno all’inizio, come soggetto e nell’uso allocutivo), che prima affiancò (a un livello di maggiore formalità) il voi e poi, in età contemporanea, ha finito col sostituirlo.
Il fascismo cercò invano di bandire l’uso del lei (considerato uno “stranierismo” proprio della “borghesia”) e di imporre l’“autoctono” voi. Col crollo del regime, il voi è restato, come si è detto, solo nell’uso meridionale (dove il lei aveva avuto minore diffusione) ed è piuttosto l’espansione del tu generalizzato a contrastare il lei di cortesia, che peraltro resiste benissimo in situazioni anche solo mediamente formali.
Proprio il lei di cortesia ci documenta un’altra mancata corrispondenza tra genere grammaticale e genere naturale. Lei è un pronome femminile, ma lo si dà anche a uomini; non solo, ma quando si usano le corrispondenti forme atone la e le l’accordo al femminile investe spesso anche il participio o l’aggettivo. Se è normale, rivolgendosi a un docente di sesso maschile, dire professore, oggi vedo che è molto occupato, si dice però comunemente professore, l’ho vista ieri (e non l’ho visto ieri) entrare in biblioteca. Insomma, anche l’allocutivo di cortesia dello standard è un esempio di come il maschile e il femminile grammaticali non corrispondano sempre, neppure in italiano, ai generi naturali.
La Lingua tra Norma, Sistema e Scelte Individuali
Chi si rivolge all’Accademia della Crusca pensa alla lingua considerando la “norma” in senso prescrittivo (in molti quesiti ricorrono infatti parole come corretto e correttezza, propri della grammatica normativa e scolastica) oppure facendo riferimento agli usi istituzionali dell’italiano, non all’uso individuale di si...
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