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"Ho visto cose": il significato dietro il monologo cult di Blade Runner

Uno dei più grandi capolavori di Ridley Scott, e uno dei massimi picchi del genere, Blade Runner è uno di quei film che hanno solcato nel profondo l’immaginario collettivo. La ricchezza visiva della pellicola è invecchiata bene, considerando che il film è del 1982: ancora oggi siamo meravigliati dalla regia e dalla sua fotografia.

Quello che però è il merito più grande di Blade Runner è di aver ridefinito la sfera emotiva e cognitiva degli androidi, impostando un nuovo perno di riflessione nel filone fantascientifico. Non più semplici robot, ma umanoidi, ovvero simili all’uomo. Non solo nell’aspetto fisico, ma nel modo di relazionarsi con se stessi e la realtà.

Il monologo finale: un momento iconico

Uno dei momenti più alti del film è infatti il monologo finale, in cui il replicante Roy Batty dà libero sfogo alle sue memorie, che abbandona senza nascondere un’umanissima malinconia.

Quello di Blade Runner è uno tra i monologhi più famosi e influenti nella storia del cinema. Senza dubbio una pagina importantissima della storia del cinema. «Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire.»

L'incipit e il suo significato

L’incipit, passato alla storia come un vero e proprio modo di dire, marca la distanza tra i replicanti e gli uomini: “Ho visto cose, che voi umani…”. In effetti le imprese eroiche passate in rassegna da Roy sono davvero sovrumane. Gesta memorabili, che spariranno insieme a lui. I ricordi delle porte di Tannhauser e delle navi al largo di Orione non gli sopravvivranno. E in questa consapevolezza che il replicante si abbandona alla memoria, alla dolce reminiscenza delle sue esperienze.

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Assistiamo così all’umanizzazione di Roy. Le sue lacrime, lavate dalla pioggia, spariscono come i suoi ricordi nel momento della sua morte. È tempo di morire, conclude infatti l’umanoide. La morte è il punto di contatto tra il guerriero dell’extramondo e l’uomo. Ciò che lo rendeva superiore agli umani sparirà nella fine più naturale ed umana di tutte. E in procinto di scomparire, decide di risparmiare Rick, innalzando la sua vita ad un significato più alto. Si azzera così la distanza tra l’uomo e il robot, quando quest’ultimo riesce a riconoscere se stesso negli occhi di chi gli è di fronte. Il guerriero perfetto e invincibile muore da uomo, muore da eroe.

La genesi del monologo

Narrativamente Blade Runner ha quindi l’enorme pregio di essere riuscito a spingere fino alla conclusione la spannung del film, in questo meraviglioso colpo di scena. Persino durante le riprese la troupe non resistette alla commozione quando Rutger Hauer recitò il suo monologo. In pochissime righe è riuscito a stravolgere i risvolti principali del film, rivelando la natura profonda del suo personaggio.

Come molte delle cose più stupefacenti realizzate nel cinema, questo celebre monologo fu un’improvvisazione di Rutger Hauer. Ridley Scott e il produttore hanno confermato che nel copione originale il monologo era molto più lungo. Come detto fu proprio Hauer a riscrivere la battuta e a voler condensare il tutto in meno frasi. Secondo l’autobiografia dell’attore, egli decise di tagliare parte del monologo e di aggiungere semplicemente “E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia”.

Il significato delle parole

Questa frase, così come l’intero monologo, sono una sorta di riflessione del personaggio sui suoi simili, i replicanti. Ricordando le sue avventure e il suo passato, Roy Batty vuole far comprendere quanto lui e la sua specie siano ormai più che mai simili agli esseri umani.

La poeticità di quel monologo, oltre che dall'interpretazione magistrale che ne fece Hauer, viene dall'effetto profondo e intimista delle parole dette prima di morire. Sono le cose che si dicono prima di spegnersi a suscitare nell'ascoltatore, nella vita reale come nei film, un senso di empatia e di emozione. Il riferimento alle lacrime nella pioggia poi è una metafora ideale per riportare lo spettatore all'immagine del film, e alla sua plasticità.

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L'eredità del monologo

Una storia di un fascino inenarrabile quella di Blade Runner e di uno dei monologhi più celebri della storia del cinema. Se non credete che questa scena abbia influenzato così tanto l’immaginario comune fate una prova e chiedete a qualcuno di continuare la frase dopo le prime parole.

Di origine cinematografica, a differenza di molte altre espressioni divenute famose grazie alla letteratura, la frase “ho visto cose che voi umani” si presenta leggermente diversa nel monologo del personaggio del film doppiato in italiano. La famosa frase, ormai divenuto un vero e proprio modo di dire, trae origine da Blade Runner, il film fantascientifico cult degli anni Ottanta diretto nel 1982 da Ridley Scott, interpretato, tra gli altri, da Rutger Hauer e Harrison Ford e liberamente ispirato al romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Philip K.

La frase, al pari di altri modi di dire nati da film o libri particolarmente famosi, viene utilizzata prettamente in conversazioni informali e scherzose col significato di “ho visto cose difficili da credere” oppure “ho assistito ad una situazione inverosimile”. È diventato ormai un tormentone nel linguaggio parlato: «Ho visto cose che voi umani…».

L'influenza del monologo, nel cinema come nella cultura, può essere notata in innumerevoli riferimenti e tributi. Vale la pena di ricordare come nel film di Tony Scott Domino del 2005, il personaggio di Keira Knightley abbia un tatuaggio dietro al collo con la scritta "Tears in the Rain (lacrime nella pioggia)".

La "correzione" della frase

Chi di noi non ha mai sentito dire: "ho visto cose che voi umani..."? La frase è così celebre che è diventata di uso comune, moltissimi la citano e la usano addirittura senza mai aver visto Blade Runner, il film da cui è tratta. Certo, il protagonista fu interpretato da Harrison Ford, eppure la parte più iconica e memorabile di tutto il film è probabilmente proprio quel monologo pronunciato da Rutger Hauer, da poco scomparso.

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Ma per quanto quella frase, quella parte di monologo, sia diventata celebre come lo è oggi, alcune cose sono ancora poco note. Un esempio? La frase è sbagliata. Sì, perché per quanto possa sembrare assurdo, Hauer non dice "Ho visto cose che voi umani non potete immaginare" ma "Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi". Un classico caso di ricordo collettivo che, man mano che passa di bocca in bocca, di citazione in citazione, si è modificato allontanandosi dalla realtà.

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