Turismo Sessuale in Thailandia e le Donne: Una Panoramica
I gusti sono soggettivi e personali, ma non è un segreto che le ragazze Thailandesi abbiano un fascino ammaliante. L’unicità della bellezza delle ragazze Tailandesi si deve all’incontro di molteplici etnie, anticamente insediatesi nel regno della Thailandia, proveniendo da Cina, Malesia, Laos, Cambogia e Mayanmar.
Luogo di grande libertà di costume e idee, la Thailandia è un Paese in cui gli incontri e la socialità avvengono molto facilmente. Tenete presente, pertanto, che potrete fare incontri molto vari, e imbattervi in persone seriamente interessate a una relazione. La maggior parte della popolazione thailandese, infatti, ha uno stile di vita sobrio, dei costumi pressoché occidentali, e predilige il matrimonio.
Ma altrettanto spesso potrete incontrare donne e uomini che offrono la propria compagnia in cambio di denaro. Statistiche recenti circoscrivono comunque il fenomeno della prostituzione a circa 300 mila individui su una popolazione di quasi 70 milioni di abitanti. Il numero sarebbe, inoltre, in diminuzione, grazie ai costanti cambiamenti della società Thailandese. Ad ogni modo, occorre sapere che la libertà culturale propria del popolo thai, non condanna la prostituzione, né discrimina chi la esercita.
Nei confronti delle donne thailandesi esiste un pregiudizio che le vuole quasi tutte dedite alla prostituzione, oppure interessate solo ai soldi di ignari uomini occidentali. È fondamentale capire il ruolo della religione buddhista che considera la donna un essere “inferiore”, ma non in senso maschilista, bensì in riferimento alle reincarnazioni. Aggiungiamo poi che l’atteggiamento verso la sessualità, il corpo in generale, qui è molto diverso. Anche il rapporto con il denaro è diverso, più franco.
Per questi motivi la prostituzione qua colpisce molto meno che in occidente e non viene giudicata né scandalosa né disonorevole. Le ragazze povere provenienti dalla campagne venivano e ancora oggi vengono costrette dalle famiglie ad andare a Bangkok a vivere delle proprie grazie per qualche anno, onde sfamare la famiglia. Il loro nome in thailandese è “Phuoyng ha kin”, letteralmente “quelle che cercano da mangiare”.
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Il boom della prostituzione si è avuto negli anni sessanta e settanta del 900’ con le basi americane di istanza a Pattaya e Bangkok durante la Guerra del Vietnam. Fino a pochi anni fa i degnerati di tutto il mondo venivano a sfogare la loro libido sui giovani corpi thailandesi mentre l’Aids cominciava a sfoltire i ranghi delle prostitute.
Dopo il catastrofico impatto avuto alla fine degli anni 90’ con circa 1,5 milione di sieropositivi la Thailandia ha iniziato a fare campagne pubblicitarie pro-uso di profilattici e di sensibilizzazione del problema. Oggi grazie a queste campagne e quindi alla consapevolezza, il tasso percentuale si è abbassato sensibilmente, molti hanno capito la necessità dell’uso di precauzioni e quindi l’Aids ha subito una forte sconfitta.
Uno scandalo enorme, internazionale, che gettava ombre sull’immagine del Paese. La prostituzione è un conto ma trovare nei bordelli bambini di 10, 12 anni venduti ai pedofili del mondo intero è tutt’altra faccenda. Oggi questo commercio ignobile è notevolmente diminuito perché grazie allo scandolo e alla rabbia dei thailandesi stessi il governo ha preso misure energiche: chiusura dei bordelli, forti sanzioni giudiziarie e amministrative, controllo delle “dipendenti”.
Con l’approvazione in Parlamento del Child and Prostitution and Prevent Act il TAT (Ente Statale del Turismo - Tourism Autority Thailand) condanna questo tipo di sfruttamento e i “clienti” sono passibili a pena detentativa qui in Thailandia che va dai 4 ai 20 anni se i minori hanno dai 13 ai 15 anni, fino all’ergastolo sei i minori hanno età inferiore ai 13 anni. Oltre a questo, grazie all’Unicef, in collaborazione con molti stati Europei e gli Usa nel 1994 si sono varate leggi internazionali contro gli abusi sessuali su minori con le quali il trasgressore una volta scontata la pena sul territorio thailandese al ritorno in patria è sottoposto di nuovo a giudizio, oltre al pagamento di multe che possono arrivare a diverse migliaia di euro, rischia una pena detentiva fino a 10 anni di carcere.
A differenza della zone turistiche più alla moda, in cui la movida notturna è trasgressiva, nella regione del nord (Ciang Mai, Udon Thani, Buri Ram, Surin) e in alcuni arcipelaghi incantati (Koh Chang su tutti!), il fenomeno della prostituzione è piuttosto raro. Per questo motivo, Bangkok è la meta preferita dai single in cerca di divertimento e avventure, grazie ai suoi quartieri a luci rosse (Patpong, Nana Plaza e Soi Cowboy), costellati di locali, nightclub e go-go bar.
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In questo video girato a Bangkok andiamo a visitare uno dei quartieri a luci rosse più famoso e grande al mondo. Nana Plaza si trova al Soi 4 di Sukhumvit Road. Si può raggiungere facilmente in taxi. Nana Plaza non è l’unico quartiere del sesso a Bangkok. In Thailandia la prostituzione è molto diffusa.
“Hello sir! Where you going?”, chiedono alcune ragazze in abiti succinti per strada a Pattaya, una località di mare tailandese. Un’infermiera in minigonna ti tira per un braccio, una poliziotta dal decolleté generoso ti punta contro una pistola ad acqua e una studente con un sorriso dolce e l’apparecchio ai denti fa un gesto che imita il sesso orale. Va avanti così da decenni nell’ex villaggio di pescatori sul golfo della Thailandia dove negli anni sessanta, quando arrivarono dal Vietnam i soldati statunitensi per riprendersi dalla guerra, sorse un enorme quartiere a luci rosse.
Da allora Pattaya è una calamita per uomini da tutto il mondo alla ricerca di sesso a buon mercato e per donne tailandesi - spesso madri sole - che non riuscendo più a guadagnarsi da vivere in un altro modo se ne vanno a Sin City, la città del peccato, com’è soprannominata. Lì possono lavorare in uno delle migliaia di beer bar, gogo-bar, gentleman club o blowjob bar. Anche lungo il viale sulla spiaggia, a pochi metri l’una dall’altro, una donna o un ladyboy (una transessuale o un ragazzo gay effeminato) si offrono per mille bath (25 euro) a notte. Il tutto sotto gli occhi della polizia, anche se in Thailandia il lavoro sessuale è illegale.
Le cose però potrebbero cambiare grazie a un numero crescente di ong, attivisti e parlamentari che chiedono la legalizzazione del lavoro sessuale in Thailandia. Si preoccupano per le centinaia di migliaia di uomini e donne dell’industria del sesso, le cui misere condizioni sono emerse in modo evidente durante la pandemia di covid-19. Non avevano diritto agli aiuti del governo né all’assistenza sanitaria e spesso non potevano nemmeno rivolgersi alle loro famiglie. Si sono rifugiate in anguste stanze sopra i bar deserti e sono sopravvissute grazie all’aiuto delle ong. Anche la preoccupazione per il traffico di esseri umani, la prostituzione minorile e l’aumento delle disuguaglianze economiche nel paese hanno un peso nel dibattito pubblico sul tema.
“In passato ho fatto la colf, la cameriera e la cassiera”, dice Talay, 29 anni, mentre comincia il turno allo Zombie Bar. Aspetta i clienti vestita con un top trasparente e dei pantaloncini molto attillati. “Quei lavori non mi permettevano di mettere da parte nulla”. Ma, dice lei, sgobbare sotto il sole in una risaia come fanno i suoi genitori è ancora peggio: “E va a scapito della mia bellezza”.
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Rose ci raggiunge in un bikini arancione che lascia scoperte due grandi ali tatuate sul petto. Insieme mi spiegano come funziona: il bar gli paga uno stipendio di 125 euro al mese per stare lì sei giorni alla settimana dalle 16 alle 2 di notte. Se un cliente gli offre un lady drink da tre euro e ottanta, a loro va un po’ meno della metà. Se poi vanno con un cliente, chiedono circa 38 euro per due ore di sesso, più dodici euro di commissione che il cliente deve pagare al bar. Una mama san dietro la cassa annota tutto con precisione.
Talay ha anche un amico svedese che la paga per tutta la notte. “Riusciamo a mandare a casa ogni mese tra i 150 e i 200 euro”. Un inglese con i baffi arriva a dare un’occhiata. Con un movimento discreto delle dita, Talay manda la sorella verso di lui. Poco dopo sono già seduti a bere qualcosa. Rose gli appoggia una gamba sulle ginocchia, lui le percorre avidamente il corpo con le dita. Un m ụ̄x plāh ̄ m ụ k (mano di piovra), conclude Talay con disapprovazione, un cliente che per pochi euro cerca di toccare tutto quello che può. Fastidioso quasi come un tʹhèā h ̄ạ w ngū (vecchio testa di serpente), un vecchietto che chiede un bacio innocente e poi ti ficca di colpo la lingua in bocca.
Quello che cercano quasi tutte le lavoratrici sessuali è uno sugar daddy: uno straniero che ogni tanto le porta fuori a cena e in giro per negozi e che gli versa dei soldi ogni mese.
“L’immagine che molti tailandesi hanno di chi lavora nel mercato del sesso sta cambiando”, spiega Boonwara Sumano Chenphuengpawn, ricercatrice del Thailand development research institute di Bangkok. Secondo lei, le terribili condizioni nel periodo della pandemia hanno aperto gli occhi a molte persone: “Si rendono conto che nessuno lo fa per piacere. Che a spingere donne e uomini verso quel lavoro sono le disuguaglianze economiche, la mancanza d’istruzione e l’impossibilità di accedere ai sussidi”.
Secondo le stime di Boonwara, circa il 60 per cento delle lavoratrici del sesso sono giovani madri single provenienti da regioni povere: “In campagna, poi, le figlie devono occuparsi dei genitori e dei nonni”. La ricercatrice racconta che il dibattito si concentra su due possibilità. Dal 2023 è cominciata una campagna che chiede di depenalizzare il lavoro sessuale: “Così la polizia non potrà più pretendere mazzette o favori sessuali per chiudere un occhio”. Un fenomeno molto diffuso, dice Boonwara. “Una volta schedati, è impossibile tornare ad avere la fedina penale pulita. Ecco perché quasi tutti preferiscono pagare”.
Come primo passo, alla fine del 2023 il governo ha tolto alla polizia la facoltà di riscuotere multe per il lavoro sessuale, incaricando invece il ministero per lo sviluppo sociale e i diritti umani. “Ma nella pratica nessuno lo sa”, spiega.
La seconda opzione è la legalizzazione (e la regolamentazione), con l’istituzione di un sistema di permessi e la registrazione degli operatori sessuali presso il ministero degli affari sociali e il fisco: “Quasi tutti i parlamentari preferiscono questa opzione perché così è possibile, per esempio, indicare dov’è consentito il lavoro sessuale, come avviene a Singapore o nei Paesi Bassi”.
Per lo stato la legalizzazione comporterebbe ulteriori entrate fiscali, più contributi per la previdenza sociale e magari anche più turismo sessuale. Le lavoratrici e i lavoratori del sesso avrebbero diritto, per esempio, a un’assicurazione sanitaria, a un congedo di maternità e alla pensione. Inoltre, sarebbero meno vulnerabili nei confronti della polizia, dei datori di lavoro e degli sfruttatori.
La domanda è cosa vogliono le lavoratrici del sesso. “La mia famiglia non immagina neanche lontanamente che faccio questo lavoro. Pensano che abbia un fidanzato ricco”, spiega Talay, che è favorevole alla depenalizzazione ma con un sistema di concessioni. Anche Plai, 22 anni, vestita in un completino corto da infermiera, è contraria al registro: “La mia famiglia sa che lavoro a Pattaya, per cui intuiscono cosa faccia qui”. Ma iscriversi in un registro del governo sarebbe troppo. “Ho una figlia di quattro anni. Tra un anno spero di tornare a casa con 2.500 euro in tasca, voglio costruire una casa per noi due e aprire un negozietto”. Si allontana per salutare un cliente abituale, un settantenne con una pancia enorme e il bastone da passeggio. Si siedono vicini, in silenzio, perché non parlano la stessa lingua. Lui scrolla sul telefono con una mano mentre le infila l’altra tra le gambe. Plai fissa il vuoto e sembra pensare ad altro.
Mai, che è più anziana, è favorevole al registro: “Ora devo pagare tutto io quando vado dal medico”. Ha 43 anni e fa questo lavoro per pagare l’istruzione del figlio. “Farà l’ingegnere!”, dice orgogliosa.
Un caso speciale è Pear, 21 anni, che studia per diventare infermiera. “Le mie compagne di stanza al campus hanno tutto, mentre io durante le vacanze lavoro qui per pagarmi la retta all’università”. Pear ci mostra anche il suo account Instagram, dove posa fiera con il diploma delle superiori e nell’uniforme da aiuto-infermiera in un ospedale. È a favore della legalizzazione, perché così le lavoratrici del sesso potranno accedere all’assistenza sanitaria e dovranno farsi periodicamente le analisi per verificare di non avere malattie veneree. Anche lei si sentirebbe più sicura: “Piaccio agli indiani, che amano le donne paffute. Però hanno una cattiva reputazione”. Chiedendo in giro, sembra che a Pattaya gli indiani abbiano sostituito i cinesi come clienti da evitare: a volte pagano meno del pattuito oppure invitano i loro amici in camera.
Anche Yong Yoon, economista del lavoro dell’università Chulalongkorn a Bangkok, si preoccupa per la sicurezza di chi lavora nel settore. Mette in guardia da un effetto negativo della legalizzazione. “Normalizzando il lavoro sessuale, rischiamo di dimenticare che nessuno lo fa per divertimento”. Serve un approccio prudente, suggerisce Yoon, che depenalizzi il lavoro sessuale senza però romanticizzarlo.
L’inglese Nick Dean, 54 anni, è il proprietario di cinque bar sulla Soi 7, tra cui lo Zombie, oltre a un albergo dove le sue dipendenti possono portare i clienti: “Naturalmente io non c’entro nulla, perché il lavoro sessuale è illegale”. Descrive i suoi locali come un luogo per gli incontri lampo. “Se una ragazza non ti piace, passi a quella successiva”. Molte delle sue impiegate sono ragazze madri originarie della provincia povera dell’Isaan. “Alcune se ne vanno dopo un’ora, la maggior parte rimane un paio d’anni”. Dean non ritiene di sfruttare le donne. “Anzi, le aiuto! Gli offro un lavoro e le tratto bene”. Attraverso una chat di gruppo, sostiene Dean, si assicura che non corrano pericoli. “Di recente un cliente si è rifiutato di pagare due ragazze. Così siamo andati là e abbiamo risolto la questione”. Aggiunge sdegnato: “Diamo addirittura consigli su come gestire i soldi!”.
Dean descrive i suoi clienti come “milionari per due settimane” - turisti da Stati Uniti, Europa e Australia che per un attimo vivono l’illusione di essere ricchi - ed expat più anziani che vivono a Pattaya una parte dell’anno. Per tutti la legalizzazione implicherà probabilmente un aumento dei prezzi: “Qualcuno deve pur pagare le tasse”. Nonostante questo, Dean è a favore della legalizzazione e spera che le autorità rendano subito obbligatorie le visite mediche: “Ora sono a discrezione delle lavoratrici, senza grandi risultati”. Quando gli chiedo se dovrà anche pagare meno mazzette alla polizia, Dean non risponde: “Su questo non posso dire niente”. Spera che la legalizzazione permetta di assumere anche lavoratrici straniere. Dalla Cambogia, per esempio: “Più l’economia thailandese migliora, più diventa difficile trovare ragazze”.
In cambio di un whisky e Coca, Talay è disposta a spiegare che piani ha per il futuro. Viene da una regione vicino al confine con il Laos: “Là è molto tranquillo. I nostri genitori coltivano riso e raccolgono gomma”. Il denaro che insieme a sua sorella manda ogni mese alla famiglia serve per la costruzione di una casa di legno: “È quasi finita! Mancano solo le finestre, le porte e una grande tenda sulla veranda”. Talay dice che dovrà fare questo lavoro ancora per qualche mese, un anno al massimo. E con sguardo sognante aggiunge: “Sarà una grande casa per tutta la famiglia, con le galline sul retro e un pesco davanti”.
Oltre che nei locali per single e nei bordelli è facilmente possibile vederli nella vita di tutti i giorni ... Essendo la Thailandia molta aperta di vedute dal punto di vista sessuale qui é tutto normale o meglio dire tollerato, appunto per questo nessuno si vergogna di essere ciò che si sente e di confessare la sua tendenza.
La particolarità di questi locali non implica che qui gli uomini vadano unicamente per trovare compagnia femminile. L’ingresso in un go go bar è solitamente gratuito, anche se, quasi sempre, la consumazione è obbligatoria. Spesso le cameriere, chiamate lady girls, vi chiederanno di offrire loro un “lady drink”.
Consigli utili per i turisti:
- Non chiedete consiglio ai guidatori di tuk tuk su quali siano i migliori go go bar della zona.
- Diffidate dei go go bar situati in posizioni piuttosto isolate, che offrono un intrattenimento scarno e sono frequentati da pochi clienti.
- Chiedete sempre in anticipo quanto costa la consumazione.
- Fate attenzione a cosa ordinate, o a cosa vi viene offerto.
È inutile girarci intorno. Anche i nightcub, i centri massaggio e i bar sono ottimi posti dove trovare compagnia femminile. Esistono diverse App che permettono di trovare le ragazze in Thailandia. Patong è una famosa località balneare che si trova sull’isola di Phuket. Molte ragazze thailandesi sono in cerca dell’anima gemella; altre, invece, sono solo alla ricerca di qualcuno che le possa mantenere. Inoltre, non si fanno problemi ad intrattenere anche uomini molto più grandi di loro.
Le “Lady Bar” thailandesi sono sempre meno e sempre meno giovani perché questa terra è in pieno sviluppo economico. Oggi è molto facile trovare lavoro, il tasso di istruzione è in vertigionoso aumento.
Oltre che nei locali per single e nei bordelli è facilmente possibile vederli nella vita di tutti i giorni ... Essendo la Thailandia molta aperta di vedute dal punto di vista sessuale qui é tutto normale o meglio dire tollerato, appunto per questo nessuno si vergogna di essere ciò che si sente e di confessare la sua tendenza. Le lesbiche in Thailandia. Oggi in Thailandia è un vero e proprio dilagare del fenomeno. A Bangkok: Soi Cowboy, il Soi Nana e Patpong (Pat Pong). Nelle Isole: a Phuket, zona Patong Beach, la Bangla Road; a Koh Samui zona Chaweng e Lamai Beach.
Tabella riassuntiva delle zone a luci rosse:
Città | Zone a luci rosse |
---|---|
Bangkok | Soi Cowboy, Soi Nana, Patpong |
Phuket | Patong Beach, Bangla Road |
Koh Samui | Chaweng Beach, Lamai Beach |
A Boys’ Town, la viuzza di Bangkok, Thailandia, celebre per i locali omosessuali per stranieri, scene del genere sono ormai realtà di tutti i giorni. Bar dai nomi evocativi come “X size” e “Banana”, si attrezzano prontamente con ragazzi che non disdegnano di assecondare i desideri delle clienti femminili, e lo staff omosessuale si trova costretto a fare lo stesso.
Secondo le stime più recenti, gli uomini impiegati dell’industria del sesso thailandese sono passati dai 2 mila della fine degli anni Novanta a oltre 30 mila, e il numero sembra essere in continua crescita.
“La maggior parte di queste donne non viene qui solo per il sesso” spiega il manager di un locale, e, a guardare Federica, un’italiana di mezz’età con l’aria della donna in carriera, mentre beve un cocktail dal nome esotico in compagnia di un giovane oste dalla pelle scura, l’impressione è che non sia davvero solo una questione di carne. Gli occhi languidi con cui osserva il sorriso del suo abile interlocutore, la mano che si passa sul collo mentre lui le parla ininterrottamente in un inglese stentato: saranno pure delle relazioni clandestine dove tutto appare sbagliato - non quadra l’età, la lingua, la cultura, l’estrazione sociale - eppure sembra davvero che ci sia dell’altro.
L’uscita ha un fisso, solitamente sui 500 baht (intorno ai 5 euro), che i clienti sono tenuti a pagare al locale da cui vogliono prelevare un “boy”. Le cifre che i ragazzi chiedono possono andare invece dai 300 ai mille baht, anche se, se le relazioni con alcune clienti diventano più stabili, sono le donne stesse offrire periodici “aiuti finanziari”.
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