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Giorgio Caproni: Analisi del "Congedo del viaggiatore cerimonioso"

Pubblicato nel 1965, il "Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee" offre una dozzina di poemetti unificati dalla meditazione sui temi della vita e della morte. Il componimento "Congedo del viaggiatore cerimonioso" fu scritto nel settembre del 1960 e venne edito in "Palatina", una rivista letteraria di Parma. Fu poi stampato nel 1965 nel volume a cui dà il titolo.

Come gli altri poemetti del libro, è una prosopopea: il poeta, cioè, racconta un fatto (qui, un viaggio in treno) fingendo di essere un’altra persona, in questo caso un viaggiatore molto loquace, alter ego di Caproni. Schema metrico: lunga composizione di dieci strofe di versi liberi, alcuni di misura tradizionale. Dei versi quindi che rispecchiano direttamente l’animo del poeta, protagonista della sua lirica; un viaggiatore in treno decide di scendere alla prossima stazione, si prepara a prendere il bagaglio e a salutare i suoi compagni di viaggio.

Il linguaggio del testo annulla ogni retorica in un discorso leggero, svagato, un po’ petulante, contrariamente al titolo altisonante del libro. Contribuiscono a tale effetto numerosi elementi fatici, frequenti nella parlata quotidiana, ma non certo in poesia: per esempio: Scusate; oppure: Dicevo; ma, cos’importa. I versi sono legati tra loro da frequenti enjambements, come per avvicinare il discorso alla prosa; le rime ne accrescono la musicalità.

Il Viaggio come Metafora della Vita

Il tema del viaggio, già anticipato da Caproni nelle bellissime "Stanze della funicolare" (1952), si fonde a un altro tema, più profondo, quello dell’esilio dalla vita. Un po’ tutta l’opera di Caproni è uno struggente canzoniere d’esilio, un ininterrotto diario di viaggio verso l’incerto, o anzi verso il nulla e la morte. La vita è come un tunnel che rappresenta l’assenza o la scomparsa di Dio; intanto il poeta ricorda la madre, la propria città ecc. e celebra, con ironia, gli appuntamenti, i riti, le cerimonie quotidiane.

Il viaggiatore sa che deve scendere a una certa stazione (non sa però di che stazione si tratti). Perciò si prepara raccogliendo il suo bagaglio e salutando i vicini di scompartimento. L’io (il viaggiatore della vita) si pone davanti a una prova cruciale: vuole sperimentare (la vita) a cui si era affezionato. Il luogo del trasferimento lo ignoro, scrive il poeta: il treno del "Congedo" si allontana da ciò che è noto, per giungere a una meta ignota.

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Il senso di transitorietà rievocato in tutta la poesia, anche se studiato e trattato da numerosi poeti precedenti o contemporanei di Caproni, è reso veritiero da un’atmosfera di spossatezza quasi assimilabile alla vecchiaia. Un viaggiatore visto quindi come simbolo di ogni uomo che giunge alla sua ultima stazione salutando una vita ricca di storie. Un vero e proprio esilio dalla vita, una decisione presa dal nostro protagonista perché inevitabile, e accettata come fosse una tappa da superare. La vita è vista come un attimo concesso ad ognuno di noi per salutare ogni parte del mondo, un momento forse troppo esiguo perché elimini in noi la preoccupazione di scendere ad una stazione buia.

Analisi Fonetica e Prosodica

Uno studio si propone di esplorare gli aspetti musicali di un componimento poetico, attraverso metodologie di fonetica. Lo studio è concentrato sulla prosodia di Giorgio Caproni: a partire dalla sua lettura del "Congedo del viaggiatore cerimonioso", lo sguardo si è esteso ad altre undici voci (poetiche, radiofoniche, attoriali), impegnate nell’interpretazione dello stesso testo. L’intento principale è quello di studiare la differenza tra le scansioni prosodica e metrica primariamente, insieme a quello di individuare le modalità interpretative ritmiche e melodiche della lettura.

La necessità soggettiva ed ineliminabile di un avanzamento interiore permette di superare la paura dell’ignoto e si “parte” senza infatti sapere nulla, o quasi: “[…] Anche se non so bene l’ora / d’arrivo, e neppure / conosca quali stazioni / precedano la mia, / sicuri segni mi dicono, / da quanto m’è giunto all’orecchio / di questi luoghi, ch’io / vi dovrò presto lasciare. Il luogo del trasferimento / lo ignoro.

I versi successivi presentano la prima immagine di nebbia, simbolo dell’indeterminato che tutto nasconde e confonde. Mentre il mio occhio già vede / dal finestrino, oltre il fumo / umido del nebbione / che ci avvolge, rosso / il disco della mia stazione.

Innovazione e Originalità

Questo tipo di analisi è utile per gli studi sulla lettura della poesia, quasi assenti in Italia in ambito fonetico. Si può considerare un lavoro originale e unico, basato su letture di tipo esofasico, che può rappresentare un punto di partenza per studi successivi e di comparazione con gli studi metrici endofasici.

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Il Congedo come Opera Aperta

Il “Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee” esce nel 1965 e nell’intento di Caproni doveva rimanere una raccolta aperta, soggetta ad eventuali ampliamenti e modifiche. Le due brevi poesie iniziali già delineano quello che sarà il percorso del poeta: un viaggio dentro se stesso all’insegna della solitudine e del buio della notte.

Il passaggio diventa viaggio all’interno della dissoluzione delle cose, percorso ad inferos - reso significativamente persino nei suoi termini tecnici: treni, scali, cacciatori, compagni di viaggio - nella consapevolezza “d’aver più conoscenze / ormai di là che di qua” e nell’unica certezza di cui ormai dispone che “io / son giunto alla disperazione / calma, senza sgomento.”

La metafora del ‘passaggio’ s’infrange nell’impatto con la realtà che non consente situazionismi e vanifica ferocemente qualsiasi progetto utopico. Amara scienza, / si ricava dal viaggio! È positiva però, secondo me, la continua presenza del tema del viaggio in Caproni perché ciò significa costante desiderio profondo di cambiamento interiore. Il viaggio è naturalmente immaginario, pur essendoci treni, stazioni, viaggiatori e percorsi. I luoghi sono, però, quelli interiori, ci si orienta seguendo una “geografia dell’anima” e ci si addentra nei meandri oscuri del proprio Io.

La Solitudine e l'Esilio

Caproni sa bene che ad un certo punto è necessario allontanarsi dal caos e dal tumulto del mondo esterno perché occorre essere soli per entrare dentro di sé. Non c’è più comunione di idee e progetti: non si può più bere insieme, le strade si separano, l’uomo è solo nel buio, “[…] non ha / nessuno, nell’oscurità, / cui accostare il bicchiere…” (Il bicchiere).

Con il "Congedo del viaggiatore cerimonioso" si apre la galleria delle prosopopee, di personaggi in ambiguo rapporto di identificazione e di estraneità. L’espediente dei plurimi sdoppiamenti, dei ‘finti dialoghi’, sembra tendere ad esorcizzare il vuoto assoluto, supponendo un’illusione comunicativa, postulando la presenza di altre comparse silenziose, di una compagnia, sia pur futile e temporanea.

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Lo schema prescelto di prestare ad altri i propri sentimenti e quindi di riconoscersi nelle prosopopee - lamenti borie - degli altri mèzigue traduce il tentativo ultimo di Caproni di sdipanare il filo della propria solitudine attraverso questa sorta di voci di dentro che nel momento in cui tendono a diventare dimostrazione di dialogo finiscono per confermare che l’unica soluzione possibile è il monologo e dunque riaffermano ulteriormente la coscienza della crisi comunicativa. In questo senso le invenzioni caproniane acquistano il significato di finzione eretta a difesa dall’assedio del deserto e del nulla.

Il Distacco e l'Ignoto

Nella prima prosopopea si assiste dunque al distacco del viaggiatore, (ritorna la metafora viaggio/vita) che è il primo degli alter ego del poeta utilizzati nella raccolta, dai suoi compagni di viaggio: “Amici, credo che sia / meglio per me cominciare / a tirar giù la valigia. Ancora vorrei conversare / a lungo con voi.

Non porterà nemmeno / la lanterna. Là / il buio è così buio / che non c’è l’oscurità”. Siamo immersi dunque in questo ambiente che forse ci è noto. Il dialogo che conclude il racconto è terribilmente vicino al limbo di Giorgio Caproni: “Da allora sono morto (dice il cacciatore). - Lei vive anche, però. - In un certo senso sì, la mia barca funebre ha sbagliato rotta, da allora solca acque terrene. - E non partecipa all’aldilà? - Sto sempre sulla scala che vi sale.

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