Cantanti Stranieri che Cantano in Italiano: Un Omaggio alla Lingua e alla Cultura Italiana
Alla voce cover musicali, la nostra bilancia dei pagamenti è sempre stata in passivo. Soprattutto negli anni ’60, quando editori, case discografiche, autori e interpreti di pop e rock italiano (che allora si chiamava beat) saccheggiavano compulsivamente i pezzi da classifica internazionali (angloamericani, soprattutto) con risultati più o meno soddisfacenti dal punto di vista artistico e commerciale e qualche furberia di troppo nella gestione dei diritti.
Al contrario, le canzoni italiane entrate nel repertorio di artisti stranieri sono merce più rara anche se gli esempi (e i successi) non mancano, dai tempi di Nat “King” Cole e dell’altro re, Elvis Presley, a quelli di Laura Branigan, che negli anni ’80 fece fortuna con Gloria di Umberto Tozzi e Self Control di Raf. In mezzo a loro Pat Boone e Shirley Bassey, Tom Jones ed Engelbert Humperdinck, i Tremeloes e gli Herman’s Hermits, Dusty Springfield (che con You Don’t Have to Say You Love Me regalò un’autentica dimensione internazionale a Io che non vivo di Pino Donaggio) e Cilla Black, che con You’re My World (Il mio mondo) di Umberto Bindi conquistò il suo unico numero uno nelle chart.
Senza contare tutti quelli che al festival di Sanremo, quando il regolamento della competizione lo prevedeva, hanno gareggiato con canzoni italiane tradotte nella loro lingua: nomi importanti e meteore della scena pop & folk, giganti del soul e dell’r&b (da Wilson Pickett a Ray Charles), persino qualche sommo jazzista come Louis Armstrong. I rocker sono una pattuglia decisamente più ridotta, ma anche nel loro campo si sono alternati hit e flop, reinterpretazioni degne di nota e altre da classificare come semplici curiosità o esperimenti poco riusciti.
Esempi di Cantanti Stranieri che Hanno Cantato in Italiano
Di seguito, alcuni esempi notevoli di cantanti stranieri che hanno interpretato canzoni in italiano, spaziando tra vari generi e decenni.
Elvis Presley - It’s Now or Never (basata su ‘O sole mio) (1960)
Non si può iniziare che dal re del rock and roll, che alla musica italiana si avvicinò dopo pochi anni di carriera e di dominio delle classifiche con l’intenzione di allargare ulteriormente mercato e orizzonti artistici mettendo alla prova le sue qualità canore e raccogliendo il guanto di sfida lanciatogli da Frank Sinatra. Grande ammiratore del tenore Mario Lanza, Presley si era innamorato di quella melodia ai tempi in cui, a fine anni ’50, prestava servizio militare in Germania, avendone ascoltata la versione che Tony Martin aveva inciso con il titolo di There’s No Tomorrow.
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Ricordato anche lui tra i maggiori interpreti di You Don’t Have to Say You Love Me di Donaggio (nel 1970), nel decennio precedente attinse invece al grande serbatoio della canzone napoletana tradizionale con Santa Lucia, Torna a Surriento (Surrender, nella sua versione in lingua inglese) e la celeberrima It’s Now or Never basata sulla melodia di ‘O sole mio. Furono poi Aaron Schroeder e Wally Gold a confezionargli su misura un pezzo arrangiato a ritmo di rumba, aperto dal coro dei Jordanaires e da un arpeggio di chitarra di sapore inconfondibilmente mediterraneo, mélo ed esotico quanto bastava.
The Yardbirds - Paff… Bum! (1966)
Gli Yardbirds hanno più volte ricordato la loro partecipazione al festival di Sanremo del 1966, da loro definito puro euro trash, con un misto di orrore, incredulità e divertimento. A Sanremo il quintetto inglese si esibì in coppia sia con Bobby Solo (nella ballata presleyana Questa volta) che con Lucio Dalla, cointerprete (ma non autore) del buffo e innocuo beat Paff… Bum! firmato Bardotti-Reverberi. «Un pezzo orribile un po’ nello stile di Hang on Sloopy», secondo Dreja, costretto a sostituire Beck alla chitarra solista in studio dopo l’ostinato rifiuto di quest’ultimo a registrare un brano così lontano dalle sue corde.
Robert Plant - Our Song (La musica è finita) (1967)
La maggior parte dei fan di Robert Plant e dei Led Zeppelin è venuta a conoscenza della sua versione di La musica è finita di Ornella Vanoni (testo di Franco Califano e Nisa, musica di Umberto Bindi) grazie al suo inserimento in Sixty Six to Timbuktu, doppia antologia su CD distribuita nel 2003. Our Song segnò il debutto discografico solista del giovane e ambizioso cantante delle West Midlands per la CBS e nonostante l’improponibile confronto con quanto avrebbe registrato di lì a poco in compagnia di Jimmy Page, John Bonham e John Paul Jones il risultato non è disprezzabile: pur ingessato e costretto in abiti a lui non adatti, Plant riesce ad accentuare le inclinazioni soul della ballata e nel finale sfoggia la sua potenza vocale facendo le prove generali di quello che diventerà il suo inconfondibile stile.
Warhorse - I (Who Have Nothing) (Uno dei tanti) (1972)
Uno dei tanti, successo di Joe Sentieri datato 1961 con musica di Carlo Donida e testo di Mogol, divenne una hit in America per Ben E. King nella versione tradotta nientemeno che da Jerry Lieber e Mike Stoller (coautori di Hound Dog, Jailhouse Rock e di altri classici di Presley). Da allora I (Who Have Nothing) è stata cantata anche da Shirley Bassey, Tom Jones e gli Status Quo mentre una bella e robusta versione rock, con un classico intreccio di chitarra solista e di organo Hammond e la potente voce di Ashley Holt in primo piano, si deve ai molto meno conosciuti Warhorse.
Mick Ronson - Music Is Lethal (Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi) (1974)
Pubblicato nel novembre del 1972 nell’album Il mio canto libero, due anni dopo il classico di Battisti-Mogol Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi viene tradotto, rielaborato, prodotto e arrangiato con gusto, classe e immaginazione dal braccio destro di David Bowie: onirica, riccamente orchestrata e verniciata di glam, la cover di Mick Ronson in effetti non è troppo distante dalle tipiche atmosfere sonore degli Spiders from Mars.
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Lords of the New Church - Live for Today (Piangi con me) (1983)
Firmata dall’onnipresente Mogol con Shel Sapiro, Piangi con me fu pubblicata nel 1966 come lato B di uno dei maggiori successi dei Rokes, È la pioggia che va (traduzione di una composizione del cantautore statunitense Bob Lind). Sedici anni dopo, il supergruppo gothic composto da Stiv Bators (Dead Boys), Brian James (Damned), Dave Tregunna (Sham 69) e Nick Turner (Barracudas) ne offrirà una versione molto più lugubre e livida in linea con il mood e le sonorità degli anni ’80, coprendo la solare melodia con una coltre di synth e di batterie elettroniche.
David Bowie - Volare (Nel blu dipinto di blu) (1986)
Come il suo amico Mick Ronson, anche David Bowie ha ceduto, anni dopo, al fascino della melodia e della canzone italiana. Nel suo caso, il classico dei classici famoso in tutto il mondo: Volare cioè Nel blu dipinto di blu, il capolavoro di Domenico Modugno e Franco Migliacci che in un momento non brillantissimo della sua carriera (tra Tonight e Never Let Me Down) l’artista inglese ebbe l’ardire di interpretare nella nostra lingua cavandosela discretamente.
Mike Patton - Senza fine (2010)
Una sorpresa solo per chi non conosceva la sua storia: Mike Patton, vocalist del tostissimo gruppo funk metal di San Francisco Faith No More, si trasforma in credibile crooner all’italiana rendendo omaggio a Fred Buscaglione, a Nicola Arigliano, a Roberto Murolo, a Nico Fidenco, a Luigi Tenco, a Gino Paoli e a Gianni Morandi oltre che a Ennio Morricone e alla musica da film degli anni ’60 (il titolo dell’album, Mondo cane, è quello di una colonna sonora di grande successo dell’epoca). L’artista californiano che aveva vissuto per un certo tempo a Bologna imparando piuttosto bene la nostra lingua aveva fatto con una serie di apprezzati spettacoli dal vivo le prove generali di un album in cui non mancano le scelte inusuali e che dal repertorio del solo Paoli pesca due canzoni: prima Il cielo in una stanza e poi Senza fine.
Peter Hammill - Ciao amore (Ciao amore, ciao) (2021)
Come altri eroi dei prog anni ’70 (i Genesis in primo luogo), Peter Hammill ha coltivato un rapporto affettivo speciale con il nostro paese fin dai tempi dei Van der Graaf Generator. Tre anni fa se ne è ricordato, indossando orgogliosamente una felpa azzurra sportiva con la scritta Italia sulla copertina dell’album In Translation, raccolta di cover di pezzi di origine non anglosassone in cui il nostro catalogo fa la parte del leone: accanto a I (Who Have Nothing) figurano classici di Fabrizio De André, Piero Ciampi e Luigi Tenco. Del cantautore piemontese Hammill riprende, modificandone leggermente il titolo, Ciao amore, ciao.
Il Fascino dell'Italia e della Lingua Italiana
Che l’Italia nel corso dei secoli abbia ispirato tanti artisti, scultori, architetti, pittori, è cosa nota, ma negli ultimi tempi sembra si sia prepotentemente riproposta sulle mappe della musica globale. Il teatro musicale all'italiana si è imposto dal Settecento in poi incoronando la nostra come la “lingua dell’opera”, giustificando, forse solo parzialmente, il successo che ancora oggi riscuotono i tenori italiani all’estero (anche in strani ibridi tra il pop e il canto lirico, vedi Il volo).
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Arrivando ai giorni nostri, non si può non notare come questo fascino stia tornando prepotentemente alla ribalta. Prendiamo l'esempio dei Phoenix e del loro ultimo disco "Ti amo", che in origine avrebbe dovuto chiamarsi "Je t'aime".
Anche la cucina, il clima, i panorami sono tutti fattori che possono influenzare positivamente la musica e la produzione artistica in generale. Tra i casi più noti c'è quello di Sting che ha acquistato una villa con vigneto in Toscana, meno chic ma più funzionale la residenza di Jonny Greenwood dei Radiohead, un casale a Sant'Elpidio nelle Marche dal quale, grazie all’aiuto degli artigiani locali, è stato ricavato uno studio di registrazione.
Un esempio cinematografico perfetto potrebbe essere il corto che Wes Anderson ha girato per Prada, “Castello Cavalcanti“ in cui Jason Schwartzman interpreta un pilota americano in un paesino che potrebbe trovarsi in qualunque punto della penisola; un esempio musicale, invece, l’intro studiatissimo del video “Miracle Aligner” del duo inglese Last Shadow Puppets che recita: “Che cos’è questo?” ”Questo? Si tratta di un tentativo di estrarre la verità all’incirca”.
Un’operazione interessante è stata quella di Erlend Øye, una delle due metà del duo norvegese dei King of Convenience: trasferitosi in Sicilia ormai da anni e appassionato di musica italiana grazie a una canzone di Gaber. Dopo aver scritto una canzone nella nostra lingua, “La prima estate”, per la laurea di un'amica, questa estate ha dato vita ad una delle esibizioni più emozionati dello scorso Ortigia Sound Festival.
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