Albergo Atene Riccione

 

Diario di un'expat a Parigi: Un Percorso di Integrazione e Scoperte

Coucou, ça va? Sono Paola. All’inizio del 2012 mi sono trasferita in Francia perché ero incinta e volevo riunire la famiglia. Ho iniziato questo diario nel 2007 più per curiosità che per altro. Nel 2007 di certo non immaginavo un espatrio: convivevo, avevo una casetta e un lavoro.

Nei sei anni successivi la mia vita ha preso binari che non avevo previsto: incontro il grande amore e cambio la mia rotta. Anche lui è italiano ma lavora a Grenoble e all’inizio arricchivamo le casse di svariate compagnie aeree. Da Roma a Grenoble è stato un bel salto.

Le Sfide Iniziali dell'Espatrio

Quando sono arrivata qua, non capivo una parola di francese, bruciavo tutto perché ero abituata ai fornelli a gas e qui invece ho le piastre elettriche, mi ostinavo a prendere il caffè al “bar” e a mangiare la pizza in “pizzeria”. Qui fa freddo.

Quel tipo di freddo che si sente in settimana bianca, e infatti non mi sento a disagio ad uscire con dopo-sci e para-orecchie da Ottobre ad Marzo. Espatriare non è uno scherzo, soprattutto se lo fai a 36 anni, perché quando sai già qual’è la marca di carta igienica che preferisci, ricominciare a provarle tutte per decidere qual’è la migliore ti scoccia parecchio… ovviamente il discorso della carta igienica vale per tutto: burro, panna, biscotti, pane…

L'Amore per Parigi e la Cucina Francese

Ma devo dire che adoro questo posto. Chocolaterie, boulangerie, brasserie e sale da tè mi hanno sempre affascinato. La donna francese, nell’immaginario collettivo così raffinata e seducente, mi ha sempre incuriosito. Ho sempre guardato alla cucina francese con un certo timore reverenziale, ma ora che sto qui, li spio dall’interno e vi racconto quello che vedo, studio le loro ricette, le provo e ve le racconto.

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Mi muovo in un percorso di integrazione in una cultura nuova. E questo percorso passa, ovviamente, anche per la cucina: il mio carrello della spesa è molto diverso da quello romano e in cucina si preparano piatti nuovi. Eppoi c’è lui, il padrone di casa, che mi sfida tutti i giorni a preparare piatti equilibrati, buoni e sani che possano andar bene per tutta la famiglia. Perché qui non stiamo mica al ristorante! Insomma… benvenuti nella mia cucina.

Scoperte e Riflessioni sulla Vita da Expat

Espatriare significa affrontare nuove realtà e sfide quotidiane, come descritto nel libro "Lunch in Paris" di Elizabeth Beard. Mi sono ritrovata molto nell’esperienza di Elizabeth, soprattutto per il modo in cui la sua vita da expat è cominciata: abbastanza casualmente e senza troppe pianificazioni. Della serie “andiamo e vediamo come va”. Che è esattamente quello che è successo a me.

I’ve always known that by living abroad I made the choice to be a little bit uncomfortable, one sixteenth of an inch out of step. That’s the price I pay for not being bored at home.

Quando si emigra all’estero farsi nuovi amici è difficile in quell’età di mezzo in cui non sei più studente (e sui banchi di scuola o dell’università è decisamente più facile fare amicizia) ma non sei ancora mamma (e si possono sfruttare i figli per conoscere altre mamme). E in questo ho trovato Elizabeth molto onesta e diretta. Creare nuovi rapporti in terra straniera è estenuante, richiede molto tempo e impegno.

Making friends in a new country is a constant negotiation between sympathy and convenience. One of the great gifts of an intercultural relationship is that when you fight, you never quite know if you are mad at the person, or at their culture (…) I was beginning to see the beauty of an intercultural marriage-things were so mixed up that we could get away with anything.

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Parigi per Elizabeth non è la prima esperienza all’estero, così come Sydney non lo è per me. Gli anni passano, i voli si accumulano e la distanza tra noi e i nostri cari aumenta così tanto da non ricordarsi neanche quella prima volta in cui abbiamo abbandonato il nido.

I’d been so far away for so long. “There’s no place like home”, dicono. Ed è proprio così. Nessun posto è nè sarà mai come quello che abbiamo lasciato, e la cosa più salutare che un expat può fare è giungere a quella consapevolezza - come fa Elizabeth - che non puoi più paragonare il qui e lì, il prima e l’adesso, ma devi prendere il presente e il dove per quello che è. At some point I was going to have to stop comparing apples and oranges.

Tutto questo costellato dalle ricette dei piatti più significativi che hanno accompagnato Elizabeth alla scoperta di Parigi e all’integrazione nella sua nuova vita francese. Ricette che ovviamente non vedo l’ora di provare! Questo libro mi è piaciuto così tanto che non vedo l’ora di leggere il seguito “Picnic in Provence”.

Riscoprire Parigi: Un'Esperienza Continua

La prima volta che si scopre Parigi è tutto un affannarsi a vedere i monumenti principali, salire e scendere dalla metro, incappare in disguidi con la lingua e poco viverla davvero. Quando invece si torna una seconda, terza, quarta, millesima volta è come riabbracciare una cara amica dopo un lungo periodo passate lontane.

Ci si destreggia meglio fra le sue vie, si dedica più tempo a quartieri meno conosciuti, si scoprono dettagli sfuggiti durante le visite precedenti. Soprattutto, ci si gode ogni secondo. Perché ancora una volta la Ville Lumière? Ormai è diventata una delle mie città del cuore. La scelta su dove andare in quel weekend libero è stata dettata dal volo diretto da Cardiff. La comodità di poter utilizzare l’aeroporto della propria città è sempre un’agevolazione. Grandi piani per quei due giorni non ne avevamo.

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Proprio grazie a questo nostro piano, non solo ci siamo ritrovate quasi per caso in luoghi abbastanza turistici che non avevamo preso in considerazione ma abbiamo anche dato il via alla tradizione di passare le vacanze di Pasqua insieme in giro. Atterrate a Orly con in mente fare un pic-nic serale sulla Senna, abbiamo cercato il minimarket dell’aeroporto sperando fosse aperto. Avevamo paura che essendo la domenica di Pasqua, in città avremo trovato tutto chiuso.

Solo scendendo alla fermata Place Denfert-Rochereau abbiamo realizzato che eravamo a Parigi. Ci siamo incamminate quindi per Boulevard Arago: una via alquanto residenziale, con alcuni negozietti d’arredamento e tante boulangerie che, fortunatamente per le nostre tasche, erano chiuse. Abbiamo poi svoltano per le stradine del V arrondissement, fino al cuore di Rue Monge, la nostra destinazione finale.

Anch’essa è una larga via abitata principalmente da parigini. I tantissimi cafè francesi sono affiancati da locali etnici per tutti gusti. Arrivate da poco a Parigi e già esplorandola a piedi ci siamo imbattute in zone che non avremmo mai visto altrimenti. Non solo, alcuni Franprix, catena di supermercati francese, ed ortofrutticoli erano aperti e così ne abbiamo approfittato per comprare i salumi da accompagnare alla nostra baguette e persino delle fragole.

Tesori Nascosti e Scoperte Inaspettate

La voglia di esplorare meglio la zona circostante al nostro hotel, ci ha subito riservato la prima sorpresa: la fontana d’acqua potabile delle scale di Rue Rollin. Seconda sorpresa? Una Fiat Cinquecento azzurra che sfrecciava per la via, il colore si mischiava quasi a quello del cielo di quel pomeriggio. Nel frattempo, percorrendo tutta la strada, veniamo richiamate dal chiacchiericcio di Place Gerges-Moustaki.

Un ortofrutta, un cafè con i tavolini rossi disposti nella piccola piazza ed una chiesa a fare da sfondo. Più francese di così, non so cosa esista. Proprio da qui inizia una delle vie più antiche di Parigi: Rue Mouffetard. Il vero segreto però sta nel percorrerla tutta, tra locali hipster e cucine di tutto il mondo, fino a Rue Descartes per poi girare per Rue Clovis.

Vi ritroverete così alle spalle del Panthéon. A due passi dall’imponente edificio si erge la Chiesa di Saint-Étienne-du-Mont. I cinefili la ricorderanno per Midnight in Paris. Essendo uno dei miei film preferiti, posso dire che quel primo pomeriggio di esplorazione stava dando dei frutti inaspettati. In più, di fronte la chiesa c’era uno dei bar della seconda stagione di Emily in Paris.

Giardini, Fontane e Momenti di Relax

Lasciate il Panthèon alle spalle, proseguendo per Rue Soufflot, ci siamo dirette in uno dei polmoni verdi della capitale: Jardin du Luxembourg. Per quanto fossi già stata qui, mi ero persa la bellezza della Fontana dei Medici, voluta fortemente da Maria de Medici. Oggi, un’oasi di pace dove potersi rilassare.

Dopo la breve sosta, la destinazione finale era la Senna. Guidate così un po’ da Google Maps e un po’ dall’ispirazione, ci siamo incamminate per Rue d’Assas, addentrandoci nel cuore dell’elegante quartiere Saint-Germain-des-Près. La Tour Eiffel da qui sembrava così vicina da poterla quasi toccare. Invece era ancora abbastanza lontana e i nostri piedi chiedevano pietà, così come i nostri stomaci.

Una cena nella quale abbiamo visto l’inizio e la fine di un bellissimo tramonto e la Tour Eiffel illuminarsi. Non sarebbe un weekend a Parigi a piedi senza una visita a Montmartre. Così, dopo una notte di ristoro, abbiamo preso per la seconda volta dal nostro arrivo la metro.

Montmartre: Arte, Panorami e Precauzioni

Destinazione Lamarck-Caulaincourt, ci siamo ritrovate sull’ex set cinematografico de Il favoloso mondo di Amélie. Avremmo dovuto fare colazione, invece, abbiamo salito le scale all’uscita della metro per arrivare al cuore del VXIII arrondissement.

Continuando per la famosa Rue de l’Abreuvoir, ci siamo addentrate nelle stradine senza meta. Semplicemente facendo una passeggiata e godendoci la bellezza di questo villaggio che è stato annesso dalla capitale solo nel 1860. Ovviamente, non potevamo esimerci dal visitare anche Place du Tertre, dove artisti famosissimi hanno colloquiato e dipinto qui.

In tutta la sua bellezza si erge la Basilica che, mi duole ammettere, non ho mai visto dall’interno. Però, il balcone che propone sulla città è qualcosa che toglie il fiato ogni volta. Peccato solo per i truffatori ai lati delle scale. Ebbene sì, per quanto Parigi sia bellissima, c’è un grosso problema con i ladruncoli e gli scammer.

Alcuni cercano di farti firmare delle carte mentre qualcun altro ti mette le mani in borsa. A Montmartre invece ti fermano per un “saluto”. Si presentano, cercando di stringerti la mano e in men che non si dica stanno già aggrovigliando dei fili sul tuo polso per “abbellirlo” con un braccialetto dell’amicizia. Come aggirarli? Usando il buon senso. Basta aspettare che si crei della folla attorno ad uno o l’altro lato delle scale e approfittare della calca per passare indisturbati.

Dolci, Shopping e Nuove Scoperte Architettoniche

Non siamo state fermate e abbiamo potuto continuare la nostra discesa fino al grazioso carosello. Ci ha conquistate con la sua facciata rosa e la piccola pasticceria in vetrina. Entrate, anche il benvenuto ed il servizio ci hanno fatto una buona impressione ma è stato il gusto dei croissant e dei macaron ad averci conquistate.

Camminare a piedi in quel di Parigi non ci ha stancate e, anzi, cariche dalla colazione, siamo arrivate a piedi fino ai famosi centri commerciali: Primtemps e le Galeries Lafayette. Ne abbiamo approfittato per cercare di capire da quale terrazza ci fosse la vista migliore ma la verità è che da Primtemps è difficile riuscire a godersi il panorama a meno che non si consumi qualcosa in uno dei locali con accesso ai balconi.

Proprio da quest’ultima abbiamo continuato ad esplorare la città, fino ad arrivare al Palais Royal. Altro posto che non avevo mai visto prima di allora, dove ho apprezzato moltissimo i piccoli giardini annessi. Anch’essi protagonisti di scene di Emily in Paris. Il passo per arrivare al cuore del Marais è stato breve. Anzi, per caso da Place de Valois ci siamo ritrovate alla Bourse de Commerce e a Les Halles.

Delizie Culinarie e Momenti di Spiritualità

Abbiamo poi proseguito per Rue Rambuteau alla ricerca di un locale per pranzo e, invece, ci siamo ritrovate davanti il Centre Pompidu. Altra nuova esperienza? Una piccola coccola al costo di 1€ l’una. Una vera e propria droga per gli amanti dei dolci: piccole palline soffici, ricoperte da granelli di zucchero all’esterno e da panna montana all’interno.

Infatti, l’idea era di fermarci da qualche parte per una sosta e fare un pranzo leggero. Dopo una mattinata ed un primo pomeriggio a camminare quasi non stop, abbiamo ponderato se continuare a macinare chilometri e approfittare della vicinanza a Notre Dame o prendere la métro. A pochi passi dal nostro hotel c’era un luogo che avrei voluto tanto visitare.

Mantenendo il rispetto, non abbiamo visitato gli interni così da lasciare spazio ai veri fedeli. Abbiamo invece fatto un giro nei bellissimi giardini, curati, dove il glicine era in fiore e il suo colore lilla faceva da contrasto al pavimento e le pareti a mosaico sui toni del verde acqua. Una deliziosa crepe in Rue Lacépède è stata la sosta perfetta prima di tornare in camera. Qui, ci siamo preparate alla nostra ultima sera a Parigi.

Per cena abbiamo esplorato gli altri locali di Rue Lacépède che si ricongiunge a La Mouffe, dove abbiamo scelto Papillon, un ristorante di cucina giapponese. Inoltre, tradizione vuole che in viaggio andiamo anche in un locale di shisha. Così, dopo il ristorante siamo andati a Chicha La CinQ dove il proprietario ci ha anche offerto il tè marocchino.

Parigi Durante il Confinamento: Una Maternità Surreale

Con un colpo di mano lascio Milano per la Francia prima del previsto: per scongiurare l'incubo di essere lontana da mio marito all'arrivo del nostro primo figlio. Nella Ville Lumiere mi sembra di riavvolgere il nastro, ma il “confinement” non tarda ad arrivare. Insieme a un'altra epidemia, virtuosa: la voglia pazza di rinascita.

Il giorno in cui iniziavo orgogliosamente il mio congedo di maternità - il 16 marzo - il presidente del Paese dove nascerà nostro figlio, la Francia, dichiara alla nazione «Nous sommes en guerre!». Quella stessa sera ho aperto un file bianco, intitolandolo “Maternità e confinement”, e ho imparato il gergo locale della nuova quotidianità in una Parigi in isolamento. Un diario per quando vorremo raccontare questo periodo surreale a chi è arrivato dopo il coronavirus.

A onor del vero, noi in isolamento volontario qui a Parigi vivevamo già da una settimana, perché di rientro dal Nord Italia. Io e mio marito, dopo circa 7 mesi di gravidanza a distanza (a causa di un lavoro a Milano e uno a Parigi), non sognavamo altro che il ricongiungimento. Avevamo pianificato il mio trasferimento in Francia per il 7 marzo.

Così, quando quella sera di sabato, si rumoreggia del decreto che avrebbe reso Milano e Lombardia “zona rossa” a partire dalla mezzanotte, con un rapido colpo di mano decidiamo di partire immediatamente in auto, gettando i biglietti aerei per il giorno successivo - «E se poi chiudono gli aeroporti?». Avremmo trovato un hotel ad Aosta, e al mattino saremmo ripartiti da lì. Stringo in un abbraccio hollywoodiano mia madre prima di mettere in moto. Non sapevo ancora che, superato il tunnel del Monte Bianco, mi sarei ritrovata nei panni scomodi di una persona che ha già visto il futuro.

Al risveglio la Ville Lumière, come ogni lunedì, apriva le boulangeries, mandava i figli a scuola, correva a prendere il metrò. Certo, si inizia a leggere del lockdown in Italia, così vicina ma ancora così distante. Rassicuriamo gli amici che ci chiedono notizie, ma in cuor nostro sapevamo già che il tempo della libertà era una clessidra a testa in giù e che presto anche la loro routine sarebbe stata sconvolta.

Nei primi giorni da expat esco solo per necessità stringenti. Per le visite alla mia nuova maternité francese, ad esempio. L’ecografista mi rivolge uno sguardo torvo al nostro primo incontro, quando le chiedo timidamente «La disturbo se indosso la mascherina?». Avrà pensato alla solita donna incinta ipocondriaca. Tornando a casa, sfila davanti a me il tram stipato e mi ritrovo a fissarlo incredula.

Al mattino ascoltiamo su RadioRai la rassegna stampa, la sera cerchiamo lo streaming di un tg italiano, come due emigrati nostalgici. Solo bollettini inquietanti e tristi escalation. A metà settimana mio marito riceve un messaggio ufficiale dalla sua azienda tech: l’indomani tutti al lavoro dalle proprie scrivanie di casa. Ecco, ci siamo.

Poi, in rapida successione, Emmanuel Macron annuncia di chiudere scuole, asili e università ma di mantenere le elezioni municipali di domenica (vive la République!). Segue il primo ministro Philippe, comunicando la chiusura di ristoranti, teatri, cinema e esercizi commerciali non indispensabili. L’allerta scatta rapida anche per noi: «Come siamo messi a pasta e sugo di pomodoro?».

Dentro di me realizzo che tutto lo shopping prenatale, carrozzina, lettino, abitucci, non sarebbe stato altro che una serie di asettici clic in un sito di e-commerce! Al supermercato tira tutt’a un tratto un’aria postapocalittica. Tra gli scaffali già vuoti, sembra aggirarsi il morso della fame più che la paura del contagio. Pochissimi rispettano la distanza di sicurezza. Addirittura un'anziana sbotta indispettita davanti a noi che ci allontaniamo di un metro: «Mais ça va devenir une psychose!». Vorrei risponderle: «No, Madame, mi creda». Ma non è tempo di polemiche.

Quei numeri di telefono segnati a penna mi regalano un sollievo momentaneo. Proprio perché queste persone non le ho nemmeno mai incontrate.L’annunciato confinement all’italiana, con autocertificazione scritta, non tarda ad arrivare: dal 17 marzo tutti sono tenuti a restare in casa, almeno per due settimane. Una stretta sulle norme dal 23 marzo prevede che a ogni uscita si indichi anche l’orario.

Ammessi spostamenti di lavoro, di approvvigionamento, di visite o cure mediche, di convocazioni giudiziarie o amministrative, di sport, di passeggio col cane o con una persona dello stesso domicilio, nel limite di un chilometro e per un’ora al massimo. Non ci resta che la tecnologia per mantenere vivi i rapporti sociali. Qui come dovunque.

Il brunch della domenica tra amici diventa allora una chiacchierata multilingue via Zoom (almeno via webcam possiamo mostrare che la famiglia si allarga!). Il corso preparto è una call Skype con le mamme del consultorio. Con le nostre famiglie ogni tanto ci videochiamiamo a cena. Alle 20 in punto, l’appuntamento ormai rituale con la casserolade, un applauso alle finestre con suono di pentole e fischi a sostegno del personale ospedaliero. E qualcuno rilancia anche lo slogan «Du fric pour l’hôpital public!». (Soldi alla sanità pubblica!).

Ora che il lockdown è globale, #covidhasnoborder, il mio cuore ha trovato uno strano senso di pace.

Un Libro in Valigia: "Paris Letters"

Torna la mia rubrica mensile con Un libro in valigia. Oggi vi voglio parlare di un libro che mi è capitato tra le mani per caso, ma che mi è molto piaciuto. Come per “Lunch in Paris“, anche in questo caso il libro è per la maggior parte ambientato a Parigi, una città che sto (ri)scoprendo anche grazie a queste ultime letture.

La storia comincia nella vecchia vita di Janice: 34 anni, un lavoro come copywriter in un’agenzia di pubblicità, una casa quasi sulla spiaggia a Santa Monica, un bel gruppo di amici.

That girl peering back at me from the water was me, just me. The real me. Not the other versions I tried to be to win anyone over. I took a breath and exhaled. I forgave myself for my prior judgments of not being good enough to be just who I was. The Janice MacLeod truth was I was just doing the best I could with what I knew at the time.

TAG: #Straniero

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