Se sei povero sei straniero: statistiche e impatti sull'economia italiana
L’Italia è stata attraversata negli ultimi 30 anni da importanti fenomeni migratori che hanno determinato impatti sociali, economici e culturali profondi. Oggi il nostro Paese fa fatica a leggere un fenomeno che è stato fin ad ora affrontato solo con approcci emergenziali. Un esempio concreto e recente è il decreto Cutro, che, oltre ad essere l’ennesima legge repressiva verso i migranti, testimonia come la politica e l’opinione pubblica non abbiano ancora gli strumenti per comprendere l’immigrazione, non solo a scapito dei migranti, ma anche del sistema-Paese.
Capire gli effetti economici dell’immigrazione è essenziale per disegnare nuove politiche che possano portare enormi benefici all’economia italiana, strozzata tra crisi di produttività, bassi salari e un welfare in difficoltà rispetto ad una popolazione sempre più anziana.
Secondo alcuni è un’invasione. L’Italia e l’Europa sarebbero terre di conquista da parte di genti straniere che arrivano sempre più numerose. Ma è davvero così?
Immigrazione in Italia: numeri e statistiche
Secondo i dati Istat, al 1 gennaio 2022 gli stranieri residenti in Italia sono 5.193.669, pari all’8,6% della popolazione. L’incidenza della popolazione straniera sulla popolazione italiana totale è un dato in continua crescita: pensate che nel 1990 gli stranieri erano lo 0,8% della popolazione, e solo nel 2006 hanno superato il 5%.
Se scomponiamo ulteriormente questi dati scopriamo che circa 1,5 milioni sono gli stranieri di altri paesi dell’Unione Europea, mentre i cosiddetti extra-comunitari sono 3,7 milioni circa (6,2% della popolazione). Dei circa 5,2 milioni di stranieri residenti, 2,5 milioni sono cittadini europei, di cui 1,5 comunitari e 1 milione di non comunitari. 1,1 milioni sono i cittadini africani residenti in Italia.
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Al 1° gennaio 2024 gli stranieri presenti in Italia risultavano 5,755 milioni, 20mila in meno (-0,3%) rispetto alla stessa data del 2023. I residenti sono 5,254 milioni (l’anno precedente erano 5,141 milioni), il 70% dei quali cittadini non comunitari.
La stima degli irregolari è decrescente dal 2019: secondo Ismu si attesta sulle 321mila persone, il 5,6% del totale dei presenti (erano il 7,9% nel 2022). In calo anche le nascite: dopo il record storico di circa 80mila nati nel 2012, sono scese fino ai 50mila nati del 2023.
Anno in cui la riduzione dei permessi di lavoro è stata vistosa (-42,2%), mentre aumentano i permessi per motivi di famiglia, asilo e richiesta di protezione internazionale e studio. I non comunitari con un permesso di soggiorno di lunga durata sono 2,139 milioni, soprattutto moldavi ed ecuadoriani.
Il rapporto registra la diminuzione degli sbarchi più volte rivendicata dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi: -57,9% nel 2024 rispetto al 2023. Flettono anche gli arrivi via terra: 3.400 nei primi sei mesi dello scorso anno, contro i 5.600 del 2023. Ma nei primi nove mesi le richieste di asilo sono volate del 27,1%, a quota 116mila (erano state circa 130mila in tutto il 2023). Tra i richiedenti, crescono i cittadini di Bangladesh, Cina, Sri Lanka, Marocco, India e Perù. Va precisato che solo una parte di chi entra irregolarmente presenta domanda.
Tra le tre comunità più numerose storicamente presenti in Italia, Romania, Albania e Marocco sono stabilmente sul podio da anni, anche se la loro crescita si è quasi fermata perché molti dei loro componenti sono diventati cittadini italiani e dunque usciti da queste statistiche. Un calo che ha coinvolto molte comunità, complice la pandemia, che ha ridotto l’arrivo di nuovi immigrati e convinto alcuni a rientrare nel paese di origine.
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Tuttavia, osserviamo una crescita significativa nel numero di residenti da Cina, paesi del subcontinente indiano (India, Bangladesh, Pakistan, con la sola eccezione dello Sri Lanka) ed Egitto.
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale degli immigrati in Italia al 1 gennaio 2021, le regioni con la maggiore incidenza della popolazione straniera residente sono quelle del centro-nord: Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana, Lazio, Umbria, provincia di Bolzano, Veneto.
Ad ogni modo il fenomeno dell’immigrazione non si presenterà mai con dati certi. Troppi e incontrollabili sono i flussi per farcene un quadro definito a un dato momento nel tempo. È dunque praticamente impossibile stabilire quanti sono gli immigrati in Italia e in Europa con certezza.
L’Italia e l’Europa sono dunque di fronte a importanti mutamenti nella composizione sociale ed etnica della propria popolazione. In venti anni la presenza di persone straniere sul suolo europeo è aumentata di cinque o dieci volte.
In termini assoluti, i paesi con il maggior numero di immigrati residenti sono Germania (10,5 milioni), Spagna (5,4), Francia e Italia (5,2). L’Austria è da tempo ormai il paese europeo con la più alta incidenza di stranieri.
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Andiamo però a vedere anche un altro dato: il numero di persone residenti in un paese ma nate in un altro. Questo dato ci dà la misura delle persone che sono diventate nel tempo cittadine di uno stato provenendo però da un background migratorio. L’Italia qui scivola ben oltre il decimo posto, con il 10,6%.
Questi diversi risultati riflettono le differenze in fatto di politiche migratorie. È per questo ad esempio che la Francia ha un’incidenza della popolazione straniera più bassa della nostra (7,7%), ma più alta se consideriamo i nati all’estero (12,8%). Eclatante il caso della Svezia, che ha 900 mila stranieri residenti, che diventano 2 milioni se consideriamo anche gli svedesi nati all’estero.
Rispetto al 1 gennaio 2020 si registra ovunque un aumento di stranieri residenti. L’aumento più significativo si registra in Croazia (+12%), seguita da Portogallo (+10,8%) e in generale nei paesi dell’est, che però partono da numeri molto bassi.
Povertà e immigrazione: un'analisi dei dati
I risultati della ricerca evidenziano che con l’aumento del numero di stranieri in Italia è cresciuta la percentuale di famiglie povere e la quota di molto poveri sul totale. Il motivo risiede nel fatto che le famiglie straniere sono generalmente più povere di quelle italiane. In aggiunta a questo la distribuzione dei redditi in Italia, che già presentava elevati livelli di disuguaglianza (misurata dall’indice di Gini) rispetto alla media europea, ha visto un allargamento della distanza media in termini di reddito tra abbienti e meno abbienti.
Alcuni studi suggeriscono che gli stranieri in Italia sono quelli che hanno sofferto maggiormente gli shock economici degli ultimi venti anni, ovvero la crisi del 2008 e la pandemia da Covid-19.
Non è più una novità: la povertà in Italia non accenna a diminuire e ormai da alcuni anni, dopo l’esplosione registrata nel corso della pandemia, si mantiene su livelli di sostanziale stabilità. Nonostante tale tendenza, alcuni valori censiti nel 2023 nel nostro Paese - in particolare riferiti ad alcune categorie di persone, quali lavoratori, stranieri e minori - sono i più alti mai toccati negli ultimi 10 anni, facendo così registrare al fenomeno un preoccupante record negativo.
Secondo le ultime statistiche sulla povertà pubblicate da ISTAT lo scorso 17 ottobre, nel 2023 si trovano in condizioni di povertà assoluta poco più di 2,2 milioni di famiglie (pari all’8,4% del totale, valore stabile rispetto al 2022) e quasi 5,7 milioni di individui (pari al 9,7% del totale, come nell’anno precedente). Per il secondo anno consecutivo, la causa di livelli così alti è in larga parte da attribuire all’inflazione: infatti, nonostante l’andamento positivo del mercato del lavoro (+2,1% di occupati nell’ultimo anno) e l’aumento della spesa media mensile per consumi delle famiglie (pari a 2.738 euro, +4,3% rispetto al 2022), l’elevata crescita dei prezzi al consumo (+5,9%) ha fatto registrare un calo dell’1,5% in termini reali delle spese per consumi delle famiglie meno abbienti.
Tornando alla povertà assoluta, secondo le stime di ISTAT, a livello geografico, il fenomeno colpisce maggiormente il Mezzogiorno, dove si trovano in tali condizioni 859 mila famiglie (10,2%) e oltre 2,3 milioni di individui (12%), i piccoli Comuni con meno di 50 mila abitanti (8,8%) e i Comuni centro dell’area metropolitana (8,1%), in particolare nelle Regioni del Sud (15,9%). Per quanto riguarda le tipologie familiari, rimane particolarmente critica la situazione delle famiglie più numerose, dove la povertà assoluta raggiunge un’incidenza del 20,1% per i nuclei con cinque e più componenti e dell’11,9% per quelli composti da quattro persone.
Se fino a qualche anno fa il lavoro rappresentava un forte fattore di protezione contro la povertà, oggi tale vantaggio è sempre meno netto. È certo innegabile che chi è occupato sia meno esposto allo svantaggio economico rispetto a chi un lavoro non ce l’ha, ma sempre più spesso avere un impiego non basta ad evitare lo scivolamento in povertà. Ne è una dimostrazione la sempre maggiore diffusione del fenomeno dei working poor, ossia dei lavoratori con redditi inferiori alla soglia di povertà, spesso occupati in mansioni a bassa remunerazione e qualifica, con carriere lavorative precarie, segmentate e irregolari, e con contratti di lavoro non standard.
Infatti, ci dice sempre ISTAT, nel 2023 il numero degli occupati in condizioni di povertà assoluta continua a crescere (8,1% vs 7,7% del 2022) e per alcune categorie raggiunge il valore più elevato della serie storica dal 2014. Si tratta in particolare di famiglie con persona di riferimento operaio e assimilato, per le quali l’incidenza della povertà assoluta è pari al 16,5% (in crescita di 1,8 punti percentuali rispetto al 2022), il valore più elevato degli ultimi 10 anni.
Nettamente più elevata l’incidenza della povertà assoluta tra coloro che sono in cerca di un’occupazione, la quale, pur assestandosi al 20,7%, risulta in diminuzione di 1,7 punti percentuali rispetto al 2022.
Ancora una volta, la povertà assoluta aumenta al decrescere dell’età della persona di riferimento del nucleo familiare, ad indicare che i giovani tra i 18 e i 34 anni - disponendo generalmente di redditi più bassi e minori risparmi accumulati nel corso della vita - sono tra le categorie più esposte al disagio economico, con un’incidenza della povertà assoluta pari all’11,8%.
Oltre ai giovani la povertà assoluta continua a colpire i più piccoli: si trovano in tali condizioni quasi 1,3 milioni di minori, con un’incidenza del 13,8% (in aumento di 0,4 punti percentuali rispetto al 2022) che varia dal 12,9% del Nord al 15,5% del Mezzogiorno. Anche in questo caso, il 2023 fa registrare al nostro Paese il valore più alto dal 2014. Le famiglie in povertà assoluta in cui sono presenti minori sono quasi 748 mila, con un’incidenza pari al 12,4%, anch’essa in crescita rispetto al 2022 (11,7%). I valori più elevati si registrano tra le famiglie dove generalmente convivono più nuclei familiari e/o membri aggregati (25,6%), tra i nuclei numerosi con tre o più figli (18,8%) e tra le famiglie monogenitore (14,8%).
Secondo i dati ISTAT, nel 2023 sono oltre 1,7 milioni gli stranieri in povertà assoluta, con un’incidenza individuale pari al 35,1%, oltre quattro volte e mezzo superiore a quella degli italiani (7,4%). Sono invece oltre 568 mila le famiglie in povertà assoluta composte esclusivamente tra cittadini stranieri, con un’incidenza del 35,1%, oltre cinque volte e mezzo in più di quelle composte da soli italiani (6,3%). Il 35,8% delle famiglie con almeno uno straniero in condizioni di povertà assoluta risiede nel Mezzogiorno, dato che si alza al 39,5% per quei nuclei familiari composti esclusivamente da stranieri, contro l’8,8% delle famiglie di soli italiani.
La difficoltà maggiori si presentano per le famiglie di soli stranieri residenti nei Comuni fino a 50 mila abitanti (38,5%) e nei Comuni centro dell’area metropolitana (37%). Ancora, per quei nuclei in cui la persona di riferimento è in cerca di occupazione (37,7%) o occupata come operaio e assimilato (37,2%). In questo caso l’incidenza risulta essere pressoché la stessa, ad indicare quanto - in particolare per gli stranieri - il lavoro non sia in grado di proteggere dallo scivolamento in povertà.
È, infine, noto come la condizione di povertà assoluta sia correlata anche al titolo di godimento dell’abitazione presso la quale si vive. Nel nostro Paese sono circa 1 milione le famiglie povere in affitto, con un’incidenza del 21,6% (che nel Mezzogiorno sale al 23,8%), contro l’11,6% dei nuclei in usufrutto o uso gratuito e il 4,7% delle famiglie che vivono in abitazioni di proprietà. Tra le famiglie in affitto, l’incidenza della povertà assoluta è più elevata per i nuclei con almeno uno straniero (pari al 37% vs 15% di quelle interamente composte da italiani), con minori (31%, +3,9% rispetto al 2022) e con capofamiglia di età compresa tra i 35 e i 44 anni (pari al 24,9% vs 17,3% di quelle con persona di riferimento ultra 65enne).
Impatto sul mercato del lavoro
Nel 2023 risultavano occupati 2,317 milioni di migranti tra 15 e 64 anni. Dal 2005 al 2023 il tasso di attività degli italiani è cresciuto dal 61,9 al 66,4%, mentre quello della popolazione straniera è calato dal 73,4% al 69,6%. Lo stesso è accaduto al tasso di occupazione: per gli italiani è salito dal 57,2 al 61,2%; per gli stranieri è diminuito dal 65,8% al 61,6 per cento. Alta - al 15,5% - l’incidenza degli stranieri sul totale dei disoccupati.
Critica, in particolare, la situazione delle donne. Quasi immutati i processi di inclusione occupazionale: come trent’anni fa - scrive Ismu - le famiglie rappresentano il principale datore di lavoro. Che continua a essere “povero” e poco qualificato. Un quadro che è frutto anche dei livelli di istruzione: nel 2023 solo il 53,3% degli stranieri tra 25 e 64 anni ha un titolo secondario superiore, contro il 66,9% degli italiani. I laureati sono il 12,4%, contro il 22,7% degli italiani. Eppure, anche per gli stranieri laureati, il tasso di occupazione è inferiore di 15,7 punti rispetto agli italiani. L’overqualification colpisce soprattutto le giovani donne.
Dal secondo dopoguerra ad oggi, l’Italia non ha adottato una politica migratoria organica, ma ha preferito ricorrere a disposizioni ad hoc, contribuendo alla marginalizzazione che gli stranieri vivono nel nostro Paese. Quando il fenomeno migratorio è esploso, tuttavia, la strada intrapresa è stata quella di un approccio via via più sistematico ma gradualmente più restrittivo.
Regolarizzazioni di cui l’Italia si è servita in questi decenni per avere manodopera straniera al fine di alimentare settori spesso informali e usuranti, come quello domestico o quello delle costruzioni. La dualità del mercato del lavoro italiano, diviso tra poche grandi imprese, pubblica amministrazione e una rete vastissima di PMI con contratti sovente precari e sottopagati, contribuisce alla marginalizzazione dei lavoratori migranti all’interno della società.
In quasi ogni campo, la fotografia dello scenario italiano restituisce un’immagine degli stranieri in condizioni nettamente peggiori rispetto agli italiani. Dall’istruzione al reddito, fino alla salute, le statistiche indicano che gli stranieri in Italia soffrono disuguaglianze consistenti rispetto alla popolazione italiana.
Esistono importanti differenze di reddito tra comunità di diversa nazionalità, soprattutto tra stranieri comunitari e stranieri extracomunitari. Un fattore chiave sono le differenze territoriali. Gli stranieri in Italia sono concentrati per due terzi al Nord, dove beneficiano di migliori condizioni economiche rispetto al Sud. Uno straniero in Lombardia è mediamente più ricco di uno straniero residente in Calabria.
Nella letteratura il dibattito è ancora aperto e non esiste un accordo comune. La teoria standard prevede che un flusso migratorio abbia come principale effetto quello di incrementare i salari dei lavoratori complementari e di abbassare quelli dei lavoratori competitors.
Gli studi sul contesto italiano sono ancora pochi. D’Agostino et al. (2015) e Mussida e Parisi (2018) hanno riscontrato che gli stranieri non hanno impatti significativi sulla disuguaglianza in Italia, e che la maggior parte della disuguaglianza a cui gli stranieri sono soggetti è una disuguaglianza dentro le comunità stesse, e dipendente anche dai divari delle regioni italiane.
Studenti con cittadinanza non italiana (CNI)
Gli studenti con cittadinanza non italiana nel 2022/2023 erano 914.860, l’11,2% sul totale degli iscritti in tutti i cicli, dall’infanzia alla secondaria di secondo grado. Il 44% è di origine europea, più di un quarto africana, 20% asiatica e quasi 8% America Latina. I più numerosi sono i rumeni: 149mila studenti, seguiti da albanesi e marocchini. La Lombardia accoglie da sola un quarto di tutti gli studenti con backup migratorio.
Le scuole senza allievi stranieri sono il 15,5% del totale: negli ultimi trent’anni questa quota è diminuita ed è cresciuto il numero di istituti con quote rilevanti. In 15 anni sono triplicati gli alunni stranieri nati in Italia. Più di due terzi degli alunni non italiani è ormai costituito dalle “seconde generazioni”.
Fondazione ISMU ETS stima che al 1° luglio 2024 la maggioranza assoluta della popolazione straniera residente in Italia sia di religione cristiana, ma con una incidenza che è scesa per la prima volta al di sotto del 53%, seppure di pochissimo. Gli immigrati ortodossi, tra cui è compresa la maggior parte degli ucraini, si attestano al 29,1%. I cattolici al 17,0%. I musulmani rappresentano il 29,8% degli stranieri immigrati, seguiti a grande distanza da buddisti (3,3%), induisti (2,1%) e appartenenti ad altre religioni (2,1%). Gli atei o agnostici sono, invece, il 9,7%.
Occorre presidiare con particolare attenzione la situazione dei minori, dal momento che è ormai noto il carattere “ereditario” della povertà: condizioni di disagio economico del passato si ripercuotono sul rischio di povertà attuale, e così via, dando vita a quello che viene definito “circolo dello svantaggio sociale”.
Tabella: Povertà assoluta delle famiglie per cittadinanza (dati Istat 2017)
Cittadinanza | Incidenza della povertà |
---|---|
Italiane | 5,1% |
Straniere | 29,2% |
La tabella dice che l’aumento del numero dei nuclei in povertà assoluta coinvolge sia le famiglie italiane che quelle composte da soli stranieri. Ma i dati Istat del 2017 confermano chiaramente che per le famiglie costituite di soli stranieri (sono 1,6 milioni) il rischio di essere in povertà assoluta continua a rimanere di sei volte (29,2 diviso 5,1) più elevato rispetto a quello che pende sui 23,8 milioni di famiglie italiane.
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