Lo Straniero Oggi: Una Definizione Multisfaccettata
Oggi l’Europa si pone continuamente il problema di chi sia lo straniero e di come si faccia ad essere stranieri e la questione si pone sia per le persone che accolgono, sia per quelle che invece rifiutano lo straniero, dunque per l’ospitalità come per l’ostilità , tanto che Derrida parlava di hostipitalité. In entrambi i casi bisogna interrogarsi sulla figura dello straniero.
Viviamo in un mondo sempre più globalizzato e in movimento, sperimentiamo sempre di più le frontiere, l’esperienza dell’altro, e ogni volta ci ritroviamo ad essere definiti come stranieri o a definire gli altri come stranieri.
I Criteri per Definire lo Straniero
Michel Agier analizza la figura dello straniero in base a tre criteri:
- Spaziale/Geografico: Lo straniero è colui che arriva da fuori, l’outsider. Questa definizione genera spesso conflitti tra coloro che si sono stabiliti in un luogo e che si considerano autoctoni e coloro che arrivano da altrove e non avrebbero posto in quello stesso luogo.
- Giuridico/Geopolitico: I giuristi lo definiscono “estraneità ”: si tratta delle condizioni giuridiche a cui è soggetto qualcuno che non dipende dallo Stato in cui arriva, è quindi il rapporto tra lo straniero e la cittadinanza. Noi associamo quest’ultimo concetto alla nazionalità : i diritti per gli italiani, i diritti per i francesi, i diritti per gli americani. Ma quando qualcuno arriva da fuori, non ha gli stessi diritti, per cui uno Stato deve chiedersi quale diritto concedere allo straniero: il permesso di soggiorno, la residenza, il diritto di lavorare, di votare alle elezioni, di far studiare i propri figli, sono tutti diritti che insieme possono formare il cosiddetto diritto di cittadinanza. Quindi oggi possiamo misurare in modo graduale la condizione di straniero per ciascuno in funzione del suo rapporto con la cittadinanza. Possiamo anche chiederci se occorra immaginare un diritto che non dipenda solo dalla nazionalità , dato che ci sono sempre più persone che si spostano e si scontrano con il fatto di essere considerate straniere nei luoghi in cui vanno.
- Culturale/Psicologico: Corrisponde alla parola inglese stranger, che significa straniero e strano. Quando osserviamo una persona straniera notiamo comportamenti che giudichiamo strani, perché diversi dai nostri, e questo apprendimento culturale può permettere una trasformazione. Lo straniero si trasforma non appena arriva in un luogo perché impara altre parole, altri modi di vestirsi, di mangiare, di viaggiare. Tutto è diverso e quello che reputava normale diventa strano. Allo stesso modo, quello che per lui era strano è perfettamente normale per le persone del posto in cui arriva. E allora che succede? Che lo straniero diventa più intelligente perché relativizza le cose e constata che la sua cultura non è l’unica al mondo, che il suo non è l’unico mondo esistente. Ce ne sono tanti, ci sono tante differenze, si impara a gestirle e a conviverci.
Manca un elemento importante, ossia lo straniero assoluto, lo straniero negativo, quello che non vogliamo vedere, che incontriamo nei campi e lasciamo morire nel Mediterraneo come se niente fosse. 40.000 stranieri morti nel Mediterraneo dalla creazione dell’Europa di Schengen dal 1995. 40.000 morti nel Mediterraneo. Com’è possibile?
Se immaginiamo i tre criteri di cui parlavo poco fa (la stranezza, l’estraneità , l’esteriorità ) e ci eleviamo al di sopra di essi, troviamo la felicità di vivere nel mondo, una felicità cosmopolita, la gioia di spostarsi su un pianeta in cui i propri diritti valgono ovunque e la propria cultura è rispettata ovunque.
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La condizione di straniero per gli uni e gli altri è ben diversa e se andiamo fino in fondo nell’analisi troviamo l’inferno del cosiddetto alieno, che è colui che è totalmente altro, che possiamo lasciar morire senza chiederci se ci sia un’umanità che ci accomuna, perché non lo vediamo nemmeno.
Ius Soli, Sanguinis, Scholae e Culturae: Cosa Significano?
Da anni in Italia si attende una riforma sostanziale della legge che riconosca piena cittadinanza ai bambini e alle bambine che nascono o giungono da piccoli nel nostro Paese. Negli ultimi anni in Parlamento sono state presentate diverse proposte di legge, differenti per contenuti e ampiezza. Tuttavia, il processo legislativo non ha mai portato ad una riforma.
Ius Soli
Il principio dello ius soli (dal latino “diritto del suolo”) prevede che la cittadinanza sia acquisita per il fatto di essere nati sul territorio dello Stato. La cittadinanza, quindi, è legata al luogo di nascita. Si definisce “condizionato” o “temperato” quando per ottenere la cittadinanza non basta essere nati nel territorio dello Stato, ma bisogna avere altri requisiti.
In Italia attualmente lo ius soli viene concesso solo in casi eccezionali: per i figli di genitori ignoti, per i figli di genitori apolidi (senza cittadinanza) e per i figli di genitori stranieri che, secondo le leggi dello Stato di appartenenza, non possono trasmettere loro la cittadinanza.
Ad oggi in nessun Paese europeo vige lo ius soli “puro”, ma molti Stati hanno approvato diverse forme di ius soli “temperato” o “condizionato”, in cui al requisito di nascita sul territorio se ne aggiungono altri relativi alla condizione dei genitori. Ad esempio, essere in possesso di un permesso di soggiorno e aver risieduto nel Paese per un certo periodo di tempo.
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Ius Sanguinis
Il principio dello ius sanguinis prevede che la cittadinanza sia acquisita per discendenza o filiazione. In Italia, si ottiene la cittadinanza tramite questo principio, o per naturalizzazione, come prevede la Legge 91 del 1992. Pertanto, il cittadino di origine straniera, anche se nato in Italia, non acquisisce automaticamente e autonomamente la cittadinanza italiana, neanche se i suoi genitori risiedono regolarmente nel territorio da molti anni.
Il cittadino straniero può richiedere la cittadinanza italiana se ha raggiunto i 10 anni di residenza regolare ininterrotta (naturalizzazione). Il figlio minorenne di genitori stranieri può a sua volta acquisire la cittadinanza se uno dei due genitori ha acquisito la cittadinanza per naturalizzazione e vi convive stabilmente. In alternativa, può chiederla a 18 anni di età , entro il compimento dei 19, se è nato in Italia e vi ha risieduto stabilmente e ininterrottamente.
Il procedimento di acquisizione della cittadinanza in Italia presenta un iter complesso, costoso ed estremamente lungo. Non tutte le famiglie riescono a completarlo, così che anche i minorenni di quelle famiglie perdono opportunità preziose per il loro futuro.
Ius Scholae
Ius scholae è un’espressione recente, coniata negli anni scorsi per indicare la possibilità di acquisire la cittadinanza al compimento di un ciclo di studi. Di ius scholae si è tornato a parlare recentemente nel dibattito politico, ma già a marzo 2018 era stato presentato un testo di riforma della legge sulla cittadinanza basato su questa regola.
La proposta, arenatasi alla Camera a giugno 2022 in seguito al cambio di Governo, prevedeva il riconoscimento della cittadinanza italiana per i minorenni stranieri nati in Italia o arrivati prima del compimento dei 12 anni che avessero risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia, e che vi avessero frequentato regolarmente almeno 5 anni di studio, in uno o piĂą cicli scolastici.
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Ius Culturae
Lo “ius culturae” è un’espressione coniata per definire un’altra specifica proposta di legge approvata dalla Camera nell’ottobre del 2015, fermatasi al Senato nel 2017, che prevedeva l’ottenimento della cittadinanza per i minori stranieri nati in Italia o entrati entro il 12esimo anno di età , che avessero “frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli presso istituti scolastici del sistema nazionale, o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali”, conclusi con la promozione.
In sostanza la proposta di legge legava la concessione della cittadinanza al completamento di un ciclo scolastico con successo.
La Situazione nelle Scuole Italiane
La presenza di alunni e alunne con background migratorio nelle nostre scuole è strutturale da anni ormai: secondo gli ultimi dati dell’Ufficio Statistica del Ministero dell’Istruzione e del Merito, nelle scuole ci sono 914.860 studenti e studentesse con cittadinanza non italiana. Bambine, bambini e adolescenti “italiani” di fatto ma non di diritto.
La Richiesta di un "Ius Soli" Condizionato
Da anni chiediamo al Parlamento di rivedere l'attuale legge sulla cittadinanza, una legge vecchia 30 anni, per riconoscere la cittadinanza ai bambini, alle bambine e a tutti coloro che sono nati o arrivati da piccoli nel nostro Paese, rispondendo a una domanda di appartenenza e diritti rimasta per troppo tempo inascoltata.
Ciò che abbiamo chiesto è uno "ius soli condizionato” (o “temperato") dalla residenza legale dei genitori in Italia, come già accade in molti altri Paesi europei.
Il cambiamento riguarderebbe minori che di fatto si sentono italiani ma formalmente non lo sono, e che per questo motivo non possono partecipare pienamente e attivamente alla vita sociale, e in prospettiva futura anche politica ed economica, del Paese. Si tratta di offrire un'equa opportunità alle nuove generazioni che vivono in Italia e introdurre una legge al passo con i tempi che possa portare beneficio a tutti e contribuire allo sviluppo del Paese. In una stagione delicata come quella della crescita, la cittadinanza è fondamentale per rafforzare il senso di appartenenza alla comunità nella quale si cresce e sostenere le aspirazioni per il futuro.
Il Trattamento dello Straniero nel Diritto Internazionale
Tradizionalmente, il tema del trattamento dello straniero nell’ambito del diritto internazionale assumeva rilievo con riferimento agli obblighi dello Stato nei confronti dei cittadini all’estero, alla responsabilità internazionale dello Stato nei confronti dei cittadini stranieri per danni ad essi causati, nonché, al pregiudizio arrecato ai rispettivi beni o diritti patrimoniali. I tentativi di codificare lo statuto dello straniero sono rimasti senza successo e le convenzioni adottate sul tema si limitano a regolare specifiche categorie (rifugiati, apolidi, migranti lavoratori) oppure definiscono, su base bilaterale o multilaterale, norme che direttamente o indirettamente attengono al trattamento dei rispettivi cittadini (persone fisiche o giuridiche), o ancora riguardano determinati profili (es. traffico di persone), ma non affrontano la condizione dello straniero o del migrante in termini generali.
Nel secolo scorso, l’emergere dei diritti umani ha, però, inciso direttamente e profondamente sulla condizione dello straniero, portando a riconsiderare il tema in maniera più ampia entro il quadro della protezione internazionale dei diritti della persona, rispetto all’approccio impostato sui vincoli ed impegni esistenti fra gli Stati nel trattamento dei rispettivi cittadini.
Se, in una visione tradizionale, lo Stato è ritenuto libero di decidere in merito all’ammissione, al trattamento e all’espulsione dello straniero, quale prerogativa della propria sovranità , il processo evolutivo in corso solleva interrogativi in merito all’esistenza di standard o garanzie definiti a livello internazionale, in virtù degli obblighi di tutela dei diritti umani, a cui lo Stato debba attenersi.
Infine, un’ulteriore incidenza sulla definizione del trattamento dello straniero va ascritta ai processi di integrazione regionale. Si distingue in tal senso il processo di integrazione europea, ove gli aspetti attinenti alla libertà di circolazione e di stabilimento dei cittadini degli Stati membri sono stati assunti a fondamento del progetto sin dall’inizio.
Emergeva nel frattempo, però, una diversità di visioni in merito al trattamento da riconoscere allo straniero: da un lato i sostenitori di un obbligo dello Stato di assicurare ad esso un trattamento non diverso da quello spettante ai propri cittadini (“standard di trattamento nazionale”) e dall’altro lato chi invece riteneva si dovesse assicurare un minimo di garanzia e protezione non inferiore a un certo parametro o standard (“standard minimo internazionale”).
Va ricondotta a tale dottrina la clausola inserita dai Paesi latino-americani, nei contratti con imprese straniere, di rinuncia alla protezione del proprio Stato (cd.
Nei decenni successivi, il mutato contesto internazionale determinato dal processo di decolonizzazione, con le conseguenti trasformazioni sociali e di governo e le istanze per un nuovo ordine economico internazionale, rinvigorì il dibattito, mettendo in discussione l’istituto della protezione diplomatica così come le norme sulla responsabilità per danni agli stranieri, ritenute espressione di un diritto internazionale proprio dei Paesi occidentali e imperialisti.
Anche riprendendo le ragioni precedentemente invocate dai Paesi latino-americani, i nuovi Stati rivendicavano una sovranitĂ piena sulle risorse naturali e su tutte le attivitĂ economiche esercitate nel territorio, affermando il diritto di espropriare e nazionalizzare senza doversi attenere a determinati limiti, e ribadendo la competenza delle giurisdizioni interne del Paese, e delle leggi nazionali, in caso di controversia.
Successivamente, su iniziativa della Commissione dei diritti dell’uomo, più precisamente dalla Sottocommissione per la lotta contro le misure discriminatorie e per la protezione dalle minoranze, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, con risoluzione del 13 dicembre 1985, n. 40/144, adottò la Dichiarazione sui diritti umani delle persone che non sono cittadine del Paesi in cui vivono. In essa era definito il trattamento del solo straniero legalmente residente, sotto diversi profili, con attenzione alla necessità di garantire un complesso di diritti civili.
Secondo un’impostazione tradizionale, l’esercizio della protezione diplomatica in caso di violazione di un diritto commessa da uno Stato straniero all’estero nei confronti del cittadino si configura come un diritto proprio dello Stato (l’individuo non rilevando in quanto tale), che viene esercitata dallo Stato di origine sulla base di una “finzione”. La protezione dei diritti del cittadino è, infatti, attuata “fingendo” che la violazione sia stata, in realtà , perpetrata ai danni dello Stato stesso.
Più di recente l’istituto è apparso caratterizzarsi per una maggiore attenzione ai diritti della persona offesa. Rilevano in proposito alcune importanti decisioni rese da Corti internazionali, nonché il Progetto di articoli sulla protezione diplomatica, adottato dalla Commissione di diritto internazionale nel corso della 58a sessione nel 2006, ove appunto si tiene conto, per alcuni profili (si vedano gli artt. 6 e 8 del Progetto) dei diritti della persona in quanto tale, piuttosto che di quelli del cittadino ovvero del Paese di appartenenza dello stesso.
Il tema della protezione diplomatica e consolare è stato affrontato anche nell’Unione europea, disponendo l’art. 23 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione europea; nella parte relativa alla cittadinanza dell’Unione) che ogni cittadino dell’Unione gode, nel territorio di un Paese terzo in cui lo Stato membro di cui ha la cittadinanza non è rappresentato, della tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato.
Anche alla luce del principio di non discriminazione, che insieme a quello di uguaglianza, informa l’intero sistema dei diritti umani, è stata posta sempre maggiore attenzione verso un obbligo degli Stati di rispettare, proteggere e dare attuazione ai diritti fondamentali di tutti gli individui presenti nel loro territorio, a prescindere dalla nazionalità . Sulla base del principio di non discriminazione viene, infatti, sempre più di frequente valutata la legittimità di limitazioni apposte alla condizione dello straniero, caratterizzandosi il sistema dei diritti umani su una premessa di universalità che rende eventuali eccezioni fondate sulla nazionalità ammissibili solo in alcune limitate ipotesi in cui la distinzione tra cittadini e non cittadini sia funzionale ad uno scopo legittimo (si vedano le affermazioni nel rapporto The rights of non-citizens del Relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti dei non cittadini Weissbrodt, doc. E/CN. 4/Sub.
In tale solco va quindi collocata l’adozione, nel 1990, della Convenzione delle Nazioni Unite sulla protezione internazionale dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie. Tale convenzione, che contribuisce a definire lo statuto di una particolare categoria di essi (il migrante lavoratore), in relazione a una pluralità di aspetti (tra cui accesso al mercato del lavoro, istruzione, salute, diritti processuali) è entrata in vigore nel 2003, ma la sua portata appare limitata dalla circostanza che è finora stata ratificata essenzialmente dai Paesi di origine dei migranti.
Essa, inoltre, contiene un elenco (parte terza) di tutti i diritti spettanti specificamente a tale categoria di stranieri, a prescindere dal proprio status, sancendone pertanto l’applicazione anche agli immigrati in posizione irregolare.
Allo stato attuale, appare quindi corretto ricostruire il trattamento dello straniero delineandolo come sintesi tra gli aspetti “tradizionali” e le norme che tutelano i diritti fondamentali dell’individuo. Emergono così alcuni diritti di carattere assoluto (è il caso in particolare del diritto alla vita o del divieto di trattamenti inumani e degradanti), rispetto ad altri per i quali invece si impone un’esigenza di bilanciamento tra la tutela dell’individuo e della comunità , e le restrizioni sono ammissibili purché apposte entro determinati parametri di legittimità .
Lo straniero non gode, tradizionalmente, di quelle situazioni giuridiche soggettive che danno titolo ai componenti della collettività di partecipare attivamente al suo governo, alla formazione della volontà dello Stato: il diritto di elettorato attivo e passivo, l’accesso agli impieghi e uffici pubblici in genere, la libertà di associazione per fini politici, sono in linea di principio riservate dalle Costituzioni ai cittadini. Alcune eccezioni limitate a un diritto di elettorato a carattere locale si rinvengono nell’ambito di iniziative convenzionali promosse dal Consiglio d’Europa (in particolare la Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale) e nell’istituzione della cittadinanza dell’Unione europea. Pur emblematiche di un processo di sempre più stretta integrazione e assimilazione esse sono, tuttavia, rivolte ai soli cittadini dei rispettivi Paesi membri.
Va, in un profilo evolutivo, segnalato che la residenza legale e prolungata in un Paese diverso da quello di cittadinanza sta assumendo rilievo nell’ambito del rapporto tra l’individuo e lo Stato, tanto da far ritenere che sia in corso di formazione una nozione distinta da quella di cittadinanza, tesa ad esprimere l’appartenenza ad una comunità , e definibile come “cittadinanza di residenza” o cittadinanza “civile” o “civica”. La persona residente acquisirebbe uno status che, per certi profili, assomiglia a quello del cittadino, vale a dire della persona riconosciuta dallo Stato come proprio appartenente.
Diversi atti e programmi successivi alla “comunitarizzazione” della politica in materia di visti, asilo e immigrazione (Trattato di Amsterdam, 1997) hanno affrontato il tema della partecipazione alla vita pubblica dei migranti, prospettando una nozione di “cittadinanza civile”.
Nell’ambito dei diritti civili si riscontra una maggiore coincidenza tra l’approccio tradizionale e la nuova prospettiva di tutela dei diritti della persona. Anche allo straniero sono, infatti, riconosciuti i diritti e le libertà ...
Studenti con Cittadinanza Non Italiana nelle Scuole Italiane (Anno Scolastico 2022-2023)
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