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Contratto di Convivenza e Permesso di Soggiorno: Analisi Giuridica e Giurisprudenziale

L'articolo ha ad oggetto le ordinanze di quattro Tribunali di merito del Sud Italia in tema di tutela dei legami affettivi e di reciproca assistenza morale e materiale tra cittadini italiani e cittadini di stati terzi in condizione di irregolarità nel soggiorno, regolati attraverso un contratto di convivenza, sottoscritto dall’avvocato di fiducia, in conformità alle previsioni della Legge n. 76 del 2016 (c.d. Legge Cirinnà).

Le Ordinanze dei Tribunali: Un'Analisi Comparata

Le prime tre ordinanze, che seguono ricorsi ex art. 700 c.p.c. nel caso dei Tribunali di Foggia e Torre Annunziata con riferimento al Comune di Sorrento, e art. 702-bis c.p.c. nel caso riguardante il Comune di Meta, affrontano la questione della registrazione del contratto di convivenza e, di conseguenza, l’inserimento del cittadino straniero privo di permesso di soggiorno nel nucleo familiare e anagrafico del cittadino italiano convivente. All’origine delle ordinanze vi sono tre vicende sostanzialmente analoghe. Una coppia composta da un cittadino italiano e un cittadino straniero, sprovvisto di permesso di soggiorno, ha stipulato un contratto di convivenza autenticato dall’avvocato di fiducia. L’atto è stato trasmesso all’Ufficio Anagrafe del Comune ai fini dell’inserimento del cittadino straniero nei registri della popolazione residente e della contestuale iscrizione nello stato di famiglia del convivente, con annotazione del patto di convivenza.

Diversamente, la quarta ordinanza, emessa dal Tribunale di Napoli, che segue un ricorso ex art. 700 c.p.c., vede convenuta la Questura locale per l’annullamento del provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari allo straniero convivente con il cittadino italiano. In questo caso, infatti, la Questura ha rigettato la domanda, nonostante il Comune avesse provveduto a registrare il contratto di convivenza, ritenendo che «alla registrazione del contratto di convivenza non può essere certamente riconosciuta il carattere di debita attestazione, dal momento che manca la preliminare regolarità del soggiorno in Italia»: per lo stesso motivo l’istante non poteva quindi essere considerato un componente della famiglia anagrafica. Tutte e quattro le ordinanze accolgono i ricorsi e ordinano alla P.A.

La Legge n. 76/2016 e la Convivenza di Fatto

Le ordinanze ruotano intorno all’applicazione della Legge n. 76/2016 che ha disciplinato, tra le altre cose, la convivenza di fatto, introducendo l’istituto del contratto di convivenza. In particolare, il comma 36 dell’articolo unico della legge n. 76 /2016 enuncia i due elementi costitutivi dell’istituto della convivenza di fatto, ossia una particolare intensità del vincolo affettivo caratterizzato da uno stabile legame affettivo di coppia e reciproca assistenza morale e materiale. In aggiunta si richiede l’assenza di rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.

Il comma successivo invece afferma che «per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’art. 13» del regolamento anagrafico. Inoltre, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 4193 del 17 febbraio 2021, ha precisato con riferimento ad una convivenza more uxorio priva di contratto di convivenza registrato, che quest’ultima «per assumere rilevanza nella materia dell’immigrazione e, in particolare nella disciplina dell’espulsione e del permesso di soggiorno per coesione familiare, debba essere caratterizzata dal requisito della stabilità della relazione non solo nell’ambito del rapporto, ma anche nella sua percezione come tale all’esterno, presso cioè la comunità sociale in cui essa è inserita».

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In relazione all’applicazione della Legge n. 76/2016, la circolare del Ministero dell’Interno, richiamando il parere formulato dall’Avvocatura Generale dello Stato, ha affermato che: «[il]requisito della dichiarazione anagrafica previsto dal predetto comma 37 dell’art. l della Legge n. 76/2016, [è] posto dall’Ordinamento al fine di consentire la puntuale identificazione di tutti i soggetti stranieri che circolano sul territorio dello Stato, e quindi, a tutela di un interesse generale, quale quello della sicurezza e dell’ordine pubblico». Ed è proprio questa la motivazione alla base del rigetto della domanda di iscrizione anagrafica con annotazione del contratto di convivenza da parte dei Comuni di Foggia, Meta e Sorrento.

Secondo i Comuni, la legge individua nell’iscrizione anagrafica il prerequisito naturale, nonché la condicio sine qua non, della possibilità di registrare i conviventi di fatto. Tuttavia, i Comuni ritengono che, ai fini della stessa iscrizione anagrafica, è necessario che il cittadino straniero sia regolarmente soggiornante nel territorio. Vi è quindi una discrasia che renderebbe a priori impossibile la regolarizzazione del cittadino straniero: da un lato il Comune ritiene che, per essere iscritto nel registro della popolazione residente, il cittadino straniero debba ottenere il rilascio di un permesso di soggiorno presso l’Ufficio Immigrazione della Questura territorialmente competente e, dall’altro, lo stesso Ufficio Immigrazione, in assenza di iscrizione anagrafica, nega il permesso di soggiorno, in questo caso, per motivi familiari ex art. 10 D.lgs.

Giurisprudenza Nazionale e Comunitaria: Un Quadro di Riferimento

Le ordinanze in questione si inseriscono nel solco tracciato dalla giurisprudenza precedente sia sul piano nazionale che comunitario. Il ragionamento sviluppato dai giudici può essere così sintetizzato. Per giungere a tale conclusione, i giudici hanno adottato una lettura combinata dell’art. 1 comma 52 della l. 76/2016 e degli artt. 3(co 2) e 9(co 5 bis) del d. lgs. 30/2007 (attuativo della Direttiva 2004/38/CE). In particolare, l’art. 3 comma 2 del d. lgs. L’art. 9 comma 5 bis del D. lgs. 30/2007, in materia di iscrizione anagrafica, prevede il requisito aggiuntivo per le persone ex art.

A sostegno di tale lettura i giudici, in particolare quelli di Torre Annunziata e di Napoli, richiamano la giurisprudenza nazionale e comunitaria. Segnatamente, l’ordinanza n. 3210 della Corte di Cassazione che ha stabilito la sostanziale irrilevanza della irregolarità del soggiorno in Italia ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari. La decisione di legittimità si basa sull’interpretazione vincolante della Direttiva 2004/38/CE fornita dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza Metock,[3] in cui quest’ultima si è discostata dal proprio orientamento precedente.

I giudici di Lussemburgo hanno ritenuto che dovesse essere riformulato il principio secondo il quale «per poter godere dei diritti di cui all’art. 10 del regolamento n. 1612/68, il cittadino di un paese terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione, deve soggiornare legalmente in uno Stato membro quando il suo spostamento avviene verso un altro Stato membro, in cui il cittadino dell’Unione emigri o sia emigrato». Questo cambio di rotta ha avuto conseguenze anche sul diritto nazionale sia in materia di matrimonio,[5] sia di convivenza di fatto.

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Il giudice di Torre Annunziata, nel caso di Sorrento, evidenzia come la legislazione italiana richieda la «documentazione ufficiale» per la attestazione della convivenza, ma che di fatto questa si sostanzia nella disponibilità di un previo permesso di soggiorno. Ciò non garantisce l’effetto utile di garantire la libera circolazione, principio interpretativo espressamente richiamato dalla Corte di Giustizia nella decisione C-83/11, con riferimento al requisito posto all’art. 3 comma 2 d lgs 30/2007 per gli stati membri di agevolare l’ingresso nel loro territorio dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari. Analogamente, Il Tribunale di Napoli, ricollegandosi agli orientamenti della Cassazione,[8] ha affermato che il precedente soggiorno irregolare del cittadino straniero non deve essere di impedimento a priori al riconoscimento del diritto di soggiorno per motivi familiari. Questo risulta in linea con l’art.

In conclusione, le ordinanze affermano che, in forza di un’interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata, la disciplina italiana in materia non richiede espressamente la sussistenza del permesso di soggiorno quale presupposto per l’iscrizione anagrafica. In aggiunta, l’ordinanza di Foggia si interessa anche della problematica legata alla registrazione del contratto di convivenza e del ruolo giocato dall’iscrizione anagrafica prevista dall’art. 1 comma 37 della legge n. 76/2016.

Il Tribunale prende atto delle due tesi circa la corretta interpretazione del comma 37 e la sua natura giuridica. Secondo una prima impostazione formalistica, la dichiarazione anagrafica ha valenza costitutiva; tuttavia, il Tribunale propende per un’interpretazione sostanzialistica per cui l’iscrizione anagrafica è da intendersi quale elemento di mero accertamento, a carattere presuntivo, della stabile convivenza. L’opinione prevalente in giurisprudenza è concorde nel ritenere che la dichiarazione anagrafica abbia un valore ricognitivo di una situazione in atto,[9] che può assurgere a strumento di prova privilegiata della convivenza di fatto, fermo restando che l’accertamento può essere reso con qualsiasi mezzo di prova. Secondo il giudice di Foggia, infatti, «diversamente opinando, dovrebbe ritenersi costituita, in presenza del requisito formale, la convivenza di fatto paradossalmente iniziata da un solo giorno».

Nonostante la decisione emessa dal singolo Tribunale abbia conseguenze dirette solo tra le parti in causa, è di fondamentale importanza che, al fine di una corretta interpretazione della legge, si tenga in considerazione il contenuto dei precedenti giurisprudenziali. Non fosse altro per favorire un'armonizzazione delle prassi amministrative comunali, evitando pratiche discriminatorie ai danni dei cittadini stranieri e differenze territoriali all’interno dello Stato.

E ciò, a maggior ragione alla luce della sentenza della Corte di Cassazione n. 44182/2016, secondo cui «la convivenza dello straniero con una cittadina italiana riconosciuta con "contratto di convivenza" disciplinato dalla legge 20 maggio 2016, n. 76 è ostativa alla espulsione a titolo di misura alternativa alla detenzione di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett. c), e tale causa ostativa deve essere valutata se sussistente o meno al momento in cui l'espulsione viene messa in esecuzione».

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I descritti sviluppi giurisprudenziali appaiono inoltre coerenti con la giurisprudenza della Corte EDU in materia di tutela della vita privata e familiare ai sensi dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Secondo i giudici di Strasburgo, infatti, l’insieme dei legami sociali tra i migranti residenti e la comunità in cui essi abitano contribuisce a dar forma al concetto di vita privata sancito dalla Convenzione.[11] La stessa evoluzione normativa in materia di immigrazione, con l’introduzione della fattispecie della protezione speciale all’art. 19, co. 1.1 del D.lgs. 286/1998, da parte del D.L. 130/2020, aveva dato rilevanza alla tutela della vita privata e familiare ai fini della maturazione di un diritto a rimanere sul territorio, indipendentemente dalla titolarità di un precedente permesso di soggiorno.

La riforma dell’ottobre 2020, introduceva infatti tra le ipotesi di non espellibilità, la tutela della vita privata e familiare dello straniero, da cui discendeva il diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale.[12] Tuttavia, il recente d.l. n. 20/2023, pubblicato il 10 marzo 2023 in Gazzetta Ufficiale, ha abrogato le disposizioni sopracitate eliminando così la protezione speciale dall’ordinamento italiano. Il nuovo assetto normativo rischia così di aprire un contrasto con gli obblighi sovranazionali che vincolano l’Italia e, in particolare, con la giurisprudenza CEDU, che esige un’attenta valutazione dei vincoli familiari dello straniero da parte delle autorità degli Stati contraenti.

Il Permesso di Soggiorno per Convivenza di Fatto: Aspetti Pratici

Un cittadino extracomunitario in regime di convivenza di fatto con una cittadina/o italiana/o, può chiedere ed ottenere il permesso di soggiorno per effetto del diritto al ricongiungimento familiare garantito dal D.Lgs n.30/2007.

È necessario anzitutto stipulare, in presenza di un avvocato o un notaio, il cd. patto di convivenza. Con il contratto di convivenza, stipulato a norma del comma 50 e seguenti della legge n. 76/2016, lo straniero può essere iscritto all’anagrafe anche se privo del permesso di soggiorno.

Tuttavia, è opportuno specificare che, anche con la stipula di un contratto di convivenza, non è detto che i Comuni procederanno all’iscrizione anagrafica o che le Questure rilascino il permesso. Molto spesso infatti, si dovrà fare ricorso all’autorità giudiziaria la quale, in virtù del patto di convivenza stipulato, deciderà se riconoscere o meno il diritto all’iscrizione anagrafica della persona straniera o il diritto al permesso di soggiorno.

Qualora l’iter vada a buon fine e il contratto di convivenza venga regolarmente trascritto presso il Comune di residenza del partner italiano, per il rilascio del permesso di soggiorno sarà necessario presentare in Questura i seguenti documenti:

  • 4 fotografie;
  • marca da bollo da €16;
  • copia documenti di riconoscimento;
  • stato di famiglia e residenza/dichiarazione di ospitalità;
  • registrazione presso il Comune di residenza della convivenza di fatto;
  • documentazione attestante il reddito familiare;
  • versamento sul C/C 67422402 di € 80,46 per il permesso di due anni.

Il permesso di soggiorno rilasciato sarà un permesso per motivi familiari della durata di due anni, rinnovabili. Tuttavia, il convivente ha diritto ad ottenere la carta di soggiorno per familiare di cittadino dell’Unione della durata di 5 anni.

Tabella Riepilogativa dei Passaggi per Ottenere il Permesso di Soggiorno per Convivenza

Fase Azione
1 Stipulare un patto di convivenza con un avvocato o un notaio.
2 Chiedere la trascrizione del contratto nei registri del Comune e l’iscrizione anagrafica.
3 Con l’iscrizione anagrafica e il patto di convivenza trascritto, chiedere il permesso di soggiorno in Questura.

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