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Il Significato Storico di "Consolato": Un Viaggio Attraverso Autorità, Guida e Rappresentanza

Il nome "Consolato" evoca un ricco passato storico e una serie di connotazioni profondamente radicate nella cultura e nell'organizzazione politica. Esploriamo le origini e l'evoluzione di questo termine, svelandone il significato attraverso i secoli.

Origini Latine e l'Antica Roma

Il nome "Consolato" ha origini latinofone, proveniente precisamente dal termine "Consul", che indicava una delle più alte magistrature dell’antica Roma. Questa parola rivela una stretta connessione con la storia e l’organizzazione politica dell’antica Repubblica, traendo la sua essenza dalla cultura e dagli ideali più profondi di quella società. Il nome Consolato ha radici nel termine latino ‘consul’, riferito all’antica magistratura della Repubblica Romana, considerata il più elevato ruolo politico-istituzionale dell’epoca.

I consoli erano due ed erano eletti annualmente dal popolo romano, rivestendo il ruolo di capo dello stato. Con un così nobile e storico background, non sorprende che il nome Consolato sia associato a concetti di autorità, guida e saggezza. Può suggerire qualcuno che ha una posizione di comando, che guida gli altri o che ha saggezza e discernimento.

Consolato in Tempi Moderni

Allo stesso tempo, il termine “consolato” in un contesto moderno fa riferimento a un ufficio svolto da un console, che rappresenta il suo paese all’estero. Anche se in Italia il nome Consolato non è particolarmente diffuso come nome proprio, la sua presenza si fa riscontrare nelle intitolazioni di vie o piazze, testimoniando la grande importanza che questo termine ha avuto nella storia del nostro paese. Un esempio è la “via del Consolato” presente in diverse città italiane. Inoltre, è interessante notare come il termine “Consulato” sia anche utilizzato in contesti marinari.

Origine del consolato

La tradizione romana racconta che, cacciati i re, i loro poteri passarono nelle mani di due sommi magistrati eletti annualmente, di guisa che la loro potestà non fu che una continuazione di quella regia, con le limitazioni essenziali della temporaneità e della collegialità. La designazione che in età storica prevalse per questi magistrati fu quella di consules, la quale parola deriva certamente dalla radice stessa del verbo consulere, col significato che esso verbo ha nel latino classico di "provvedere" o di "consultare".

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Ma, oltre a consules, si adoprarono anche i termini praetores e iudices, e anzi secondo testimonianze il titolo di consules non sarebbe stato usato prima del 450 a. C. e sarebbe stato preceduto da quello di praetores (Livio, III, 55, 12; Zonar., VII, 19). Il Beloch è invece convinto che il titolo di consul fosse già nell'uso ufficiale nel 428-26 a. C., quando A. Cornelio Cosso nell'iscrizione dedicatoria delle sue spolia opima designava sé stesso come consul (Liv., IV, 20, 8); poi sarebbe sottentrato il titolo di praetor nel 366 a. C., ma, al più tardi nei primi decennî del sec. III a. C., sarebbe tornato in vigore nell'uso ufficiale quello di consul, che vediamo usato nella fondazione della colonia latina di Benevento (268 a.

Le teorie sull'origine dell'istituto consolare

Le due teorie più autorevoli che da studiosi moderni sono state proposte circa l'antico e delicato problema dell'origine dell'istituto consolare, sono quella di G. De Sanctis e quella di G. Beloch. Secondo il primo, il sorgere del consolato, come quello dell'arcontato in Atene, sarebbe stata una delle cause occasionali, anziché l'effetto, del tramonto della monarchia, che poi egli considera come dovuto a lento processo di evoluzione anziché a violenza di rivoluzione. E anzi, i consoli in origine altro non sarebbero stati che i capi dei contingenti militari delle tre tribù dei Tities, dei Ramnes e dei Luceres, sarebbero stati cioè tre e non due.

La teoria del Beloch è la seguente: alla monarchia elettiva a vita sarebbe succeduta la dittatura, che egli considera come una vera e propria carica monarchica annuale, con un processo che riscontra in altre città del Lazio e dell'Etruria; e il nome dei dittatori sarebbe stato registrato nei fasti, da solo, in quelle parti più antiche della lista per le quali, secondo il Beloch, si può dimostrare una successiva interpolazione di nomi plebei.

Onde è che dobbiamo forse rinunciare a veder chiaro in tutto nell'origine e nel primo sviluppo dell'istituto consolare e, una volta ammessa l'autenticità dei fasti, è forse meglio appagarsi a considerarne come originaria la dualità e porne l'inizio sul finire del sec.

Ammissione dei plebei al consolato

Il consolato dapprima fu accessibile soltanto ai patrizî, e la plebe dovette lungamente lottare per esservi ammessa. Mentre, secondo Livio (VI, 35, 37, 40, 42; VII, 1; X, 8; cfr. i Fasti Capitolini, a. 366 a. C.: [consules e pl]ebe primum creari coepti), fu soltanto una delle leggi Licinie Sestie cluella che troncò, nel 367 a. C., la lotta con lo stabilire che uno dei due consoli dovesse essere plebeo, secondo Diodoro (XII, 25, 2) già nel 449 a. C., dopo la caduta dei decemviri, sarebbe intervenuto tra patrizî e plebei un patto solenne nel quale si sarebbe concordato che si eleggessero annualmente i dieci tribuni della plebe quali custodi della libertà cittadina, e che dei due consoli uno dovesse essere plebeo e anzi potessero essere tali ambedue.

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Comunque, è indiscutibile il fatto che nella seconda metà del sec. V a. C. e nel principio del IV prima si alternarono coi consoli, e poi per parecchi anni li surrogarono completamente, altri magistrati. La quale esigenza fu poi appagata completamente nel 367 a. C., quando si stabilì che l'uno dei due consoli dovesse esser plebeo. Ma questa disposizione fu più volte elusa negli anni successivi dai patrizî, che, secondo la tradizione, tentarono anche impugnarne la costituzionalità.

Collegialità

La collegialità propria del consolato come di tutte le altre magistrature repubblicane importava nei colleghi un eguale potere e quindi il diritto per ciascuno di essi di compiere lo stesso atto di governo, indipendentemente dall'altro; ma poiché molti degli atti di governo non potevano emanare che da uno solo di essi, per evitare conflitti si ricorse al turno o alla sorte. Per raggiungere lo scopo principale della collegialità, che era quello di limitare, nell'interesse dello stato e dei privati, il prepotere delle magistrature, i consoli potevano esercitare il diritto di veto, impedire cioè un determinato atto amministrativo nei confronti dei magistrati rivestiti di minor potestas rispetto a loro, compresi il pretore e il proconsole, ma, a lor volta, eran soggetti all'eventuale veto da parte dei magistrati forniti rispetto a loro di maior potestas, quali il dittatore e i tribuni della plebe.

Il veto non poteva invece aver luogo tra console e console, essendo essi forniti di par potestas, ma poteva invece esperirsi la reciproca intercessio propriamente detta, che consisteva nella cassazione di un atto già compiuto. Questa peraltro era ammessa soltanto nella sfera dell'imperium domi e non in quella dell'imperium militiae, e poteva aver luogo per effetto di appello, che un cittadino faceva al console contro un decreto giurisdizionale emanato dall'altro console o da magistrato minore, o contro una proposta avanzata al Senato o ai comizî dall'altro console relativamente a elezioni o leggi o giurisdizione penale.

Minimo di età

Dapprima non vi furono determinazioni legislative del minimo di età né per le altre magistrature, né per il consolato, ma quando la lex Villia del 180 a. C. stabilì che non si potesse occupare una magistratura senza essere stati dieci anni nel servizio militare, e che tra una magistratura e l'altra vi dovesse essere l'intervallo minimo di due anni, da queste prescrizioni emerse indirettamente quel minimo di età.

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