Lo Straniero nel Diritto Internazionale: Definizione e Diritti
Il diritto internazionale umanitario è un insieme di regole che ha lo scopo di limitare gli effetti dei conflitti armati, regolando la conduzione delle ostilità e proteggendo le vittime dei conflitti.
La Reciprocità nel Diritto Internazionale
La reciprocità, nel diritto, fa riferimento a un principio di diritto internazionale privato che regola i rapporti tra gli stati. La giurisprudenza definisce il principio di reciprocità quale “condizione di efficacia della norma che attribuisce un diritto allo straniero”, specificando ulteriormente che la reciprocità rileva “non come fondamento del diritto, bensì come condizione di efficacia della suddetta norma” (Cass. SS.UU. Sent. 18 marzo 1999 n.
La reciprocità risulta fondamentale e soprattutto preliminare a qualsiasi tipo di negozio. Costituisce un accertamento imprescindibile e per la dottrina dominante la condizione di reciprocità, ossia la possibilità da parte del cittadino italiano di esercitare nel Paese di appartenenza del cittadino straniero lo stesso diritto, è elemento fondante e necessario affinché lo straniero acquisti la capacità giuridica relativamente a quel diritto, con l’ovvia conseguenza della radicale nullità del negozio giuridico intervenuto che non può essere sanata né mediante convalida, né mediante autorizzazione, essendo all’incapace giuridico negato di essere titolare del rapporto, nemmeno a mezzo di rappresentante.
Questo accertamento preventivo è determinante, quindi, per stabilire se lo straniero abbia l’effettiva capacità di compiere le concrete attività negoziali.
Tipi di Reciprocità
La reciprocità di fatto o sostanziale si ha quando, a prescindere dalle norme, l’ordinamento straniero consenta in concreto ai cittadini di godere dei diritti di cui lo straniero intende beneficiare. Al fine di chiarire il concetto, un esempio potrebbe essere utile al fine di osservare i risvolti pratici della vicenda.
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Riferimenti Normativi nell'Ordinamento Italiano
Passando invece, all’aspetto più prettamente legale, per quanto riguarda l’ordinamento italiano, i riferimenti normativi del principio di reciprocità sono contenuti in varie fonti. Iniziando dalla Costituzione, ai sensi dell’art. 10, l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. L’art. 117 invece prevede che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Un’altra fonte legislativa che contiene il principio di reciprocità è l’art. 16 delle disposizioni sulla legge in generale, dette anche preleggi o disciplina preliminare al codice civile, in cui viene affermato che “lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità e salve le disposizioni contenute in leggi speciali.
Inoltre, è da citare il Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) e ovviamente dal relativo regolamento di attuazione (decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n.
Esenzioni dalla Verifica della Reciprocità
Esistono dei casi in cui non è necessario verificare la condizione di reciprocità. In base al Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. i cittadini (persone fisiche o giuridiche) degli Stati membri dell’Unione Europea. La prima ipotesi di esenzione dalla verifica della sussistenza della condizione di reciprocità attiene alla cittadinanza o nazionalità (in caso di enti) di uno Stato membro dell’Unione europea.
Una considerazione a parte riguarda la Svizzera. La Svizzera fa parte dei paesi E.F.T.A. (European Free Trade Association), di cui fanno parte anche Norvegia, Islanda e Liechtenstein. Fu istituita dalla Convenzione di Stoccolma del 1970 oggi sostituita dalla Convenzione di Vaduz. Ad eccezione della Svizzera, Liechtenstein, Islanda e Norvegia, fanno anche parte del Mercato Interno dell’Unione Europea in virtù dell’Accordo sullo Spazio economico europeo (European Economic Area - SEE) firmato ad Oporto il 2 maggio del 1992, nei quali valgono i principi di libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali.
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Tuttavia, la Svizzera non ha ratificato l’accordo, con la conseguenza che i suoi cittadini non sono assimilati a quelli comunitari, anche se godono di libera circolazione in quanto la Confederazione svizzera ha sottoscritto, il 21 giugno 1999, con la Comunità europea e i suoi Stati membri, un accordo sulla libera circolazione delle persone (ratificato dall’Italia con legge 15 novembre 2000, n.
Ai sensi del comma 2 dell’art. 1 d.p.r. 31 agosto 1999 n. 394, l’accertamento della condizione di reciprocità non è richiesto per i cittadini stranieri titolari della carta di soggiorno di cui all’art.
Nel caso in cui non si rientri nei casi sopraesposti, per tutte le persone fisiche o giuridiche extra-comunitarie, si verifica che siano state ratificate in Italia convenzioni internazionali o accordi bilaterali in materia di promozione e protezione degli investimenti (Bilateral Investment Treaties, o BIT’s) ,che hanno carattere di lex specialis rispetto alla previsione generale dell’art.
La Reciprocità nel Settore Immobiliare
Tra le declinazioni dell’applicazione del principio di reciprocità, l’immobiliare presenta risvolti interessanti. Ciò significa che uno stato permetterà ai cittadini di un determinato paese di acquistare proprietà immobiliari all’interno dei suoi confini solo se il paese di origine di quei cittadini offre la stessa opportunità agli stranieri provenienti dallo stato ospitante. Ad esempio, se il Paese A consente ai cittadini del Paese B di acquistare proprietà immobiliari nel suo territorio, allora il Paese B dovrebbe consentire ai cittadini del Paese A di fare lo stesso.
Un esempio recente dell’applicazione del principio di reciprocità in campo immobiliare si può trovare in Canada. Tali provvedimenti come detto dipendono quindi da valutazioni di opportunità, economia e politica.
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Diritti Umani Fondamentali
Il diritto dei diritti umani è quell’insieme di diritti che vengono riconosciuti all’uomo per il solo fatto di appartenere al genere umano, garantendo che ad esso vengano riconosciute le libertà e i diritti fondamentali indipendentemente dalle sue origini, appartenenze o luoghi ove questo si trovi. La prima idea di questi diritti, senz’altro presente in epoche antiche, ottiene la sua prima trattazione esplicita solo dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1948 viene adottata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo da parte delle Nazioni Unite. A questa si aggiungono poi nel 1966 il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e il Patto Internazionale sui Diritti economici, sociali e culturali.
La Tortura nel Diritto Internazionale
La pratica della tortura si prefigge lo scopo di annientare la personalità della vittima e negare la dignità della persona: costituisce, per questo, un crimine secondo il diritto internazionale. Il divieto assoluto della tortura o qualsiasi altro trattamento inumano o degradante è dunque un divieto che non tollera nessuna eccezione: si sostiene, infatti, che appartenga alla categoria delle norme di jus cogens, ossia una regola suprema di diritto internazionale, che non può essere ignorata da nessun Paese al mondo, indipendentemente dal fatto che esso sia parte o meno di trattati che ne sanciscono il divieto.
Normativa sulla Tortura
La Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata dall’Assemblea Generale il 10 dicembre 1984 ed entrata in vigore il 26 giugno 1987, conta 174 Stati parte. L’Italia ha ratificato in data 12 gennaio 1989.
L’art. 1 della Convenzione definisce la tortura come “qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito”.
Lo Statuto della Corte penale internazionale include, inoltre, la tortura tra gli atti che possono costituire un crimine contro l’umanità o un crimine di guerra (artt. 7 e 8).
Il 26 giugno è ora riconosciuto come la Giornata internazionale a sostegno delle vittime di tortura, in onore della Convenzione. Questa ricorrenza è un invito all'azione per gli Stati membri delle Nazioni Unite, la società civile e i singoli individui, affinché si uniscano a sostegno delle centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo che sono state vittime di tortura e di quelle che lo sono ancora oggi.
Meccanismi di Controllo
La Convenzione contro la tortura prevede l’istituzione del Comitato contro la tortura, composto da 10 esperti indipendenti incaricati di monitorare l’implementazione della Convenzione da parte degli Stati membri. Questi ultimi hanno l’obbligo di presentare al Comitato dei rapporti periodici sul modo in cui vengono garantiti, a livello nazionale, i diritti sanciti nella Convenzione.
La Convenzione stabilisce altri tre meccanismi per consentire al Comitato di svolgere la propria funzione di monitoraggio. Il Comitato, infatti, può: ricevere e considerare le comunicazioni individuali da parte di persone che lamentano di essere state vittime di tortura; predisporre inchieste sul campo; considerare le comunicazioni interstatali.
Il Protocollo opzionale alla Convenzione, inoltre, adottato dall’Assemblea Generale delle NU il 18 dicembre 2002 ed entrato in vigore il 22 giugno 2006, prevede l’istituzione di un Sottocomitato sulla prevenzione della tortura, con il compito di predisporre un sistema di visite regolari nei luoghi in cui le persone sono private della libertà, da svolgere in collaborazione con organismi nazionali indipendenti (in Italia il compito è affidato al Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personali), (in Italia il compito è affidato al Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personali), al fine di prevenire la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. L'Italia ha proceduto alla ratifica del Protocollo opzionale con l. 195/2012.
Si segnala, infine, che in seno alla Commissione/ Consiglio diritti umani opera, dal 1985, un Rapporteur Speciale sulla tortura, il cui mandato si estende anche a quegli Stati che non sono membri della Convenzione contro la tortura.
Diritto Internazionale Umanitario
La nascita del diritto internazionale umanitario risale a molto tempo fa. Inizialmente il diritto internazionale umanitario era perlopiù diritto consuetudinario, cioè un diritto formato da regole non scritte seguite nei conflitti armati. Il diritto applicabile nei conflitti armati rimaneva pertanto limitato sia nello spazio che nel tempo, nel senso che valeva per una battaglia o una guerra specifica.
I precursori del diritto internazionale umanitario sono Henri Dunant e Guillaume-Henri Dufour. Dunant formula un’idea di diritto internazionale umanitario in ‘’Un ricordo di Solferino’’ pubblicato nel 1862. Il generale Dufour non esita a dare sostegno all’idea di Dunant. L’idea diventa realtà quando il Governo svizzero spinto da cinque membri fondatori del CICR (Comitato Internazionale delle Croce Rossa) organizza nel 1864 una Conferenza Diplomatica a cui partecipano 16 Stati europei per l’adozione della ‘’Convenzione di Ginevra per il miglioramento delle condizioni dei feriti delle forze armate in campagna’’. Questa convenzione getta le basi dell’attuale diritto internazionale umanitario.
Non ci sono mai state guerre senza regole più o meno precise relative all’inizio, alla condotta e alla fine delle ostilità. Le prime leggi di guerra risalgono alle grandi civiltà già millenni prima della nostra era: “Io stabilisco queste leggi per evitare che il forte infierisca sul debole” (Hammurabi, re di Babilonia). Molti testi antichi, come il Mahabharata, la Bibbia ed il Corano contengono norme che invocano il rispetto per l’avversario.
Come si può già intuire dal primo paragrafo, il diritto internazionale umanitario è un insieme di regole che ha lo scopo di limitare gli effetti dei conflitti armati. E una disciplina che regola la conduzione delle ostilità e protegge le vittime dei conflitti. È doveroso a questo punto fare una distinzione con lo ius ad bellum per non incorrere in equivoci. Lo ius ad bellum regola il diritto di usare la forza, di fare la guerra.
Nel XX secolo vi è stata una marcata evoluzione del diritto che disciplina l’uso della forza armata: il Covenant delle Società delle Nazioni 1919 era stato un primo tentativo di regolare giuridicamente lo ius ad bellum, cioè il diritto di ricorrere alla forza armata, mentre con il Patto di Parigi (cd. Tutto questo purtroppo non ha impedito le atrocità della Seconda Guerra Mondiale, ma comunque è stato un passo per arrivare in un momento successivo alla massima espressione della regolazione dello ius ad bellum nella elaborazione della Carta delle Nazioni Unite del 1945. Questa ripropone il divieto dell’uso della forza armata e della minaccia della stessa nelle relazioni internazionali.
Differenze tra Diritto Internazionale Umanitario e Diritti Umani
Le persone: il diritto internazionale umanitario tutela principalmente due categorie di persone, ossia i civili, o meglio i non combattenti, e i combattenti.
- Il territorio rilevante ai fini della applicabilità: il diritto internazionale umanitario si basa sul principio della extra territorialità, cioè lo stesso si applica ovunque vi sia un conflitto armato internazionale o internazionalizzato (in maniera minore nel caso dei conflitti interni).
- Il tempo all’interno del quale il diritto rileva: mentre il diritto umanitario è applicabile solo in tempo di guerra, i Diritti Umani vanno garantiti tanto in tempo di guerra che in tempo di pace.
- Le due materie si incontrano, invece, nel fine comune: la protezione. Tanto il diritto umanitario quanto il diritto dei diritti umani hanno come scopo primario quello di tutelare i diritti fondamentali e inderogabili dell’uomo.
Il diritto internazionale umanitario ha però lo scopo di predisporre strumenti normativi adatti a far sì che anche all’interno di contesti particolari, quali i conflitti armati, ove le azioni di guerra sono necessarie, questo non comporti tuttavia un sacrificio dei diritti inviolabili dell’uomo. Il diritto internazionale umanitario detta le regole all’interno dei conflitti armati tra i combattenti; quindi, quali regole applicare nel momento in cui sia sorto il conflitto e quali regole i combattenti dovranno rispettare tra di loro, ma anche e soprattutto nei confronti dei non combattenti.
Il diritto internazionale umanitario non si preoccupa di stabilire se lo ius ad bellum sia stato correttamente esercitato in base alla normativa attuale, e cioè all’art. 2 par.
Diritto di Ginevra e Diritto dell'Aja
Talvolta si sente parlare, o comunque si legge ancora nei testi, di ‘’diritto di Ginevra’’ e di ‘’diritto dell’Aja’’. In passato, infatti, parlando di ‘’diritto di Ginevra’’ si intendeva il diritto internazionale umanitario in senso proprio, quello pensato per salvaguardare il personale militare fuori combattimento e i non combattenti (quindi la popolazione civile che non prende parte attivamente alle ostilità). Questi due ambiti, comunque, non erano totalmente separati nella loro ratio: una conseguenza del diritto dell’Aja è quella di proteggere le vittime dei conflitti, e quindi coloro che non partecipano o non partecipano più alle ostilità. D’altro canto, il diritto di Ginevra con alcune sue regole limita le azioni che i belligeranti possono compiere durante le ostilità e quindi tutela anche i combattenti stessi.
Nel 1949 la comunità internazionale risponde agli eventi tragici della Seconda Guerra Mondiale e, soprattutto, agli effetti terribili che la guerra ha avuto nei confronti dei civili, rivedendo le Convenzioni allora in vigore e adottando un nuovo strumento, la Quarta Convenzione per la protezione delle persone civili.
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