Vincenzo Stranieri: Una Vita tra Criminalità e Carcere
Vincenzo Stranieri è noto per essere stato il numero due della Sacra Corona Unita (SCU) pugliese. La sua storia è quella di un uomo che ha trascorso gran parte della sua vita adulta dietro le sbarre.
La Storia di un Boss
Nazareno Dinoi, nel libro "Dentro una vita", racconta i diciotto anni di "carcere duro" vissuti da Vincenzo Stranieri. La narrazione descrive le privazioni, gli abusi, e le violenze psicologiche e fisiche subite da Stranieri durante la sua detenzione.
Il libro traccia il percorso di Stranieri, da bullo di paese a boss criminale, coinvolto in rapine, sequestri e riti di affiliazione.
Dal 1984, Stranieri è in carcere. Dal 1992 è sottoposto al regime del 41 bis, riservato a chi è accusato di reati di criminalità organizzata.
La Detenzione e il Futuro Incerto
Nonostante non sia stato condannato all'ergastolo e non abbia commesso omicidi, il futuro di Stranieri rimane incerto. Non si sa se e quando tornerà libero.
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L'ex boss, ormai cinquantenne, si trova sull'orlo della pazzia. Pur non essendo un "pentito", riconosce i suoi errori e afferma: "Se mi si darà una possibilità d'inserimento, dimostrerò che sono cambiato".
La Sacra Corona Unita: Nascita e Evoluzione
La Sacra Corona Unita fu fondata nel carcere di Bari nel maggio 1983 da Giuseppe Rogoli. Rogoli, detentore della dote di ‘diritto’, individuò un responsabile per ogni provincia.
Nella primavera-estate del 1988, i rapporti tra Antonio Dodaro e i suoi collaboratori si deteriorarono a causa di comportamenti scorretti. Questo episodio segnò un punto di svolta nella storia della SCU.
La sentenza del secondo maxi processo alla SCU, emessa dalla Corte d’Assise di Lecce il 13 febbraio 1997, sintetizza l'evoluzione successiva: “Dopo la morte di Tonino Dodaro nel dicembre del 1988…gli aderenti alla frangia leccese della Sacra Corona Unita lentamente ma sempre più nettamente iniziarono a dividersi in due gruppi.
I contrasti furono causati dalla necessità di individuare colui che avrebbe dovuto sostituire il capo oramai ucciso e finirono quindi per provocare la formazione di due schieramenti: in uno si collocarono la gran parte degli associati che ritennero di poter fare riferimento a Giovanni De Tommasi ed ai fedelissimi di quest’ultimo (Cosimo Cirfeta, Maurizio Cagnazzo, Alessandro Macchia, Claudio Conte e Antonio Pulli); nell’altro si posero quegli affiliati che facevano capo a Mario Tornese.
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Un gruppo, quello dei Tornese, è sempre riuscito a rigenerarsi e a restare attivo, nonostante la repressione attuata dalla Magistratura e dalle Forze dell’Ordine. Nel luglio del 2018 era stato al centro dell’operazione di polizia giudiziaria condotta dai Carabinieri del ROS denominata Labirinto.
A distanza di poco più di un anno, il 17 settembre 2019, i ROS hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP Cinzia Vergine nei confronti di 22 esponenti del clan Tornese. Al centro delle indagini la figura di Fernando Nocera.
Nocera, originario di Cerignola, si affiliò alla frangia leccese della Sacra Corona Unita, capeggiata dai fratelli Tornese di Monteroni. Dopo aver scontato una condanna a 11 anni e 4 mesi, tornò in libertà nel 2008 e divenne “quale referente criminale del clan Tornese per la zona di Carmiano”.
Le indagini, protrattesi tra il novembre 2017 e il luglio 2018, hanno rivelato l’esistenza di un’associazione mafiosa capeggiata da Nocera e di un’associazione parallela dedita al traffico di stupefacenti, principale fonte di guadagno della prima. La mafiosità dell’associazione emergeva dalla sua struttura gerarchica, con Nocera al vertice.
Al momento dell’esecuzione dell’ordinanza, Nocera era già in carcere perché detenuto dal 18 gennaio 2018, accusato dell’approvvigionamento di oltre 40 kg di hashish. Le conversazioni intercettate rivelarono un riassetto all’interno del gruppo, con i fratelli Matteo e Davide Conversano e Gabriele Pellè che assumevano la direzione delle attività delittuose, sotto la guida di Nocera dal carcere.
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Anche la moglie di Nocera, Livia Comelli, e l’amante Giuliana Cuna, rivestivano ruoli importanti all’interno del clan. Livia Comelli fungeva da “cinghia di trasmissione delle informazioni e delle direttive organizzative del marito all’esterno”, mantenendo i contatti con “i monteronesi”.
Struttura della Sacra Corona Unita
La SCU è strutturata come la ‘ndrangheta. Il primo grado è il picciotto, quindi viene il camorrista, e poi gli sgarristi, santisti, evangelisti, trequartisti, medaglioni e medaglioni con catena. Otto medaglioni con catena compongono il vertice che comanda la squadra della morte.
La Scu si sviluppa velocemente. Fa proseliti soprattutto tra tanti giovani mesagnesi senza lavoro e un po’ scapestrati. Rogoli dal carcere tiene le fila dei suoi ragazzi. Ma ampliandosi cominciano a sorgere i problemi.
Antonio Antonica, giovane mesagnese, che è il primo affiliato a Rogoli, riceve dal suo capo la mansione di reggente. Quando rifiuta di trafficare con la droga Rogoli lo fa ammazzare. Per eliminarlo sono necessari bel due tentativi. Nel primo i sicari, che lo hanno atteso mentre rincasa, riescono solo a ferirlo.
Da questo momento è una scia di sangue. Lo scontro intestino è terribile. Nel 1990 nel Brindisino si contano oltre 50 omicidi e con gli assassinii arrivano anche i primi pentiti e i primi arresti. Nasce la Sacra corona libera con i nuovi arrivati: Antonio Vitale, Massimo Pasimeni, Massimo D’Amico.
Un breve periodo di tranquillità nella quarta mafia che viene interrotta dal pentimento di D’Amico. Sulle ceneri di questa Scu si inserisce il breve periodo di Giuseppe Leo, un odontotecnico mesagnese, di una ferocia inaudita. Dopo avere ammazzato l’ultimo dei suoi avversari interni, viene denunciato da uno degli uomini dell’ucciso.
A questo punto le redini tornano in mano a Massimo Pasimeni e ad Antonio Vitali. Al quale si aggiungono gli emergenti Ercole Penna, marito della nipote della moglie di Rogoli, e Daniele Vicentino, entrambi mesagnesi.
Questo nuovo vertice deve fare i conti con quella scheggia impazzita che sono il brindisino Vito Di Emidio e i suoi uomini. Condannato all’ergastolo Di Emidio si dà alla latitanza. Penna e vicentino danno una nuova veste alla Scu. Niente più affiliazioni e investimenti nelle attività illecite. La nuova Scu si appoggia su tanti imprenditori insospettabili e investe attraverso loro.
Propugna la pace sociale e il consenso tra la popolazione. Penna mantiene basso il profilo e riesce anche a vincere la resistenza di Vicentino che vorrebbe attuare una strategia della tensione. Il 29 settembre del 2010 Penna viene arrestato assieme a tanti altri. Sfugge Vicentino ma sarà catturato dopo qualche mese.
Il post Penna è ricco di collaboratori di giustizia. Si pentono in tanti. Accusano capi, gregari e anche i loro parenti più stretti, consentendo alla giustizia di entrare in meandri della criminalità molto difficili da individuare. Giuseppe “Gabibbo” Gravina falcidia la sua famiglia con chiamate di correità.
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