Il Caso Marzia Corini: Una Vicenda Giudiziaria Complessa e Controversa
La storia di Marzia Corini è una vicenda giudiziaria complessa e interessante che ha inchiodato un medico anestesista, aderente a Medici Senza Frontiere, in Italia, travolta da uno tsunami mediatico e giudiziario.
L'Inizio della Storia: Una Famiglia, un Fratello e una Discriminazione
Due fratelli, distanti ma profondamente uniti, una spietata famiglia bene, una città “piccola”. Marzia Corini viene cacciata dalla famiglia a 19 anni di età perché non accettata la sua relazione con un’altra donna. Lei va per la sua strada a testa alta, costruisce da sola il suo destino. Si laurea e si specializza in anestesia; per 18 anni lavora in ospedale. Poi parte, scegliendo di fare il medico senza frontiere. I rapporti con i suoi li ha interrotti da anni, brutalmente discriminata sia per la sua rivendicazione di libertà sessuale, sia per il rifiuto di “fare carriera”, operando invece sul fronte di guerra.
È felice. È realizzata.
Il Ritorno alla Famiglia e la Morte di Marco
Purtroppo, la famiglia ricompare. Il fratello Marco, avvocato, si ammala di cancro. E la pretende accanto, dopo 15 anni di silenzio. A 52 anni, il grande avvocato è ricco, convive con una ventenne, è brillante e circondato di gente, ma forse si sente solo. Forse si accorge che il suo stile di vita, improntato all’apparenza, l’ha privato di persone con cui parlare davvero. Marzia non cede subito, spaventata all’idea di ripiombare nell’incubo della famiglia. Solo che Marco la tormenta. Purtroppo, alla fine, cede.
Marco, malato terminale, muore durante la sedazione che Marzia gli pratica per lenire le sofferenze. La arrestano. La accusano di omicidio volontario, inizialmente anche premeditato. Marzia è confusa, non scappa, è incensurata, è certa che sia tutto un equivoco.
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Il Processo e le Accuse
Su di lei si legge di tutto, perfino che abbia ucciso per impedire le nozze di Marco con la giovanissima convivente. Ma è vero? Marzia si ribella invano, si sente «di fronte ad un plotone di esecuzione». Il Pm chiede 22 anni, gliene danno 15. «Senza un movente e senza una prova», ripete lei. Ma il sedativo usato da Marzia poteva uccidere? No. Emerge al processo. Solo in quantità impressionanti, ed in condizioni estreme, avrebbe potuto provocare un infarto. Ma Marco non è morto di infarto. È morto due ore dopo l’infusione.
L'indagine parte da una denuncia di falso in testamento presentata da un amico di Marco Corini. Marzia Corini è stata arrestata nel febbraio del 2016 e condannata in primo grado a 15 anni. La sentenza è stata ribaltata nel maggio 2022 dalla Corte d'Appello di Genova che l'ha assolta parlando di "morte naturale". Nell'aprile del 2023 la Cassazione ha annullato l'assoluzione con rinvio "per difetto di motivazione". I giudici hanno anche disposto il "non doversi procedere" per prescrizione per altri due reati contestati: un presunto furto di farmaci e un presunto falso nel testamento del fratello dell'imputata.
Le Sentenze e i Ribaltamenti
Nel maggio 2021 era arrivata la sentenza della Corte d'Assise del tribunale della Spezia, che aveva condannato Marzia Corini a 15 anni. Assieme a lei, condannata a 4 anni l'avvocata ed ex collega di studio di Corini, Giuliana Feliciani.
La sentenza di primo grado era stata poi ribaltata nel maggio 2022, quando la Corte d'appello di Genova, aveva assolto Marzia Corini dal reato di omicidio volontario. Il procuratore generale Roberto Aniello aveva chiesto la conferma della condanna per omicidio ritenendo però che il delitto non fosse stato dettato da ragioni economiche legate all'eredità, come stabilito dai giudici di primo grado, ma dalla volontà di mettere fine alle sofferenze del fratello. Assolta anche la collega di studio di Corini, Giuliana Feliciani.
Nell’aprile del 2023 un nuovo ribaltamento: la Cassazione aveva annullato l’assoluzione in appello, una sentenza giudicata “manifestamente illogica e irragionevole”, e ha chiesto alla Corte d’Appello di Milano di pronunciarsi nuovamente nel merito del caso. Tenendo in considerazione la prova ritenuta centrale nell’inchiesta: una frase pronunciata dall’imputata, intercettata, in una conversazione telefonica fatta con un'amica: "In realtà ho deciso io per lui quando non era più tollerabile e questa è una cosa che mi porto dentro”. La sentenza è arrivata mercoledì al processo di Appello bis, che si è celebrato a Milano.
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La procura generale milanese aveva chiesto la condanna a 14 anni e 2 mesi di reclusione, in linea con quella inflitta in primo grado.
L'Assoluzione e le Reazioni
“Assolta perché il fatto non sussiste.” Questa la sentenza della corte d’assise d’appello di Milano nei confronti di Marzia Corini, accusata di aver ucciso il fratello Marco Valerio, malato terminale, con un'iniezione di sedativo, nel settembre 2015.
“Il primo pensiero è che questo sistema è sbagliato, non si può prendere la vita di una persona innocente per otto anni e farle patire le pene dell’inferno”, ha commentato Marzia Corini dopo la lettura del dispositivo. “Adesso comincerò finalmente a elaborare il lutto di mio fratello, perché per ora ho potuto ripercorrere la sua morte centinaia di volte e analizzare la sua agonia minuto per minuto centinaia di volte, ora comincerà la mia vita privata”.
Così al termine del secondo processo di appello davanti alla Corte D'assise di Milano sul caso della morte del noto avvocato spezzino, scomparso nel settembre 2015 nella sua villa di Ameglia.
Per l’accusa Marzia Corini, che conosceva il fratello come uomo attaccato alla vita, ha voluto che lui “non avesse coscienza della morte imminente” ed è intervenuta con questa finalità. Tuttavia “sicuramente è mancato il consenso” e il movente è sì personale e familiare, ma anche economico, perché “è un dato di fatto che ci sia stata una contrapposizione forte, anche con mire economiche” legate al testamento. Per questo ha chiesto la pena minima per il reato di omicidio.
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Accolta la richiesta dell'avvocato Vittorio Manes, difensore con il collega Giacomo Frazzitta, che in aula aveva detto "Marzia Corini deve essere assolta perché la sua condotta come sorella e come medico è stata ineccepibile", come stabilito dalla corte d'appello di Genova nel precedente processo di secondo grado. Per la difesa “non è provato oltre ogni ragionevole dubbio che la causa di morte in concreto sia stata quella somministrazione”.
"Il primo pensiero è che questo sistema è sbagliato, si sono presi per 8 anni la vita di una persona innocente", le prime parole di Marzia Corini. "Penso alle persone che non possono permetterselo, è un sistema da cambiare dalle fondamenta, io devo la mia vita ai miei due avvocati", ha aggiunto Corini, con a fianco i legali Vittorio Manes e Giacomo Frazzitta: "Da ora comincerò a elaborare il lutto per mio fratello, finora ho solo ripercorso per centinaia di volte la sua agonia".
Il Ruolo dei Media e gli Interrogativi
«Se finisci nel tritacarne mediatico, da imputata la tua voce non conta niente». Rientrata su pressione del fratello Marco, avvocato di successo, malato terminale di cancro, l’ha assistito fino alle fine, avvenuta nel settembre 2015. Due mesi dopo, mentre rientrava all’estero, è stata accusata da una persona estranea alla famiglia di aver scritto di suo pugno il testamento del fratello, sotto dettatura. L’uomo, non destinatario di quote ereditarie, lo aveva saputo da lei. La dottoressa non riteneva fosse un reato e l’aveva raccontato pubblicamente. All’epoca la persona che la denuncia risulta sotto processo per associazione a delinquere. Sulla base delle sue parole Marzia Corini viene immediatamente messa sotto indagine e sotto intercettazione. Viene arrestata nel febbraio 2016, con l’accusa di omicidio, perché in una telefonata avvenuta quattro mesi dopo la morte di Marco si accusa di aver contribuito alla sua scomparsa. Non parla mai di uccisione, ma di generica responsabilità. Su questa telefonata l’accusa costruisce un teorema di omicidio, basato su una presunta iniezione di sedativo che avrebbe accelerato la morte dell’avvocato.
Si scatena una campagna mediatica a senso unico, una spettacolarizzazione delle posizioni della sola accusa. Marzia Corini viene condannata a 15 anni, in primo grado, dal tribunale della Spezia. Il pubblico ministero ne aveva chiesti 22. La riduzione viene motivata con le violenze subite per tanti anni dalla donna, da parte della famiglia, dalla quale si era definitivamente allontanata da 15 anni, per dedicarsi alle missioni umanitarie.
La vicenda dei due fratelli Marco e Marzia, protagonisti di un classico rapporto di amore e di odio, si è trasformata da subito, mediaticamente, in una narrazione spettacolarizzata. E questo pone con forza, ancora una volta, il problema dell’appiattimento della cronaca giudiziaria italiana sulle sole tesi dell’accusa. Su Marzia Corini si è letto di tutto. Le è stato cucito addosso, da subito, un ruolo da avida assassina. Un ritratto surreale, per un medico come lei, da sempre disinteressata al denaro, in fuga dalla famiglia bene che la voleva omologata. L’unica “verità” veicolata dai media, dall’inizio alla fine è stata quella ipotizzata in fase di indagine. Poco o nulla è uscito su quanto emerso il dibattimento. Marzia è rimasta pertanto intrappolata in un facile schema stereotipato, enfatizzato dal meccanismo spaventoso del copia & incolla. Fin da subito si è letto “dell’omicidio Corini”, e non del “presunto omicidio”. Fin da subito è stata proposta come “la sorella killer”, “piombata come un avvoltoio al capezzale del ricco fratello morente”, accusata di “averlo ucciso per impedirne le nozze con la giovanissima fidanzatina”. Eppure in aula è emerso tutt’altro. Era una bugia, che Marzia volesse impedire le nozze del fratello. Fu Marco Corini a dire ripetutamente “no” alla convivente, anche poco prima della morte. Era una bugia, il fatto che fosse tornata di sua iniziativa. Fu Marco Corini a tormentarla perché tornasse.
Marzia è un esempio di vittima perfetta. Donna, e per questo da subito spogliata della professionalità, dei titoli, e indicata costantemente solo come “sorella”. Donna omosessuale, e per questo da subito proposta come “diversa”. Donna omosessuale che lascia il posto fisso in ospedale per fare volontariato negli scenari di guerra, e per questo ritratta come “perdente”. In aula è riecheggiato un linguaggio fortemente sessista. E questo pone ancora un altro problema, l’utilizzo di parole impregnate di pregiudizi, nei confronti delle imputate donne. Gli esempi sarebbero tantissimi. Le è stato contestato i non essersi immolata pienamente per il fratello, di non essersi annientata per lui. Secondo l’accusa, dedicandosi ad altri pazienti, all’estero, avrebbe «tradito il vincolo di sangue e il giuramento di Ippocrate».
Eppure Marzia è stata una vittima di quel fratello. È stata cacciata dalla famiglia, fascistissima, a 19 anni, perché innamorata di un’altra donna. Quando il padre le ha puntato la pistola alla testa, dopo che Marco aveva fatto la spia sulla sua omosessualità, lei se n’è andata, a testa alta, e si è laureata da sola, grazie al sostegno degli amici. Dopo 18 anni in ospedale, stimatissima, ha scelto di fare il medico umanitario. Brutalmente discriminata per la sua rivendicazione di libertà sessuale e per il rifiuto di “fare carriera”, per 15 anni non ha più visto e sentito Marco. Era felice. Era realizzata. Purtroppo, la famiglia è ricomparsa nella sua vita. A 52 anni, il grande fratello avvocato, ricco, convivente con una ventenne e circondato da una corte di ammiratori, si è accorto di essere solo. E l’ha voluta accanto. A Marzia è stato contestato di aver atteso, prima di tornare. Era spaventata, all’idea di ripiombare nell’incubo della famiglia. E quando Marco le aveva offerto soldi, aveva rifiutato, sdegnata. Marzia cede per altre agioni. Cede solo perché il fratello le dice di essere pentito. E lei vuole crederci. Fra strappi e riappacificazioni, perché lui non è mai cambiato, lei gli sta comunque accanto fino alla fine. Marco, malato terminale, muore durante la sedazione che Marzia gli pratica per lenire le sue sofferenze. In lutto, senza prendere nemmeno un euro dall’eredità, la dottoressa torna al suo lavoro all’estero e predispone la donazione dei soldi a Medici Senza Frontiere. È ignara dell’inchiesta, perché le notifiche non le vengono inoltrate dove tutti sanno che vive e lavora, ma a vecchissimi indirizzi. Per cui non le vede. La arrestano come torna in Italia. La accusano di omicidio volontario, inizialmente anche premeditato. Marzia è confusa. Non scappa. È incensurata, è certa che sia tutto un equivoco.
Chi l’ha denunciata? Un non familiare. E per quale presunto reato? Per falso in testamento. L’ha saputo da lei, che solo la firma era di Marco, ma che lui le aveva chiesto di scrivere il testo in sua presenza, al suo posto, perché gli tremava la mano. Perché la denuncia, peraltro mesi dopo? Perché, secondo l’accusa, ha un animo nobile. Si dichiara «grande amico» dell’avvocato morto di cancro, che l’ha assistito penalmente in tante controversie. E contesta il fatto che la compagna ventenne di Corini (che non denuncia nulla e che non si costituisce nemmeno parte lesa) abbia ricevuto solo mezzo milione di euro. È un uomo con una vecchia condanna per appropriazione indebita, con una serie di pesanti pendenze fiscali aperte e con un processo penale che si trascina da anni, per presunta associazione a delinquere, di fronte allo stesso giudice che condannerà Marzia.
Marzia si chiede se il contesto di una città “piccola”, intrisa di relazioni interpersonali, non abbia condizionato - anche inconsapevolmente - la tenaglia della giustizia nei suoi confronti. Il suo processo si consuma fra 2016 e 2021. In cinque anni. Il processo lumaca che vede imputato il suo accusatore per fatti del 2013, documentati da un’inchiesta accuratissima della Finanza, risulta invece ancora aperto nel 2021. A distanza di otto anni dai fatti, appare avviato ad una probabile archiviazione per prescrizione. Ed è - dal 2018 - affidato allo stesso magistrato del processo Corini. In questo contesto, Marzia - stranita, riservata, aliena alle dinamiche della provincia spezzina, particolarmente chiusa e massone - è per i media carne da macello, dal primo giorno. È la cattiva. E infatti, di lei escono solo fotografie in cui appare seria, o “addirittura” con la sigaretta in bocca. Mentre il fratello è proposto radioso, con la ventenne in bikini accanto. Ben diverso da come, purtroppo, lo aveva ridotto il cancro, incurabile e devastante. Metastasi al colon, ai polmoni, alle ossa. Dipendeva dall’ossigeno. Era, di fatto, un uomo morto. Ma quel che si scrive, è tutt’altro. Addirittura, si parla di viaggi imminenti, nonostante l’avvocato non riesca neanche ad andare in bagno da solo.
Marzia si sente «di fronte ad un plotone di esecuzione». Il Pm chiede 22 anni, gliene danno 15. «Senza un movente e senza una prova», ripete lei. Ed è ovviamente, la sua, una tesi di parte. Il contesto generale è invece oggettivo. Marco aveva forti legami territoriali. Lei no. E l’uomo che la denuncia, che fa una sola visita all’avvocato morente nelle lunghe settimane di agonia, si presenta a Marzia insieme alla giudice per la quale cura le feste vip. E a processo in corso, sia la giudice che il pubblico ministero del processo Corini sono nel parterre del grande evento estivo in cui il dj è co-protagonista. E il giorno dell’arresto di Marzia, Ansa scrive che quel giudice ha testimoniato che Marco «voleva sposare al più presto la compagna». E Rai News conferma: «Parla l’amica giudice. L’avvocato voleva sposare al più presto la compagna. Non fece in tempo perché due giorni dopo aver espresso questa volontà morì. A fare la rivelazione è una testimone autorevole, una giudice amica dell’avvocato».
Eppure, come anticipato, la stessa storia delle nozze boicottate si rivelerà infondata, al dibattimento. Marzia alla fine è condannata solo sulla base di una telefonata privata, che lei fa a quattro mesi dalla morte del fratello, in piena crisi psicologica, perché il lutto le ha rimescolato dentro i traumi di una vita. È intercettata, ma non sa nulla dell’inchiesta. «È stata colpa mia - dice ad una amica - se non lo avessi sedato non sarebbe morto quel giorno. Soffriva troppo, non reggevo più a vederlo soffrire».
Può essere di interesse, all’esito del pronunciamento, divulgare le motivazioni con le quali la Corte di Appello di Genova, in secondo grado di giudizio, ha assolto la dottoressa Marzia Corini, anestesista di Medici Senza Frontiere, ritenendola innocente rispetto alla morte del fratello Marco, avvocato, malato terminale di cancro. L’ultimo giorno disponibile, la Procura di Genova - che aveva escluso l’omicidio ma aveva delineato un possibile caso di eutanasia - ha depositato un ricorso in Cassazione, contro l’assoluzione di Marzia Corini. La vicenda è ancora pertanto potenzialmente aperta. Personalmente, quale giornalista, avevo espresso in un libro, “Marzia, una sentenza già scritta?”, tutte le perplessità sui potenziali condizionamenti derivati durante il processo di primo grado da una pressione mediatica allineata totalmente alle tesi investigative e da un contesto di conoscenze incrociate, tali da far ritrovare le stesse persone in ruoli apparentemente conflittuali, o quantomeno inopportuni.
Nel corso degli anni ha fatto molta radio, qualche incursione televisiva, ha collaborato con Ansa, seguendo in particolare i processi a carico dei criminali nazifascisti responsabili delle stragi di civili avvenute dopo l’8 settembre 1943. Nel 2023 ha pubblicato un secondo libro con la nostra Casa Editrice: Nasta.
Evento | Data |
---|---|
Arresto di Marzia Corini | Febbraio 2016 |
Condanna in primo grado (Tribunale della Spezia) | 17 Maggio 2021 |
Assoluzione in appello (Corte d'Appello di Genova) | Maggio 2022 |
Annullamento dell'assoluzione (Corte di Cassazione) | Aprile 2023 |
Assoluzione (Corte d’Assise d’Appello di Milano) | [Data della Sentenza] |
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