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Obbligo di Fotosegnalamento degli Stranieri: Analisi della Normativa

Identificare compiutamente una persona riveste una particolare importanza, assumendo peculiarità differenti in funzione del contesto. L'identità personale è un argomento complesso, e in tale disamina ben si colloca il fotosegnalamento.

Cos'è il Fotosegnalamento?

Per fotosegnalamento si intende la prassi svolta dalle Forze dell’Ordine nell’acquisire le impronte papillari, digitali o palmari, al soggetto nei cui confronti si trovano ad operare, unitamente alla fotografia, ai dati anagrafici e descrittivi. Le impronte papillari, siano di natura digitale o palmare, rappresentano, unitamente al DNA, uno degli strumenti investigativi maggiormente noti per giungere all’identificazione di un individuo.

Se il fotosegnalamento viene utilizzato come ideale volano per giungere all’identificazione di un soggetto nei cui confronti si procede per motivi che possono spaziare - in termini più dottrinali che pragmatici - dalla pubblica sicurezza alla polizia giudiziaria, le “esatte generalità” rimangono depositate presso i registri dello Stato Civile del Comune di nascita/residenza. Naturale reportistica di quanto annotato è la carta d’identità-, documento per il quale non vi è l’obbligo, salvo prescrizioni, di richiedere il rilascio.

Si comprenderà come il concetto “d’identità” rivesta importanza non solo per un approccio investigativo ma anche per i diritti/doveri naturalmente riconducibili alla nascita ed insistenti fino alla morte. Finanche l’identificazione di un cadavere potrà assumere sfaccettature differenti, ad esempio di carattere patrimoniale o morali. A tal proposito, è interessante anche il distinguo che si rileva tra “documento d’identità” e di “riconoscimento”, significando che quest’ultimo sottenderebbe una “mera autorizzazione”, si pensi alla patente di guida ovvero alla licenza di porto d’arma oppure al passaporto, stante l’essere il legislatore a provvederne l’equiparazione con il combinato disposto degli artt. 292 e 293 reg. esec. TULPS ed art.

Identificazione e Forze dell'Ordine

Le forze dell’ordine cureranno la corretta compilazione dei cartellini predisposti dal Ministero dell’Interno: acquisiranno le impronte digitali/palmari al soggetto nei cui confronti si trovano ad operare, unitamente alla fotografia, ai dati anagrafici e descrittivi. I dati si riferiranno ai documenti esibiti dall’interessato ovvero dal medesimo dichiarati, ed è in questa fase che è possibile la generazione di un “alias”: anagrafica finalizzata a non favorire un rintraccio/riconoscimento. Infatti, anche se non vi sia l’obbligo di portare con sé documenti d’identità, è previsto che a richiesta delle forze di polizia, art. 651 c.p., si debbano declinare le proprie generalità e quanto possa essere utile a favorire la propria identificazione.

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È possibile incorrere nella violazione dell’art. 294 e 221 reg. esec. TULPS allorquando il soggetto si rifiuti di consegnare un documento e lo stesso possa esser pericoloso (artt. 133 e 203 c.p.) o sospetto come si desume dall’art. 4 della l. 152/75, nel caso, a sua volta, il soggetto rifiuti la sottoposizione ai rilievi si procederebbe ex art. 17 TULPS.

Documenti di Identità e Riconoscimento

Il documento per eccellenza che consente l’identificazione è, indubbiamente, quello d’identità. A tal proposito, tra i servizi di interesse nazionale conferiti agli enti locali, vi è quello anagrafico, che mette a disposizione il proprio ufficio ai fini del rilascio del documento d’identità. Tuttavia, altre strutture della Repubblica, abilitate dal nostro ordinamento, in linea con la vigente normativa, rilasciano i seguenti documenti di riconoscimento, equipollenti al documento d’identità: “passaporto, patente di guida, patente nautica, libretto di pensione, patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici, porto d’armi, tessere di riconoscimento, purché munite di fotografia e di timbro o di altra segnatura equivalente, rilasciate da un’amministrazione dello Stato”.

Ad ogni modo, anche sulla scorta di quanto previsto dal combinato disposto degli articoli 4 del R.D. n.773/1931 (T.U.L.P.S.) e dall’art. 294 del R.D. n. 635/1940 (Reg. Es. T.U.L.P.S.), i cittadini italiani, salvo non sia espressamente disposto dall’Autorità di Pubblica Sicurezza, non hanno l’obbligo di avere il documento d’identità al seguito.

La Polizia, pertanto, in siffatto scenario, fermo l’impianto normativo esistente, dovrà avvalersi degli strumenti operativi che rendono possibile l’identificazione. La disamina dell’identificazione da parte della Polizia di Sicurezza impone, a chi scrive, di sciorinare il concetto di Polizia di Sicurezza. Quest’ultima, invero, basandoci sulla vulgata corrente degli autori della materia, deve essere considerata una branca della Polizia Amministrativa investita di compiti volti a garantire “la preservazione dell’ordine pubblico, la sicurezza personale dei singoli componenti del corpo sociale, la loro incolumità, nonché l’integrità dei diritti patrimoniali”. La Polizia di Sicurezza dipende funzionalmente dal Questore, quale Autorità provinciale di Pubblica Sicurezza.

Ciò premesso, agenti e ufficiali di Polizia, nell’esercizio delle funzioni di Pubblica Sicurezza, possono richiedere di esibire la carta d’identità o i titoli equipollenti. Il rifiuto di esibire il documento d’identità, o titolo equipollente, configura l’applicabilità dell’art. 221 del Regolamento di Esecuzione del T.U.L.P.S, in relazione all’art. 294 del citato Regolamento.

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Nella prassi operativa, quindi, in dispetto delle procedure consolidate in taluni contesti operativi, è consigliabile, ai fini dell’identificazione, procedere, preliminarmente, alla richiesta del documento d’identità, o titolo equipollente e, in subordine, alla domanda delle generalità, giacché il rifiuto di dichiarare le generalità, ascrivibile alla rubrica dell’articolo 651 del codice penale, è una fattispecie che concorre con il summenzionato art. 294 del Regolamento di Esecuzione del T.U.L.P.S.

In tal senso, la Cassazione ha confermato che: “Il rifiuto di consegnare un documento di riconoscimento integra - ricorrendone le altre condizioni richieste dalla legge (persone pericolose o sospette) - gli estremi del reato di cui agli artt. 4 del T.U. della legge di P.S. (R.D. n. 773 del 1931) e 294 del relativo regolamento (R.D. n. 635 del 1940) e non già quello previsto dall’art. 651 cod. pen., trattandosi di reati aventi diverso elemento materiale e diversa obiettività giuridica. Ne consegue che qualora la persona si rifiuti di dare indicazioni sulla propria identità personale e di esibire un documento di riconoscimento, si avrà concorso materiale della contravvenzione di cui all’art. 651 cod. pen. con quella preveduta dalla legge di pubblica sicurezza”.

Infine, è doveroso evidenziare le norme che consentono agli operatori di Polizia, rectius alle forze di Polizia preposte all’ordine e alla sicurezza pubblica, l’identificazione. Pare il caso, per una questione meramente cronologica, passare in rassegna l’articolo 4 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, il quale consente all’Autorità di Pubblica Sicurezza “di ordinare che le persone pericolose o sospette e coloro che non sono in grado o si rifiutano di provare la loro identità siano sottoposti a rilievi segnaletici”. In punto, la norma non richiede l’informativa al Pubblico Ministero circa la data e l’ora dell’accompagnamento.

Dunque, si ritiene che la norma facoltizzi, in capo alla Polizia procedente, la possibilità di sottoporre a rilievi fotosegnaletici tutte le persone pericolose o sospette. Tra esse, in riferimento alle persone pericolose, possiamo individuare i pericolosi sociali, gli oziosi ed i vagabondi abituali, i mendicanti, gli intossicati, i malati di mente. Di contro, le persone sospette, appaiono quelle che, “con la loro condotta, diano luogo a giudizio sfavorevole circa la regolarità della loro vita di relazione, in particolare coloro che fuori del loro Comune, destando sospetti con la loro condotta, si rifiutano o non possono dare contezza di sé, alla richiesta di Ufficiali ed Agenti di P.S., mediante l’esibizione di una carta d’identità o documento equipollente”.

A seguire, nel 1978, con il D.L. n. 59, convertito con la legge n. 191/1978, il legislatore ha introdotto una procedura, comunemente definita “fermo di Polizia”, per mezzo della quale è possibile accompagnare presso gli uffici chiunque, a richiesta di agenti e ufficiali di Polizia, rifiuti di dichiarare le proprie generalità. Inoltre, è possibile accompagnare presso gli uffici, per le medesime finalità d’identificazione, la persona nei confronti della quale ricorrono sufficienti indizi per ritenere la falsità delle dichiarazioni sulla propria identità personale o dei documenti d’identità da essa esibiti.

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In tutti i casi, la Polizia, che può trattenere per non oltre 24 ore “il fermato”, dovrà rendere edotto il Procuratore della Repubblica dell’ora dell’accompagnamento. Dovrà, altresì, informare la suindicata Autorità dell’ora del rilascio della persona. In guisa di controllo di legittimità delle operazioni di Polizia, la magistratura inquirente potrà sempre disporre il rilascio della persona accompagnata là dove non ricorrano le condizioni di legge.

Da ultimo, in chiave definitoria ed esaustiva dell’argomento di cui trattasi, è bene rappresentare che, allorquando non si palesino le summenzionate ipotesi, il soggetto, privo di documenti, non reticente, che si mostra disponibile a riferire le generalità, obbligherà la Polizia a procedere con misure di controllo alternative tra le quali, senza pretesa di esaustività, possiamo enunciare il controllo in banca dati dalla motorizzazione civile. Ancora.

Il Ruolo della Polizia Giudiziaria

La Polizia Giudiziaria, succede al concetto di Polizia di Sicurezza, poiché essa svolge compiti di natura repressiva. La stessa, pertanto, in estrema sintesi, assolve alle funzioni di informazione, investigazione e repressione dei reati.

È lapalissiano, orbene, che la Polizia Giudiziaria, funzionalmente dipendente dall’Autorità Giudiziaria, ha, nell’esercizio prodromico delle proprie mansioni, l’incombenza di identificare le persone. La norma cardine, in materia, è l’articolo 349 del codice di procedura penale, sovente modificato dalle novelle legislative, da ultimo rivisitato dal d.lgs. n. 150/2022 (c.d. Riforma Cartabia).

La Polizia Giudiziaria, quindi, procede alla identificazione di due tipologie di persone: l’indagato, altrimenti detto persona sottoposta alle indagini o reo e la persona in grado di riferire circostanze utili ai fini della ricostruzione del fatto (il testimone).

Sempre la Polizia Giudiziaria, ove occorra, può sottoporre a rilievi fotosegnaletici, non il teste, ma l’indagato. Rappresenta condizione necessaria ai fini dell’identificazione a mezzo fotosegnalamento, ad esempio, l’assenza di un valido documento di riconoscimento. Di contro, la Polizia Giudiziaria è obbligata a procedere a fotosegnalamento tutte le volte che identifica un indagato apolide, una persona della quale è ignota la cittadinanza, un cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea ovvero di un cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea privo del codice fiscale o che è attualmente, o è stato in passato, titolare anche della cittadinanza di uno Stato non appartenente all’Unione europea.

In tutte le succitate ipotesi, i gabinetti scientifici delle forze dell’ordine, forniscono un codice univoco identificativo, alternativo al codice fiscale generato dall’agenzia delle entrate, che contrassegnerà il reo, per tutta la sua vita, all’interno della macchina giudiziaria.

È doveroso sfatare un mito, ormai prevalente, specie nei ranghi della Polizia Locale. Il fotosegnalamento della persona indagata, qualora quest’ultima non opponga rifiuto, in linea con una corretta esegesi dei commi 1 e 2 dell’art. 349 del codice di rito, non deve essere comunicato al Procuratore della Repubblica. La Corte Costituzionale conforta la poc’anzi illustrata interpretazione, giacché ha statuito che i rilievi segnaletici, dattiloscopici e fotografici sono da considerare atti coercitivi di scarsa incidenza che non rientrano nella sfera protetta dall’art. 13 della Costituzione. Detti rilievi, quindi, sono sottratti alla riserva di giurisdizione.

Di converso, solo ove la persona sottoposta alle indagini si rifiuti di farsi identificare ovvero fornisca generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenerne la falsità, la polizia giudiziaria, accompagnando la stessa presso i propri uffici, informa il Procuratore della Repubblica, il quale, in analogia col fermo di Polizia, può ordinare l’immediato rilascio laddove non sussistano le condizioni legali. L’identificazione di Polizia Giudiziaria, previo avviso orale al Pubblico Ministero, può avere durata massima di 24 ore.

Le attività de qua andranno annotate secondo le modalità di cui al combinato disposto dell’art. Un ulteriore forma d’identificazione è quella che si evince, in quanto la norma non la prevede testualmente, dall’articolo 13 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (modifiche al sistema penale). Di fatti, tutti coloro che si trovano, per le più disparate ragioni, a svolgere servizi di Polizia Amministrativa, onde garantire l’osservanza delle disposizioni per la cui violazione è prevista la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro, avvertono l’imprescindibile necessità di procedere ad identificazione.

È condicio sine qua non che gli atti di accertamento e notificazione, ivi annoverati nel disposto degli articoli 13 e 14 della citata legge di depenalizzazione, richiedano una preventiva identificazione dei soggetti interessati.

In ogni caso, gli istituti giuridici offerti dal legislatore per l’identificazione, anche con modalità coattiva, non possono essere utilizzati dalla Polizia Amministrativa priva di funzioni di Polizia di Sicurezza e di Polizia Giudiziaria.

Fotosegnalamento degli Stranieri: Obblighi e Procedure

Gli stranieri, ovvero i cittadini non appartenenti agli stati dell’Unione Europea e gli apolidi, in idiosincrasia rispetto a quanto sopra passato in lettura, debbono avere il documento d’identità e il titolo di soggiorno al seguito. Quanto dianzi asserito, è segnatamente rinvenibile nel cosiddetto Testo Unico sull’immigrazione, il d.lgs. n. 286/1998, secondo il quale: “Lo straniero che, a richiesta degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, non ottempera, senza giustificato motivo, all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato è punito con l’arresto fino ad un anno o e con l’ammenda fino ad euro 2.000”.

Nel caso di indisponibilità del documento di identità e del titolo di soggiorno dello straniero, si applicheranno le norme sopra richiamate che, come già descritto con profusione di dettagli, ammettono l’accompagnamento presso gli uffici di Polizia per l’identificazione mediante i rilievi fotografici, segnaletici ed antropometrici. La Suprema Corte, in tema di identificazione di stranieri, ha statuito che il cittadino straniero, benché in possesso di regolare documento d’identità e permesso di soggiorno, non è giustificato ove dimentichi quest’ultimi presso il proprio domicilio.

Singolare, infine, e non condivisibile a parere di chi scrive, risulta essere la pronuncia di uno dei giudici di merito, che ha ritenuto di ricondurre la fattispecie di una donna, che non aveva esibito i documenti, sotto l’usbergo del giustificato motivo dell’articolo 6 del Testo Unico sull’immigrazione.

Reati Relativi all'Identificazione

In tema di reati concernenti l’identificazione nelle attività di controllo delle Forze di Polizia possiamo annoverare, senza ombra di dubbio, gli articoli 494, 495,496,497 bis, 651 del codice penale.

Come accennato in introduzione, inoltre, sempre in materia di identificazione, rileva il reato di cui all’art. 221 del Regolamento di Esecuzione del T.U.L.P.S., che si pone in un rapporto di concorrenza, e non di specialità, rispetto alla fattispecie di cui all’art. 651 del codice penale. Procediamo con ordine. Il rifiuto di esibire il documento d’identità o di riconoscimento a richiesta di agenti e ufficiali di Pubblica Sicurezza il reato di cui all’art. 221 del Reg. Esec. del T.U.L.P.S.. Il reato in disamina, come appalesato con la sentenza della IV sezione penale n° 10378 del 14/07/89, concorre con quello di cui all’art. 651 del codice penale, purché la mancata esibizione dei documenti d’identità o di riconoscimento sia associata alle condizioni ivi consacrate all’art. 4 delle Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza.

Pur tuttavia, alcune pronunce del giudice di legittimità, conferiscono all’art. 294 del Regolamento di Esecuzione del T.U.L.P.S. autonoma portata sottraendolo, pertanto, al legame con il dettame di cui all’art. 4 del T.U.L.P.S..

Sempre in tema di identificazione, circa l’obbligo di dichiarare le generalità, inteso come obbligo di fornire tutte le informazioni atte ad una completa identificazione, integra la contravvenzione ex art. 651 del codice penale, il semplice rifiuto di fornire al pubblico ufficiale indicazioni sulla propria identità personale ed è, pertanto, irrilevante, ai fini della configurazione dell’illecito, che tali indicazioni vengano fornite successivamente.

Ancora. Il rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale - punito dall’art. 651 c.p. - va riferito non solo al nome e cognome ma a tutte le altre informazioni richieste per una completa identificazione, fra le quali, quindi, rientra anche il luogo di residenza. In proposito, il rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato o su altre qualità personali, che integra la condotta dell’omonima contravvenzione, non presuppone che il soggetto richiesto sia responsabile di un reato.

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