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Vincenzo Stranieri: Cronaca di una figura controversa tra Francavilla Fontana e Manduria

Il nome di Vincenzo Stranieri, noto anche come "Stellina", continua a emergere nelle cronache locali, legato a vicende giudiziarie e criminali che hanno interessato la regione pugliese. Questo articolo ripercorre alcuni degli eventi più recenti che lo riguardano, offrendo un quadro della sua situazione attuale e del contesto in cui opera.

Vicende giudiziarie e arresti

Recentemente, Stranieri è stato coinvolto in un episodio a Porto Cesareo. Da un sinistro stradale, per fortuna senza feriti, è scaturito un arresto in flagranza di reato. Due le auto coinvolte, con indagini in corso per accertare la presenza di una terza vettura. I carabinieri hanno perquisito Stranieri e il veicolo, trovando un piede di porco e un coltello. L'auto, priva di assicurazione e revisione, è stata posta sotto sequestro amministrativo dalla polizia locale.

In un altro episodio, Stranieri è stato arrestato lo scorso 22 agosto a Porto Cesareo a seguito di un incidente stradale. Per lui, solo violazione degli obblighi di sorveglianza speciale cui era sottoposto e non già anche detenzione di arma e arnesi da scasso (ritrovati in macchina dai carabinieri nel corso dei rilievi). Stranieri era sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a Manduria dallo scorso 2 marzo.

Quel giorno d’estate causò un sinistro nella nota località marina del Leccese mentre era alla guida di un’auto che si scoprì avere il numero di telaio cancellato. Al giudice Angelo Zizzari raccontò di aver violato la misura per errore: avrebbe dovuto incontrare una donna a Torre Colimena (Manduria) e nel seguirla avrebbe sconfinato fuori dal territorio di residenza (località Conti Veteri, il luogo dell’incidente dove la sua Alfa Romeo 159 collise con una Nissa Qashqai).

La salute precaria e le richieste di trasferimento

Nonostante un cancro e una perizia medica che ne attesta la necessità di ricovero in una struttura consona, il Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila ha stabilito che Vincenzo Stranieri può restare nel carcere di Opera (Milano), dove si trova da 33 anni, 25 dei quali trascorsi in regime di 41-bis. Il rigetto dell’istanza di sospensione della misura di sicurezza della “casa lavoro” è stato firmato il 25 maggio scorso.

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Stranieri è stato sottoposto a due delicati interventi chirurgici per l’asportazione delle corde vocali e di parte della laringe. Oggi, non può deglutire né parlare, respira grazie a un foro nella trachea e si alimenta da un tubo in plastica che collega l’addome e lo stomaco. Ha perso circa 20 chili e a stento riesce a stare in piedi. Di qui la richiesta dei mesi scorsi che gli fosse garantito almeno un percorso riabilitativo più umano, fuori dalla casa di reclusione milanese.

L’oncologo incaricato dal Tribunale di Sorveglianza di valutare il caso, Sergio Cupillari, aveva concluso così: «Il controllo oncologico della malattia va effettuato mediante controlli sistemici presso strutture adeguate». Ed era anche stata trovato un centro a Palazzolo (Milano), gestito dalla Fondazione Don Gnocchi, disposto ad accogliere il paziente.

Ed è così che Anna, 39enne figlia di Vincenzo, ha da quattro giorni deciso d’intraprendere lo sciopero della fame. Anna non ci sta e dall’esterno si batte per i diritti umani del padre: «Non è possibile - sbotta - dover sopportare anche la farsa della perizia, se poi se ne ignora l’esito: a cosa sarebbe servita? Solo a far spendere inutilmente soldi ai cittadini?

Il ruolo nelle dinamiche criminali locali

Vincenzo Stranieri, oggi 63 anni, alias «Stellina», appare nelle carte come identificativo di un gruppo criminale che di volta in volta sembra rinascere. Anche nel periodo del suo lunghissimo e duro isolamento del 41 bis che lo ha tenuto lontano dal mondo per trent’anni e dove ha contratto delle malattie che non si sanano, il nome, «Stellina», spuntava ostinatamente nelle inchieste dell’antimafia leccese. Che questa volta e dopo tantissimi anni, torna ad indagarlo in merito ad un brutto fatto di sangue in cui è indiziato il nipote che porta il suo nome, Vincenzo Antonio D’Amicis.

Con lui la notte tra il 22 e 23 febbraio scorso, raccontano le carte della Procura della Repubblica di Lecce, «Stellina» sarebbe andato a rubare la macchina del giovane Rom, Natale Naser Bahtijari e a minacciare «con metodo mafioso» le due ragazze che erano a bordo ed erano in attesa che tornasse il loro amico che non tornerà più.Nell’informazione di garanzia che lo indica come indiziato del reato di rapina e minaccia con metodo mafioso, non è dato sapere se fosse al corrente di quanto era accaduto prima. Né per quale scopo lui e il nipote avrebbero rubato la Fiat 500 del Rom per poi lasciarla abbandonata e intatta nel vicino comune di Maruggio.

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La versione degli inquirenti, su come si sarebbero svolti i fatti limitatamente alla rapina dell’auto, racconta di atteggiamenti violenti nei confronti delle due donne (una delle quali è la fidanzata del fratello della vittima che nella stessa inchiesta è indagato a piede libero per reati di droga).La scena si sarebbe svolta nella centralissima Piazza Vittorio Emanuele dove Naser Bahtijari aveva parcheggiato per incontrarsi con i tre indagati. Temporalmente siamo a quando il delitto è stato già compiuto e i due ventiduenni indagati, Simone Dinoi e Domenico Palma D’Oria, si stanno procurando la benzina con la quale avrebbero dovuto bruciare i corpo della vittima che non troveranno.

Nonno e nipote si sarebbero avvicinati alla macchina e con violenza avrebbero aperto le portiere intimando alle donne di scendere. Il più anziano, per vincere la resistenza di chi occupava la macchina ed evidentemente non aveva intenzione di accettare l’invito, avrebbe pronunciato questa frase «scendete dalla macchina o vi sparo in testa». Avrebbe poi strattonato e afferrato per i capelli una delle due donne che si attardava a raccogliere oggetti e effetti personali che i due aggressori non le avrebbero dato il tempo di prendere.

Ottenuto ciò che volevano, i due manduriani, il nipote alla guida e il nonno nel posto passeggeri, si sarebbero allontanati lasciando le due donne stupite sul marciapiede. La Fiat 500 avrebbe poi preso una direzione praticamente opposta a quella dove in quel momento gli altri due presunti complici stavano cercando il corpo da bruciare. La misteriosa destinazione di quello viaggio è Maruggio dove tre giorni dopo la macchina viene trovata dai carabinieri che la consegnano alla polizia, titolare dell’inchiesta.

Per la cronaca, Vincenzo Stranieri ha lasciato il carcere a gennaio del 2022 dopo aver trascorso 38 anni consecutivi in carcere di cui 30 in regime di carcere duro. In tanti anni di isolamento, il boss di Manduria che è stato il numero due della sacra corona unita del mesagnese Pino Rogoli, non ha mai avuto condanne per omicidio neanche come mandante.

L'operazione "Giano" e le condanne

Si è conclusa in via definitiva con la riduzione della pena stabilita dalla Corte d’Appello di Taranto, sezione distaccata di Lecce, la lunga vicenda processuale a carico dell’ex boss manduriano della sacra corona unita, Vincenzo Stranieri, detto stellina, già braccio destro di Pino Rogoli, il mesagnese con il quale ha contribuito a fondare la sacra corona unita, di sua moglie Paola Malorgio e del cognato Giovanni Malorgio, fratello di Paola. La suprema corte che si è espressa respingendo il ricorso presentato dalla procura generale di Lecce, ha confermato la pena prevista nella sentenza di secondo grado che assegnava tre anni di reclusione per i due coniugi e due per il parente.

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I tre manduriani erano finiti in carcere il 14 febbraio del 2012 nell’operazione dell’antimafia di Lecce intitolata «Giano» che contestata loro gravi reati tra cui quello associativo mafioso. Contestazioni man mano cadute sino ad arrivare all’attuale pena, tutto sommato mite, divenuta inappellabile. All’alba di quel 14 febbraio di sei anni fa nei comuni di Manduria e di Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi, agenti della Squadra mobile della Questura di Taranto con poliziotti del commissariato di Manduria, eseguirono 18 ordinanze di custodia cautelare, di cui 16 in carcere e 2 agli arresti domiciliari. I reati contestati erano quelli di associazione a delinquere di stampo mafioso relativo al possesso di armi ed esplosivi, attentati dinamitardi, tentato omicidio, rapina, estorsioni, traffico di sostanze stupefacenti e spari in luogo pubblico.

Comincerà il prossimo 15 marzo dinanzi alla II Sezione Penale del Tribunale di Taranto, il processo a carico di 11 imputati coinvolti nell’operazione ‘Giano’. Il Giudice per le Udienze Preliminari di Lecce, Carlo Cazzella, che nella precedente udienza ha stralciato la posizione di Antonio Pescatore, ingegnere comunale di Manduria, rinviando le carte alla Procura Ordinaria di Taranto, ha prosciolto l’imputato Pietro Micelli e rinviato a giudizio 11 persone finite nella bufera giudiziaria per presunti affari sporchi gestiti a Manduria.

L’operazione di Polizia del febbraio 2012 aveva portato all’arresto di 18 persone - 15 in carcere e 3 ai domiciliari - accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsioni, rapine, tentato omicidio e spaccio di droga. La stessa operazione che ha aperto poi le porte ai Commissari del Ministero dell’Interno che hanno sottoposto il Comune di Manduria ad accertamento antimafia il cui esito - scioglimento per infiltrazione mafiosa - dovrebbe arrivare a giorni da Roma.

L’inchiesta riguarda il presunto clan capeggiato da Vincenzo Stranieri, 51enne di Manduria, ex capozona per Taranto della Sacra Corona Unita, detenuto da 27 anni, 20 dei quali in regime di carcere duro. Il ‘boss’, secondo gli investigatori, avrebbe continuato a gestire dal Penitenziario di Spoleto, dove si trova in regime di isolamento del 41 bis, le attività illecite insieme ad altri esponenti della malavita organizzata a lui affiliati o appartenenti ad altri gruppi emergenti. Nel sodalizio, sostiene la pubblica accusa, ci sarebbe anche la moglie e il genero di ‘Stellina’, così chiamato per il tatuaggio sulla fronte.

Gli imputati, secondo l’accusa, erano dediti alla detenzione illegale di armi e materiale esplodente, agli attentati dinamitardi e alle sparatorie, al controllo di attività imprenditoriali, come la gestione delle aree di parcheggio di Manduria estorcendo denaro all’impresa ‘Global Work’, e dei parcheggi a pagamento nell’area della Fiera Pessima e al racket.

Il coinvolgimento dei familiari

Ci sono anche il nipote e il genero di due personaggi di spicco della Sacra corona unita fra le 23 persone arrestate dalla Polizia in un'operazione antidroga compiuta nel versante orientale della provincia di Taranto, con diramazioni nel Salento. Si tratta di Mauro Bembi, di 28 anni, nato a Francavilla Fontana (Brindisi) e residente a Sava (Taranto), nipote di Bruno Bembi, pregiudicato di Oria (Brindisi) ed elemento noto nella Scu, e Alessandro D'Amicis, di 27, di Cisternino (Brindisi) ma residente a Manduria (Taranto), genero del boss manduriano della Scu Vincenzo Stranieri, attualmente in carcere e sottoposto al regime del '41 bis'.

Delle 23 persone arrestate su ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Taranto Giuseppe Tommasino e richiesta dal pm Matteo Di Giorgio, 17 sono state trasferite in carcere mentre una ha beneficiato degli arresti domiciliari; a cinque indagati l'ordinanza è stata notificata in carcere perchè già detenuti. Resta latitante un uomo che avrebbe svolto il ruolo di fornitore di eroina e cocaina sull'asse brindisino Torre Santa Susanna-Oria. Gli arrestati sono accusati a vario titolo di concorso in traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.

Tra i destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Antonia Martalò su richiesta del pm Alessio Coccioli, ci sono oltre a Stranieri la moglie, Paola Malorgio, il genero Alessandro D’Amicis, il cognato Giovanni Malorgio, il figlio di quest’ultimo, Nazareno, Pietro Tondo, Vito Mazza e Giovanni Caniglia.

Gli affari illeciti e le estorsioni

Fiumi di droga. E non solo. La lunga mano del clan anche sulle strisce blu. Comuni, ospedali, fiere: la gestione dei parcometri era affare loro. Ed un affare d’oro, sul quale gli inquirenti del Commissariato di Manduria pare avessero iniziato ad indagare a fondo. Tanto a fondo che l’organizzazione aveva persino ordito un attentato dinamitardo ai danni di un poliziotto ritenuto troppo zelante per i gusti del sodalizio: l’auto dell’agente fu data alle fiamme.

Partendo proprio da quell’episodio gli investigatori hanno fatto piena luce sugli interessi del gruppo criminale, tirando in ballo in prima persona il boss numero uno di Manduria: Vincenzo Stranieri. Tutt’altro che estraneo, per la Dda, all’attività dei suoi adepti. Il blitz è scattato alle prime luci dell’alba di oggi, nei Comuni di Manduria e Francavilla Fontana. I provvedimenti, emanati dalla Dda della Procura di Lecce, hanno colpito al cuore la compagine delinquenziale facente riferimento al boss Vincenzo Stranieri, noto esponente di spicco della “Sacra Corona Unita”, attualmente detenuto in regime di 41 bis.

L’organizzazione dedita allo spaccio di droga sarebbe stata gestita dall’ex latitante Cataldo Cagnazzo. Si parla di “vendita, cessione, distribuzione, commercio, acquisto, ricezione e comunque illecita detenzione di imprecisati quantitativi” di cocaina, di 120 grammi tra hashish e marijuana, acquistati da fornitori di Brindisi da Ivan Cavallo, da Alessandro Rizzo e Federico Russo, su commissione di Cagnazzo, e trasportate a Lizzano per essere smistare a terzi.

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