Valditara e le Classi per Stranieri: Normativa e Dibattito
A partire dall'affermazione del ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, ripresa anche dal presidente del Senato Ignazio La Russa, si è aperto negli ultimi giorni un acceso dibattito pubblico sul rischio di segregazione scolastica. Il tema non è nuovo. La discussione di oggi rischia di confondere il tema generale dei livelli di apprendimento degli studenti stranieri con quello relativo alla loro concentrazione in classi o scuole specifiche.
Va innanzitutto detto che la segregazione scolastica non riguarda solo la cittadinanza ma anche il background socio-economico degli studenti. Indicando una quota massima di studenti stranieri per classe, il ministro Valditara vuole combattere il fenomeno della segregazione scolastica su base etnica.
“Se si è d’accordo che gli stranieri si assimilano sui valori fondamentali iscritti nella Costituzione, ciò avverrà più facilmente se nelle classi la maggioranza sarà di italiani”. Secondo l’Istat nel 2022 la dispersione scolastica esplicita è stata del 9,8% per gli studenti italiani, del 30,1% per gli stranieri. Ciò ha contribuito, tra l’altro, ad aumentare il tasso complessivo di dispersione all’11,5%.
In base ai dati del ministero dell’Istruzione, nel 2022-2023 la quota complessiva di studenti con cittadinanza non italiana era del 10,9 per cento. Una quota che sale oltre il 12 per cento per le scuole dell’infanzia e le primarie e scende all’8 per cento nelle superiori. E che risente anche di un forte divario territoriale: mentre nelle regioni settentrionali la quota complessiva di stranieri è del 16 per cento (con una punta al 20 per cento in Lombardia), nel Mezzogiorno è al 4 per cento.
La circolare del 2010 identificava nel 30 per cento la soglia da rispettare per garantire una distribuzione equa degli studenti stranieri. Un valore basso per le regioni settentrionali e forse troppo alto per il Mezzogiorno.
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Una volta fotografata la situazione, resta da comprendere le cause della segregazione scolastica e valutarne le conseguenze. Quale è la causa della distribuzione diseguale? A Milano, se ci fosse perfetta corrispondenza tra territorio e scuole, la soglia del 50 per cento verrebbe superata solo in pochissimi casi. La concentrazione scolastica “eccedente” quella territoriale è quindi rilevante. E risulta determinata dalla mobilità dei bambini, le cui famiglie esercitano in misura rilevante la libertà di scelta scolastica.
Analizzando le caratteristiche delle scuole “evitate” e di quelle “scelte”, emerge chiaramente che, una volta controllati tutti i fattori possibili, si abbandonano soprattutto le scuole a composizione mista (sia per caratteristiche socio-economiche che etniche) e si scelgono quelle con una forte maggioranza di italiani e di studenti di classe media. Una scelta scolastica che esprime, dunque, la fuga da scuole ritenute “difficili “a causa della composizione eterogenea e multietnica della popolazione scolastica.
La forte concentrazione di stranieri in alcune scuole è dunque principalmente il risultato di quello che, in altro contesto storico e geografico, ma con forti analogie, è stato chiamato “white flight”.
In attesa di studi più ampi che comprendano quali sono le conseguenze per gli studenti, una conclusione è già possibile. Come farlo? Qui la strada si fa molto irta. Una strategia possibile potrebbe comportare una limitazione parziale della libertà di scelta scolastica, ad esempio ripristinando l’obbligatorietà dell’iscrizione nel bacino scolastico di residenza: è davvero una strategia realizzabile?
Lo spazio dal dire al fare è insomma molto ampio, e attraversato da idee che non considerano la realtà dei fatti. La questione è peraltro complessa e merita senz’altro riflessioni attente. I tradizionali programmi di inclusione sociale sono evidentemente essenziali, ma rischiano paradossalmente di esasperare la separazione etnica o socio-economica. A questi programmi dovrebbero aggiungersi pratiche volte a mitigare la competizione tra scuole attive nello stesso territorio, promuovendo forme di coordinamento e gestione congiunta dei flussi scolastici. Nulla di tutto ciò è quanto si discute nel paese, ahimè.
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Senza un’adeguata informazione sulla realtà attuale e una riflessione accurata su cause e conseguenze, resteremo alle dichiarazioni di principio, cui nulla di concreto seguirà.
La Posizione del Governo e le Misure Proposte
L’integrazione degli studenti immigrati a scuola ha riacceso il dibattito politico. Da un lato, maggioranza e ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, hanno richiamato la necessità di un intervento per favorire, non solo a parole, una loro reale integrazione, alla luce dei valori costituzionali e in classi dove la maggioranza di studenti è italiana. Dall’altro l’opposizione che ritiene che l’esecutivo faccia solo propaganda. Ma cosa davvero dicono i numeri? Che il sistema oggi non sta funzionando, e per i circa 900mila studenti immigrati presenti nelle scuole italiane apprendimenti e integrazione sono in netto ritardo.
In realtà, in Italia esiste già da tempo un numero limite di studenti stranieri per classe. In base a una circolare del gennaio 2010 del ministero dell’Istruzione all’epoca guidato da Mariastella Gelmini, il numero di alunni stranieri con una ridotta conoscenza della lingua italiana non deve superare il 30% degli iscritti in ogni classe e in ogni scuola, anche se poi possono esserci delle deroghe. Insomma, è una sorta di raccomandazione. E molti istituti si sono dati da fare nella loro autonomia.
Nell’anno scolastico 2021/2022, il 7,2% di tutte le scuole d’Italia aveva più del 30% di studenti stranieri, mentre le scuole con zero stranieri erano il 18%, con grandi differenze tra regioni: quella con la percentuale più alta di scuole senza studenti stranieri è la Sardegna, mentre al Nord la percentuale di classi che sfora il 30% è alta soprattutto in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. E le scuole più in affanno sono quelle di periferia, specie nelle grandi città.
Da fonte Invalsi 2023, in italiano, risulta una differenza in negativo del 21,9% per gli studenti stranieri di prima generazione, rispetto agli italiani, e del 15,3% per gli stranieri di seconda generazione. Poco più bassa è la differenza per quanto riguarda la matematica, rispettivamente -16,5% e -11,1 per cento. Gli studenti immigrati vanno meglio in inglese.
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Di fronte a questi numeri, è necessario fare qualcosa, sostiene, a ragione, il ministro Valditara. In Europa cosa succede? I modelli di integrazione si possono riassumere così: in alcuni paesi, come l’Italia, gli alunni stranieri vengono inseriti nelle classi ordinarie, in altri paesi seguono, per un certo periodo di tempo, un’offerta scolastica distinta (classi preparatorie, o anche dette di accoglienza o classi di transizione); in molti paesi viene utilizzato un combinato tale per cui gli alunni seguono lezioni nella classe ordinarie e altre nell’ambito di un’offerta separata.
Un dato è comunque certo, e comune, a tutti. Senza adeguate competenze linguistiche è di fatto impossibile realizzare una integrazione efficace e duratura. Studi Ocse, in base all’età dell’arrivo del ragazzo, indicano tempi variabili: per apprendere la lingua per la comunicazione quotidiana circa due anni, per seguire l’attività didattica con profitto si può impiegare anche fino a 5-6 anni.
L’idea del governo, e del ministro Valditara, non è quella di dividere studenti italiani e stranieri di prima generazione, assegnando questi ultimi a classi ghetto. Ogni studente immigrato verrà comunque sempre iscritto insieme con i suoi compagni italiani ad una medesima classe. Per favorire e accelerare un percorso vero di inclusione, è stato proposto un potenziamento e una personalizzazione della didattica specificamente per italiano ed eventualmente matematica.
In pratica, e nel rispetto dell’autonomia scolastica, in caso di scarsa padronanza dell’italiano da parte dello studente, gli istituti potranno optare per classi di potenziamento, per la sola durata delle lezioni di italiano, oppure svolgere attività pomeridiane di potenziamento linguistico, che dovranno essere però obbligatorie.
Il decreto - ha dichiarato il Ministro Valditara - è un passo concreto e significativo verso un sistema educativo capace di includere realmente i ragazzi stranieri, non solo a parole. Come Ministero e Governo, siamo fermamente impegnati a garantire a tutti gli studenti, indipendentemente dalla loro provenienza, uguali opportunità di successo scolastico e sociale. Per contrastare la dispersione scolastica, che tra gli studenti stranieri ha raggiunto livelli preoccupanti superiori al 30%, a fronte del 9,8% degli italiani, offriamo misure concrete e risorse adeguate. Vogliamo che questi giovani abbiano accesso a percorsi formativi mirati per acquisire una solida conoscenza della lingua italiana, che è condizione essenziale per una effettiva integrazione.
Le risorse sono destinate, previo avviso pubblico di adesione, alle scuole per percorsi formativi di potenziamento della lingua italiana per gli studenti stranieri entrati per la prima volta nel sistema scolastico, a seguito di accertamento del livello di conoscenza della lingua italiana.
Critiche e Preoccupazioni
Settimane fa il ministro Valditara aveva proposto di creare classi separate per bambini di origine straniera. Sono piuttosto preoccupata soprattutto per una reazione pubblica. Questa idea di alunno “diverso” e di alunno medio, che trapela sempre. L’alunno medio non esiste, non è in nessun manuale di pedagogia. Abbiamo una pluralità di storie, di esperienze, di situazioni familiari, di condizioni di vita così plurali che il sistema scuola di un tempo non funziona più, per i bambini di oggi in generale.
Creare un’omogeneità generale, separando gli uni dagli altri avrebbe degli effetti sociali molto gravi sul medio e lungo periodo, non solo perché non diamo la cittadinanza a questi bambini, ma perché li escludiamo all’interno di quel contesto dove sono mescolati ai loro compagni autoctoni. Questo avrà dei costi enormi, il primo dei quali sarà, direi, lasciare questo Paese. Molti trentenni e quarantenni sono andati altrove a realizzarsi anche lavorativamente. Questo sentimento forte di esclusione, di discriminazione non fa che rimarcare quello che la legge sulla cittadinanza fa: considerare stranieri in patria bambini nati e cresciuti qui. Rischiamo di perdere una generazione e rischiamo di perdere il futuro. Questi bambini sono la presenza fondamentale nelle nostre scuole, sono la possibilità di costruire insieme il futuro.
Abbiamo una grossa emergenza in Italia, che è la chiusura, di anno in anno, di scuole: stanno chiudendo migliaia di istituti scolastici. È un fenomeno che si vede molto bene nei piccoli comuni, penso a quelli montani. Ma anche nelle grandi città vediamo scuole che non riescono a formare le classi prime della scuola primaria. Nelle scuole che ancora riescono a rimanere aperte, ci sono alunni con cittadinanza straniera per la nostra normativa, ma nati in Italia da genitori stranieri, come dicevo addirittura le seconde o terze generazioni.
Quando il ministro dice «più del 20% di alunni stranieri» non distingue un aspetto fondamentale. Tra gli alunni con cittadinanza straniera, più del 60% sono nati in Italia. Quindi, sono ben diversi dalla categoria di alunni neoarrivati che hanno un’esigenza fondamentale di alfabetizzazione rispetto ai bambini e ragazzi che popolano le nostre scuole, nati qui, che sono italiani di fatto ma non di diritto. Quando parliamo di bambini stranieri abbiamo questo equivoco della cittadinanza, perché hanno una cittadinanza straniera ma sono nati e cresciuti qui, sono i nostri bambini, spesso figli di coppie miste. È importante chiarire di chi stiamo parlando.
C’è un secondo punto delicato: la concentrazione di questi pochi alunni neoarrivati in determinati territori. L’immigrazione è maggiore in alcune zone piuttosto che in altre, abbiamo più neoarrivati nelle regioni del Nord e nelle grandi città. La questione degli alunni migranti è legata alle dinamiche migratorie. Da diversi anni sappiamo che questi alunni vengono collocati in alcune scuole, all’interno di quei territori. Per esempio, a Milano abbiamo molti più alunni stranieri nelle periferie, con una concentrazione di scuole con una percentuale più alta di alunni neoarrivati.
Il fatto di appartenere spesso a classi popolari porta le famiglie ad abitare nelle case di periferia, dove c’è l’edilizia popolare. E qui ci spostiamo, quindi, sul piano urbanistico. Ci sono scuole che orientano gli alunni stranieri in una sede (magari la più periferica) piuttosto che in un’altra, all’interno dello stesso istituto comprensivo. Abbiamo classi con molto alunni stranieri, create contro le normative stesse che ci dicono che è fondamentale distribuire gli alunni in classi diverse, creare una mescolanza di alunni con storie e madrelingue diverse. Questo fenomeno della ghettizzazione purtroppo rende visibile in alcuni contesti questa presenza maggiore.
«Non ci può essere valorizzazione delle diversità senza riconoscimento dei diritti e senza piena consapevolezza delle disuguaglianze. Nella formazione degli insegnanti questo tema non c’è. Noi abbiamo un principio costituzionale, è unico, un articolo dedicato alla scuola, il 34, che inizia con «La scuola è aperta a tutti» che sancisce l’importanza di fare a scuola un laboratorio di incontro tra bambini con scuole diverse. I nostri padri e madri costituenti hanno lasciato alla scuola questo compito: far vivere contesti plurali, dove i bambini diversi possano incontrarsi.
Il grosso limite che vedo nella comunicazione pubblica del Ministero è il fatto di concentrarsi tanto su target di alunni. Abbiamo gli alunni stranieri, con bisogni educativi speciali, con disabilità. Non possiamo lamentarci della composizione degli alunni delle nostre scuole. Il focus deve essere ricentrato, dicevo sugli insegnanti, su tutti gli insegnanti.
Perché vedo criticamente questa proposta del ministro? A una didattica capace di considerare le diverse lingue madri, i diversi stili di apprendimento, i diversi ritmi di apprendimento che caratterizzano le nostre classi. Riguarda il reclutamento degli insegnanti. La scuola è l’unico contesto professionale in cui chiunque può candidarsi con la “messa a disposizione”. Abbiamo un problema (i dati di questi giorni ci dicono che Milano rischia di avere 5.600 insegnanti di ruolo in meno), la questione è reclutarli, ma anche reclutarli con delle competenze e, ancora di più, formarli rispetto a queste competenze. Tra queste competenze c’è anche la questione di gestire classi plurilingue ed eterogenee. Se noi forniamo docenti così, non abbiamo più bisogno di creare lo specialista.
Le operazioni come questa annunciata da Valditara, le vedo come delle operazioni per provare a tamponare delle problematiche, non vedendo che bisognerebbe fare una riforma più strutturale, che rivaluti la figura esperta dell’insegnante formato attraverso formazione continua e capace di essere valorizzato. L’insegnante è un mestiere importante per la società e pregno di conseguenze, per quello che può fare per la società e non solo per i singoli alunni.
L’ultima dichiarazione del ministro Valditara è sconcertante, più di quanto non lo siano state tutte quelle che abbiamo dovuto sentire fino ad oggi: gli alunni stranieri dovrebbero stare in classi separate! Questa affermazione è in aperto contrasto con le stesse linee guida sull’intercultura e l’inclusione del Ministero che Valditara dovrebbe dirigere, ma anche con qualsiasi principio di pedagogia interculturale e glottodidattica: la lingua seconda si impara meglio immersi in un contesto in cui essa è parlata, quindi in una classe in cui si parla italiano, che in una in cui si parlano molte lingue diverse e non esiste una comune lingua veicolare.
Un’affermazione del genere riporta indietro la scuola di quasi cinquant’anni, prima che la legge 517/77 affermasse con chiarezza che qualsiasi studentessa o studente con difficoltà deve stare in aula con i suoi compagni (allora si parlava di disabilità, ma il principio è lo stesso). Ci riporta alle classi e alle scuole speciali, un modello che la scuola italiana ha messo nel cassetto decenni fa, costruendone uno molto più avanzato, che tutti i paesi occidentali in qualche modo ci invidiano. Il modello italiano di inclusione degli studenti non italofoni, come di qualsiasi studente con difficoltà, è un modello che da sempre punta all’inclusione, allo scambio, all’accoglienza, anche in aperto contrasto con la legislazione nazionale sui migranti adulti.
Sicuramente non è in alcun modo un modello assimilazionista, che mira a “far diventare italiani” ragazzi che hanno necessariamente e giustamente una doppia appartenenza. È un modello che vede nella diversità una ricchezza, non un problema.
Sappiamo benissimo che poi nella realtà dei fatti le scuole, il più delle volte, non riescono a seguire in modo efficace questo modello: per i pochi fondi stanziati per insegnare l’italiano, per le poche risorse umane disponibili, per l’assenza di compresenze, per la carenza di docenti specializzati e per il non impiego di quelli abilitati a insegnare l’italiano come lingua seconda, ma anche per l’intrinseco classismo che caratterizza la scuola pubblica italiana.
Nei fatti, includiamo verso il basso, le studentesse e gli studenti di origine straniera o non italofoni faticano ad accedere alle migliori scuole, scelgono i professionali più dei licei, affollano le classi della formazione professionale regionale, dove si forma la classe operaia del nostro Paese. Questo perché la questione migratoria è questione di classe: accogliamo braccia, non esseri umani, persone da sfruttare e sottopagare, non uomini e donne. Questa “integrazione verso il basso” è una processo contro cui USB e OSA si battono da sempre e contro cui continueremo a batterci, ma è fenomeno ben diverso da una presa di posizione politica, conservatrice e reazionaria, che vorrebbe negare alle studentesse e agli studenti stranieri la possibilità di condividere il percorso di studi con i propri compagni e di essere inclusi a pieno titolo nella nostra società.
Il ministro dimostra ancora una volta la sua totale inadeguatezza, come tutto questo governo. Un governo e un ministro razzista, classista, in completa contraddizione con ogni principio educativo.
«Il provvedimento approvato oggi dal Consiglio dei Ministri su nostra proposta - dichiara il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara - rappresenta una pietra miliare nella politica del governo per una vera eguaglianza di tutti gli studenti. Per gli stranieri il nostro obiettivo è consentire a ciascuno di avere una adeguata conoscenza della lingua italiana, primo, fondamentale passo per una reale inclusione. Nelle classi dove gli studenti di origini straniere, e che abbiano importanti carenze nella conoscenza della lingua, siano uguali o superiori al 20%, dal 2025 arriverà un docente adeguatamente formato che affiancherà con lezioni di potenziamento il lavoro di classe.
Il decreto - prosegue il Ministro - costituisce, al tempo stesso, un passaggio di tutto rilievo per una più efficiente impostazione dell’attività di sostegno didattico degli studenti con disabilità. Puntiamo ad ampliare l'organico dei docenti di sostegno specializzati e, insieme, a garantire la continuità didattica ai ragazzi anche nel caso di docenti non di ruolo. Si tratta della prima azione, assunta nel nostro sistema di istruzione, che prevede interventi mirati a beneficio della reale integrazione degli alunni stranieri, attraverso attività di potenziamento concretamente messe a disposizione delle scuole.
Le misure sono rivolte, infatti, a quegli alunni stranieri che, soprattutto se neoarrivati in Italia, non possiedono un adeguato livello di conoscenza della lingua italiana come lingua di comunicazione e (conseguentemente) di studio, e che mantengono gravi deficit di conoscenza della lingua nel percorso successivo. Basti pensare che il tasso di dispersione scolastica per questi studenti stranieri si attesta, infatti, a oltre il 30% a fronte di una dispersione degli studenti italiani pari ad appena il 9,8%.
Per far fronte alla cronica carenza di docenti specializzati sul sostegno, si interviene introducendo, in aggiunta all’offerta formativa delle università, una nuova offerta formativa di specializzazione sul sostegno, erogata da INDIRE (ente pubblico di ricerca già deputato alla formazione del personale della scuola), rivolta ai docenti “precari”, che da anni già svolgono questo ruolo, per quanto privi di specializzazione. Nell’ambito di questa misura si interviene anche al fine di favorire la risoluzione del contenzioso collegato al mancato riconoscimento dei titoli di specializzazione sul sostegno conseguiti all’estero.
Al fine di garantire la continuità dei docenti a tempo determinato su posto di sostegno, si prevede la possibilità, su richiesta della famiglia dell’alunno con disabilità, di ottenere la conferma del docente in servizio nel precedente anno scolastico, previa valutazione da parte del dirigente scolastico e nell’interesse del discente.
Viene finalmente introdotto un nuovo modello di valutazione per i dirigenti scolastici in grado di misurare la loro attività sulla base di parametri di merito. L’intervento si inserisce nel solco di una stagione di importante valorizzazione, anche economica, del ruolo di dirigente scolastico, al quale corrisponde un conseguente adeguamento dei relativi sistemi di valutazione, secondo i modelli più virtuosi indicati per tutto il comparto pubblico.
Con la disposizione proposta si garantisce un’oggettiva e trasparente valutazione delle performance individuali sulla base di obiettivi definiti e misurabili, consentendo il riconoscimento della retribuzione di risultato in base al raggiungimento degli obiettivi assegnati.
Tabella: Dispersione Scolastica in Italia (2022)
Gruppo | Dispersione Scolastica |
---|---|
Studenti Italiani | 9.8% |
Studenti Stranieri | 30.1% |
Tasso Complessivo | 11.5% |
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