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Viaggiare con Permesso di Soggiorno per Protezione Speciale

Il permesso di soggiorno per protezione speciale è un titolo che può essere concesso dalla Commissione Territoriale al richiedente asilo che, pur non avendo diritto alla protezione internazionale, potrebbe subire persecuzioni o tortura o trattamenti inumani e degradanti nel caso di ritorno nel Paese di origine. Il permesso di soggiorno per protezione speciale può essere riconosciuto anche in altre circostanze nelle quali il richiedente asilo, se rimpatriato, potrebbe subire la violazione di diritti costituzionali o internazionali vincolanti per lo Stato italiano.

Il permesso di soggiorno per protezione speciale è stato introdotto dalla legge 132/2018 e i presupposti per il suo rilascio erano stati poi ampliati dal Dl 130/2020, convertito nella legge 173/2022 che aveva riformulato l’art. 19 TUI.

Il DL 20/23 (CD Decreto Cutro), convertito con modifiche nella legge n. 50/23 ha di fatto eliminato le modifiche apportate nel 2020 all’articolo 19, restringendone nuovamente le ipotesi di divieto di espulsione e, conseguentemente, le possibilità di rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale.

Chi ha diritto al permesso di soggiorno per protezione speciale?

Il permesso di soggiorno per “protezione speciale” è regolato innanzitutto dall’art.32, comma 3, D.Lgs. 28 gennaio 2008 n.25 che ne prevede il rilascio nei casi in cui la Commissione Territoriale non riconosca al cittadino straniero richiedente asilo né lo status di rifugiato né la protezione sussidiaria, ma ritiene ricorrano i presupposti di cui all'articolo 19, commi 1 e 1.1, del Testo Unico Immigrazione (casi di divieto di respingimento).

Quali sono i presupposti che giustificano il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale?

Il permesso per protezione speciale è rilasciato dal Questore, nel caso in cui ricorrano le condizioni previste dai punti 1 e 1.1. del primo comma dell’art. 19 TUI. Parallelamente vengono protette tutte le situazioni in cui esistano fondati motivi di ritenere che lo straniero, in caso di espulsione, rischi di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti e quelle in cui ricorrano gli obblighi di cui all’articolo 5, comma 6 del Testo Unico Immigrazione (ovvero il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano).

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Nella valutazione di tali motivi la norma prevede che si tenga conto anche dell’esistenza, nello Stato in cui lo straniero sarebbe espulso, di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani.

Prima della modifica introdotta con la legge n. 50/23 l’ articolo 19, così come modificato nel 2020, escludeva anche la possibilità di allontanamento dello straniero dal territorio nazionale, qualora ciò comportasse una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare. In particolare, la norma richiedeva che l’amministrazione, nel valutare la possibile espulsione di uno straniero irregolare, tenesse in ogni caso conto dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il Paese di origine.

Si tratta di un principio che in sede giurisprudenziale (Cass civ, sez.VI, ord. n.7861 del 2022 e S.U. sent. n. 24413/21) era stato ricollegato all’articolo 8 CEDU, il quale riconosce ad ogni persona il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare.

È possibile richiedere un permesso di soggiorno per protezione speciale senza aver presentato domanda di protezione internazionale?

Dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 50/23 tale possibilità sembra essere venuta meno, essendo stata eliminata la possibilità per il questore di rilasciare un permesso di soggiorno per protezione speciale quando sia stata presentata la domanda per un'altra tipologia di permesso di soggiorno. Prima della modifica ad opera della legge 50/23 la disciplina era invece diversa.

Come chiarito dalla Commissione Nazionale sul diritto di asilo con la circolare del 19 luglio 2021, il permesso per protezione speciale poteva essere ottenuto dallo straniero in esito a due diversi procedimenti. Il primo coincidente con quello delineato dall’art. 32 coma 3 del d.lgs. 25/2008: la Commissione territoriale, nell’ambito del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale, laddove non ne ravvisi i presupposti, ma accerti l’esistenza delle condizioni di cui ai commi 1 e 1.1. dell’articolo 19 d.lgs. 286/98, dispone la trasmissione degli atti al Questore per il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale.

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Il secondo poteva invece prendere le mosse da una domanda dello straniero che poteva rivolgersi direttamente al Questore per ottenere il permesso, che poteva essere rilasciato previa acquisizione del parere della commissione territoriale sull’esistenza delle condizioni di cui ai commi 1 e 1.1. dell’art. 19 TUI.

Il permesso per protezione speciale era in ogni caso lo stesso ed era sempre rilasciato dal Questore, sulla base dei medesimi presupposti e cioè nel caso in cui ricorrano le condizioni previste dai punti 1 e 1.1. del primo comma dell’art. 19 TUI. Tale accertamento poteva però essere effettuato sia a monte dalla Commissione territoriale per la protezione internazionale che dispone l’inoltro della documentazione al Questore perché provveda al rilascio del permesso per protezione speciale oppure poteva essere richiesto alla medesima Commissione dal Questore cui fosse stata presentata domanda di rilascio del titolo direttamente dallo straniero.

Come verranno valutate le domande di protezione speciale presentate prima dell’11 marzo 2023?

La legge n. 50/23 ha previsto una disposizione transitoria per le domande di protezione speciale presentate prima dell’11 marzo 2023.

Infine, sempre con una disposizione transitoria, è stato disposto che i permessi già rilasciati sulla base dei requisiti abrogati (ovvero quelli rilasciati perché ritenuto fondato il rischio, in caso di espulsione, di una violazione del diritto alla vita privata e familiare) possano essere rinnovati per una sola volta e con durata annuale, a decorrere dalla data di scadenza.

Quale è la durata del permesso di soggiorno per protezione speciale? È possibile lavorare con un permesso di soggiorno rilasciato per protezione speciale? E' possibile convertirlo in un permesso per motivi di lavoro?

Il permesso di soggiorno per protezione speciale consente di svolgere attività lavorativa, sia in forma subordinata che autonoma, ma a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 50/23 non è più convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

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l Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, su parere dell’Avvocatura di Stato, ha tuttavia chiarito che in alcuni casi, tale facoltà di conversione è ancora possibile. Tale possibilità vale per tutti i permessi di soggiorno rilasciati per protezione speciale, indipendentemente dalla procedura attraverso la quale sono stati rilasciati.

Vale quindi sia per i permessi rilasciati ai sensi dell’art. 19 TUI (compresi quelli rilasciati per la tutela della vita privata e familiare), sia per quelli rilasciati su richiesta della Commissione Territoriale, ai sensi dell’art. 32, comma 3, d.lgs. n. 25/2008.

Sono infine convertibili anche i permessi di soggiorno per protezione speciale rilasciati dopo il 5 maggio 2023 a seguito di un provvedimento del giudice che abbia dichiarato illegittimo il diniego della amministrazione di concedere la protezione speciale richiesta dal cittadino straniero prima del 5 maggio 2023 (Circolare Min. Interno, Dipartimento P.S. del 29 maggio 2024, n. 436).

Ricevuta della protezione speciale

Il Decreto Sicurezza, convertito in Legge n. 132/2018, ha abrogato il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il Decreto Lamorgese n. 130/2020, ha introdotto all’art. 19 TUI, la protezione speciale, la quale può essere riconosciuta solo se sussistono determinati presupposti.

L’art. 19, nella sua nuova formulazione, prevede due procedure per il riconoscimento della protezione speciale: quella per cui il riconoscimento proviene dalla Commissione Territoriale; quella attivata direttamente in Questura, con parere positivo al riconoscimento da parte della Commissione Territoriale.

Pertanto, tale protezione può richiedersi direttamente all’ufficio immigrazione della Questura territorialmente competente tramite apposita istanza, anche al di fuori della procedura prevista per il riconoscimento della protezione internazionale.

Formalizzata la richiesta, viene rilasciata la cosiddetta “striscetta”, la ricevuta della protezione speciale di presentazione dell’istanza e di avvio della pratica.

Ricevuta protezione speciale

Tuttavia, la conclusione del procedimento ha tempi molto lunghi e ciò comporta varie conseguenze per il richiedente protezione speciale.

Più nello specifico, può accadere che - in attesa del rilascio del permesso di soggiorno - molti datori di lavoro non facciano lavorare l’interessato/a, ritenendo che con la sola ricevuta non si possa lavorare.

Non è semplice stabilire se, nelle more del procedimento, può applicarsi il diritto al lavoro per il richiedente protezione speciale. Può applicarsi però per analogia la disposizione di cui all’art. 5, comma 9-bis dlgs 286/98, già applicato per il primo rilascio dei permessi per motivi di famiglia.

L’art. 5 comma 9-bis dispone infatti che “in attesa del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno, anche ove non venga rispettato il termine di sessanta giorni di cui al precedente comma, il lavoratore straniero può legittimamente soggiornare nel territorio dello Stato e svolgere temporaneamente l’attività lavorativa fino ad eventuale comunicazione dell’Autorità di pubblica sicurezza, da notificare anche al datore di lavoro, con l’indicazione dell’esistenza dei motivi ostativi al rilascio o al rinnovo del permesso di soggiorno. L’attività di lavoro di cui sopra può svolgersi alle seguenti condizioni: che la richiesta del rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro sia stata effettuata dal lavoratore straniero all’atto della stipula del contratto di soggiorno, secondo le modalità previste nel regolamento d’attuazione, ovvero, nel caso di rinnovo, la richiesta sia stata presentata prima della scadenza del permesso, ai sensi del precedente comma 4, e dell’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica del 31 agosto 1999, n. 394, o entro sessanta giorni dalla scadenza dello stesso; che sia stata rilasciata dal competente ufficio la ricevuta attestante l’avvenuta presentazione della richiesta di rilascio o di rinnovo del permesso.”

Relativamente ai permessi per famiglia, la circolare del 7.5.2018 del Ministero dell’interno e del Ministero del lavoro riconosce l’“ammissibilità dello svolgimento di attività lavorativa nelle more del rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari”, in quanto quel titolo di soggiorno consente di per sé lo svolgimento di attività lavorativa senza necessità di conversione, per cui si applica analogicamente l’art. 5, co, 9-bis TUI.

Secondo i Ministeri, dunque, l’attività lavorativa può essere svolta con la semplice ricevuta della richiesta postale di rilascio del permesso di soggiorno.

La stessa ratio può applicarsi alla protezione speciale al fine di consentire, in attesa del primo rilascio del permesso, l’attività lavorativa perché questa è consentita espressamente per il permesso protezione speciale, dall’art. 32 comma 3 dlgs 25/2008, che del resto, ed è convertibile in lavoro secondo quanto disposto dall’art. 6 comma 1-bis lett. a) TUI.

Inoltre è interesse dello Stato favorire un’attività lavorativa regolare non in nero e che il soggetto quindi non pesi sul sistema assistenziale pubblico.

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