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Filippo Rinaldi: Biografia di un Salesiano tra Vocazione e Fede

Pochi conobbero a fondo il terzo successore di S. Giovanni Bosco nel corso della sua vita; ma tutti quei pochi riportarono l´impressione che fosse un uomo di straordinarie virtù. Dopo la sua morte cominciarono a conoscersi di lui molte cose ignorate; inoltre la sua copiosa corrispondenza epistolare veniva rivelando un grande maestro di spirito; finalmente fatti prodigiosi, due dei quali storicamente incontestabili, fecero pensare a un santo autentico.

Un suo autorevole contemporaneo, Don Giovanni Battista Francesia, discepolo di S. Giovanni Bosco fin dalla prima ora, nel settembre 1929 disse pubblicamente: - A Don Rinaldi manca solo la voce di Don Bosco; tutto il resto l´ha.

Tutto ciò mosse chi gli succedette nel governo della Società Salesiana, a volere che se ne scrivesse una vita assai più completa del primo abbozzo comparso quasi subito dopo la morte. Ecco la ragione del presente lavoro. Nulla qui si narra che non sia attestato da sicure testimonianze, che riceveranno autorevole conferma nel Processo diocesano, iniziato nel 1947 per decreto del Card. Fossati, Arcivescovo di Torino.

A Don Rinaldi si possono applicare le seguenti parole scritte recentemente per un noto direttore di anime: « La sua vita, tutta la sua vera vita si è scavato un alveo interiore per scorrere senza clamori superficiali, fuor da ogni osservazione umana, mistero d´amore tra l´anima sola e Dio solo ».

Lu: Un Paese di Vocazioni

Lu è un paese del Monferrato nella diocesi di Casale, che merita di esser messo sull´albo d´onore per la fioritura di vocazioni ecclesiastiche e religiose sbocciate dalle rigogliose aiuole delle sue famiglie. Conta poco più di tremila abitanti; eppure oggi ha 217 di queste vocazioni viventi, contingente che dal più al meno dura da un pezzo. Dio chiama dappertutto; ma non dappertutto si risponde con uguale docilità alle divine chiamate.

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Uno spettacolo nuovo e bello offriva il pacifico borgo sul principio di settembre del 1946. Il prevosto aveva avuto la geniale idea di convocare nel luogo nativo le due grosse centurie di parrocchiani d´ambo i sessi, che, preti, monaci, religiosi laici e suore, sparsi per il mondo, lavoravano nella vigna del Signore. Da ogni parte si corse con entusiasmo al lusinghevole appello.

Per alcuni giorni le stradicciuole che s´inerpicano sui clivi del colle, rividero fanciulli e fanciulle d´un tempo, che, fatti uomini e donne e indossanti abiti di varia foggia e colore, andavano e venivano con passo misurato e grave per dove una volta solevano spensieratamente scorrazzare, uscendo di casa, di scuola e di chiesa. Là uniti in un cuor solo e in un´anima sola, esaltavano il gran dono di Dio e si comunicavano fra loro fervor di vita e di apostolato.

Chi può descrivere la festevole giocondità delle loro adunanze, presiedute dal Vescovo diocesano e assistite dai vecchi parenti e da una turba irrequieta di nipoti? Un nome tornava frequente sulle labbra di tutti, il nome di Don Filippo Rinaldi, Rettor Maggiore della Società Salesiana e terzo successore di S. Giovanni Bosco, massima gloria luese recente, aggiuntasi alle non poche glorie antiche nel novero delle vocazioni sacre.

La Famiglia Rinaldi: Un Ambiente Fertile per la Vocazione

Coloro che vogliono scorgere in tutte le attività umane il movente economico, si troverebbero imbarazzati a spiegare con la loro teoria l´esodo di tanti luesi, che non hanno bisogno di nascondere sotto la maschera d´un fine ideale la ricerca dei mezzi di sussistenza. I Rinaldi poi, che nei rami del parentado si gloriano oggi di avere sette membri consacrati al Signore, hanno beni di fortuna più che bastevoli senza andar per il mondo in cerca di fortuna.

Fra maggiori e minori possidenti, gli abitanti di Lu formano una popolazione, la quale ha a sufficienza di che vivere, né si è mai sentito che il pungolo della necessità costringesse a emigrare. Anche il nostro Filippo apparteneva ad una famiglia di agiati proprietari, la quale diede con lui alla Chiesa due altri suoi fratelli, uno parroco nella diocesi e l´altro sacerdote salesiano.

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Si ricca fecondità di vocazioni ha la sua precipua ragione di essere nell´ambiente domestico, tutto improntato di religiosità e di fede; cosi era della famiglia Rinaldi dove Filippo succhiò la pietà insieme con il latte materno. Nel dicembre del 1930 uno zelante sacerdote della Venezia Tridentina, che s´ingegnava di escogitare mezzi con cui suscitare vocazioni sacerdotali nella propria terra, avendo inteso che nel comunetto di Lu le vocazioni abbondavano oltremodo, volle recarsi sul posto, bramoso di scoprirei il segreto di una cosa che gli stava tanto a cuore; ma dopo aver molto interrogato e osservato partì insoddi‑sfatto.

E quanto apprezzava questo insigne beneficio! Avendo però udito parlare di un luese illustre, di Don Filippo Rinaldi, nel ripassare per Torino venne a trovarlo. Ricevuto cordialmente, ebbe da lui chiarito l´enigma. - Lei, gli disse Don Rinaldi, non riuscì nelle sue indagini, perchè non penetrò nel sacrario delle famiglie. Il mistero sta tutto nella fede e pietà delle nostre madri. Esse di concerto con l´altra Madre, che è la Chiesa, fanno il possibile per allevare la figliuolanza nel timor di Dio, instillando nelle anime dei loro piccoli quei sentimenti che sono la predisposizione migliore a secondare le chiamate di Dio.

Questa spiegazione, che squarciò come un velo dinanzi alla mente del buon prete, svela anche a noi quale sia stata la parte dell´ottima genitrice nell´indirizzare al santuario il suo Filippo, come pure gli altri due fratelli di lui. Vi è ancora a Lu chi la ricorda donna caritatevole e piissima, tutta casa e chiesa, benedetta dai figli e decantata per la sua inesauribile bontà. Né il salutare influsso materno veniva ostacolato o diminuito dall´opera del padre. Il signor Cristoforo era degno della consorte.

Cristiano di stampo antico, praticava per sè la religione e ci teneva a veder crescere la prole nella fede avita. Uomo di gran senno pratico, nelle tendenze di Filippo intuì presto che egli poteva essere chiamato a cose più alte che non fossero le cure di un futuro proprietario rurale; perciò lo guardava con occhio particolare e pur senza darlo a vedere favoriva la religiosità delle sue inclinazioni.

Infanzia e Primi Passi

Scarseggiano le notizie sulla sua puerizia. Doveva essere un fanciullo simpatico. Una sua nipote, Figlia di Maria Ausiliatrice, ricorda che una signora, vedendolo costretto a tener socchiuso un occhio deboluccio, non potè trattenersi dall´esclamare: - Che peccato! Un ragazzo tanto carino, con occhi sì belli, averne uno quasi spento! - Purtroppo quell´occhio doveva col tempo spegnersi del tutto. Lo tenne sempre semiaperto; ma la pupilla era morta.

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Non frequentò la scuola comunale, ma apprese i primi elementi da un maestro privato, che insegnava alla buona e aveva già ammaestrato altri della famiglia. Insieme con l´istruzione come si coltivava la pietà cristiana in casa Rinaldi! Da una nicchia aperta nella parete sul pianerottolo della scala, dove questa si divideva in due branche, una statua dell´Immacolata guarda-dava giù nel cortile e i bambini, avviandosi alla scuola, s´inginocchiavano nell´ultimo gradino e dicevano l´Ave Maria.

Una volta si pensò di cambiare la statuetta con un´altra più bella; ma Don Filippo non volle. Quell´immagine gli ricordava tante care cose, fra le quali anche questa. Ogni sera la mamma, conducendo i figliuoletti a dormire, li faceva fermare là dinanzi e ripetere con lei: - Vi saluto, o Maria, vi dono il mio cuore, non ritornatemelo mal più. ‑Che aria si respirassse tra le domestiche pareti, è dato arguirlo anche da un minuscolo particolare, rammentato dalla suddetta suora, figlia del fratello terzogenito di Filippo.

Sua madre, entrata nella famiglia Rinaldi, aveva portato con sè l´abitudine di prorompere nell´esclamazione piemontese cristianar, parola che non suonava bene all´orecchio della suocera, la quale perciò ne la veniva riprendendo, come di una sconvenienza. Ma una volta che le fece il rimprovero in presenza di Filippo, questi pigliò le difese della cognata dicendo bonariamente: - Oh, non vi sono mica cristiani d´oro; perciò la zia non reca ingiuria a nessuno. - Colpite dalla sensata osservazione, l´una si tranquillò e l´altra si svezzò dal proferire la parola mal gradita. Nell´osservazione di Filippo si scorge già la bonaria e ragionevole indulgenza del futuro superiore.

L'Incontro con Don Bosco

Fra i cinque e sei anni, nel 1861, Filippo vide Don Bosco. Il Santo giungeva a Lu nel mese di ottobre con una schiera di giovani, entrando in paese a suon di banda. Lo strepito insolito, che ruppe improvvisamente la quiete d´una giornata di lavoro, scosse quanti si trovavano nelle case ed elettrizzò i fanciulli, che scapparono fuori, correndo verso il punto, donde veniva il clangore. Il rumoroso stuolo marciava verso la chiesa parrocchiale.

La meraviglia dei grandi fu di vedere un prete menare in giro quei ragazzi con tanto chiasso. Il piccolo Filippo seguì l´allegra comitiva, vide come quei giovanetti pregavano in chiesa, udì quello che disse loro il condottiero: non deve aver capito gran che, ma udì che egli parlava in una maniera tutta sua, e appresso osservava come i ragazzi dessero libero sfogo alla loro gioia intorno al prete. La sera si avvicinava.

Don Bosco aveva bisogno di una vettura per precedere la squadra verso il luogo, dove intendeva di farla pernottare. Andando su e giù per la strada, chiedeva or all´uno or all´altro, che gli prestassero per breve ora il veicolo desiderato; ma nessuno sembrava disposto a esaudirlo. Giunto sulla piazzetta del peso pubblico, proprio davanti a casa Rinaldi, si arrestò pen‑sieroso. Il papà di Filippo, che, tornato dalla campagna, stava ritto sulla soglia, mosse verso di lui e in bel modo gli domandò che cosa cercasse.

- Cerco una vettura, - gli rispose Don Bosco. - Io, - ripigliò il Rinaldi, - ho cavallo e carrozza, ma mi manca il vetturino. - Il vetturino sarà il mio figlio Giovanni, - interruppe premuroso il signor Angelo Ribaldone, che doveva poi divenire grande amico di Don Bosco. Durante iI dialogo riferito Filippo guardava incantato Don Bosco. La figura di lui dovette averlo impressionato, perché dopo esclamò ingenuamente: - Quel prete conta più di un Vescovo.

Intanto il padre vedeva con piacere che egli, cresciuto ín età, andava volentieri a fare il chierichetto e a servire la Messa nella chiesa di S. Giacomo presso casa. Ciò lo persuadeva sempre più che il figlio fosse destinato a servire Dio e non il mondo. Non riuscendo poi a levarsi di testa l´immagine di quel prete forestiero, nel quale aveva riscontrato alcun che non visto mai in altri preti, volle informarsi donde venisse e che cosa facesse.

Seppe così che da tre anni egli teneva aperto un collegio nel vicino villaggio di Mirabello. Pensando e ripensando, risolse di condurvi nel 1866 il suo Filippo a fare il ginnasio. La sua domanda fu subito accettata. Il giovinetto aveva allora dieci anni. Messo piede nel nuovo ambiente, parlava poco e osservava molto.

Mirabello e l'Influenza di Don Bosco

S´avvide presto quanto fascino vi esercitasse il nome di Don Bosco; benchè lontano sembrava che egli più del Direttore governasse la casa. Il Direttore si chiamava Don Giovanni Bonetti, succeduto l´anno prima a Don Michele Rua; da ogni angolo della casa si sentiva il suo influsso, e lo circondava l´affetto e la confidenza generale. Da lui prese a confessarsi con frequenza. Nel personale insegnante distinse fra tutti i chierici Cerruti e Albera, che godevano entrambi particolare stima e rispetto.

Del chierico Albera, al quale la Provvidenza lo destinava successore nel governo supremo della Società Sa‑lesiana, abbozzò questo schizzo in un quadernuccio scritto poco prima o poco dopo l´ordinazione sacerdotale e rinvenuto fra le sue carte: « Per me fu angelo custode visibile Don Albera. A Mirabello fu lui commesso a vigilarmi e lo faceva con tanta carità, che ne stupisco ogni qualvolta cì penso. Mi traeva dalle compagnie sospette, mi consigliava, mi confortava con fatterelli. Mi faceva passare le lunghe ore di ricreazione come un momento. Ma più delle parole aveva eco nel mio cuore il suo portamento modesto, caritatevole, pio e religioso; per cui lontano dalle case salesiane avevo sempre innanzi come dipinti gli esempi del chierico Albera ».

Degli assistenti alcuni provenivano da seminari e stavano là in prova; in quei primordi Don Bosco utilizzava quanti poteva, nel tentativo e nella speranza di formarseli a modo suo e ritenerli per sè. Le cose nel loro complesso procedevano bene, quantunque la perfezione non sia di questo mondo e inconvenienti ne possano capitare dovunque.

Uno dei detti assistenti, ad anno già avanzato, usò un cattivo modo di fare con Rinaldi, il quale col senso innato della sua personale dignità, che cominciò presto a svilupparsi in lui, ne rimase sconcertato. A questo disgusto si aggiunsero le condizioni di salute. Fin da piccino, come dicevo, gli si era manifestata una certa debolezza nell´occhio destro; inoltre pativa palpitazione di cuore, sicchè per ogni breve corsa l´affanno gli mozzava il respiro. Di quando in quando lo assaliva pure il mal di capo.

Forse per questi motivi, forse anche per poca inclinazione al lavoro mentale, giacche il ragazzo, se dobbiamo credere a Don Barberis, « non aveva quasi voglia di studiare », il fatto è che, probabilmente senza nemmeno aspettare il termine dell´anno scolastico, se ne tornò in famiglia. Serbava in cuore una profonda venerazione per Don Bosco, che aveva veduto due volte nel collegio, cioè sul finire del novembre 1866 e il 9 luglio del 1867.

Del primo incontro narra egli stesso in una circolare del suo ultimo aprile di vita: « Ricordo, come di ieri, la prima volta che ebbi la fortuna di avvicinarlo nella mia fanciullezza. Contavo allora poco più di dieci anni. Il buon Padre era in refettorio, dopo il suo pranzo, e ancora seduto a mensa. Con grande amorevolezza s´informò delle mie cose, mi parlò all´orecchio e, dopo avermi chie...

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