L'Impatto del Trattato di Schengen sull'Immigrazione: Conseguenze e Prospettive
Il 14 giugno 1985, Francia, Germania e Benelux firmarono il Trattato di Schengen, un accordo che aboliva i controlli di frontiera e trattava l'intera area come un singolo paese. Inizialmente, il Trattato non faceva parte delle strutture della Comunità, ma fu successivamente incorporato nelle leggi dell'Unione con il Trattato di Amsterdam (1997). Gradualmente, altri 21 paesi aderirono, inclusi 4 membri dell'EFTA non appartenenti all'UE. Oggi, l'Area Schengen conta una popolazione di oltre 400 milioni di persone.
In linea di principio, si trattava di un'ottima iniziativa, visto il risparmio di tempo e di costo dei trasporti per passeggeri e merci. Uno studio recente della Bertelsmann Stiftung stima il costo che seguirebbe la disintegrazione dell’Area Schengen da €470md a €1.400md nel prossimo decennio (circa il 10% del PIL annuale dei 28 paesi dell’UE) dovuto all’aumento dei prezzi di importazione da 1% a 3%. Queste stime potrebbero essere esagerate ma senza dubbio il collasso di Schengen nelle condizioni attuali di ristagno economico avrebbe un impatto recessivo sullo sviluppo dell’Unione, con ripercussioni globali.
Le regole di Schengen prevedono controlli di confine temporanei in casi di urgenza, per un periodo da 2 a 6 mesi, e una sospensione del Trattato per un periodo fino a 2 anni per motivi di ordine pubblico. A partire dall’estate 2015 diversi membri dell’Area di Schengen, soggetti a crescenti pressioni migratorie senza precedenti, sono ricorsi unilateralmente alla reintroduzione di controlli, muri e barriere e vari gradi di mezzi repressivi.
La Crescente Pressione Migratoria
Nel mezzo secolo 1960-2010 i migranti internazionali, definiti come i residenti in un paese diverso da quello di nascita, rappresentavano una proporzione relativamente stabile della popolazione mondiale intorno al 3%. In quel periodo la globalizzazione aveva nel 1970 fatto risalire la quota delle esportazioni mondiali sul PIL globale all’8% (come alla vigilia della prima guerra mondiale), e poi lo faceva crescere ininterrottamente al 24% nel 2000 per raggiungere oggi, nonostante lievi flessioni intermedie, circa il 30% del PIL globale. Permanevano invece ostacoli significativi al movimento internazionale dei lavoratori, soprattutto se poco qualificati; in questo la globalizzazione corrente differiva radicalmente dal quella degli anni 1850-1914, quando le migrazioni internazionali, praticamente non soggette a restrizioni, raggiungevano punte del 10% della popolazione mondiale con una quota delle esportazioni sul PIL globale molto inferiori ai valori odierni (anche perché si trattava di una immigrazione di conquistatori e di lavoratori al loro servizio, senza la possibilità di opposizione ai nuovi venuti da parte delle popolazioni autoctone).
Già verso la fine degli anni 2000 si riscontrava una leggera tendenza delle migrazioni ad accelerare, molto più marcata per le migrazioni dal Sud al Nord. Nei paesi dell’OCSE la quota degli immigrati internazionali saliva dal 4,6% della popolazione nel 1960 al 10,9% nel 2010, quasi interamente per l’immigrazione dai paesi in via di sviluppo. Successivamente questa accelerazione si accentuava. Nel 2015 i migranti provenienti in Europa principalmente dal Medio Oriente e dall’Africa superavano i flussi migratori dell’ultimo dopoguerra.
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Secondo i dati di Frontex, l’agenzia europea che dal 2004 assiste i membri di Schengen a monitorare i loro confini esterni, nei primi undici mesi del 2015 1.550mila persone tentavano di varcare irregolarmente le frontiere esterne dell’UE, un record storico rispetto ai 282mila emigrati entrati in Europa nel corso dell’intero 2014. Secondo i dati IOM (International Organisation for Migration)/UNICEF il 20% circa della totalità dei migranti che arrivavano via mare era costituito da minori non accompagnati. Secondo l’EASO (European Asylum Support Office, bollettino novembre-dicembre 2015, nei primi dieci mesi del 2015 sono state presentate nell’UE oltre 1 milione di domande di protezione internazionale, con numeri in costante incremento da aprile.
Secondo l’IOM nel 2015 sono arrivati in Europa 177.207 migranti via mare, e oltre 3.771 persone sono state segnalate come morte o disperse nel Mediterraneo; nel 2016 al 20 aprile si stima che siano arrivati in Italia, Grecia, Cipro e Spagna 180.245 migranti compresi i rifugiati, mentre morti e dispersi si stimano a 1.232 nello stesso periodo.
È vero che nel 2015 e fino a metà febbraio 2016 un numero ancora maggiore di soli siriani avevano trovato accoglienza, secondo la Bertelsmann Stiftung, in Giordania (640.000), Libano (oltre 1 milione) e Turchia (2,6 milioni); mentre il Pakistan e l’Iran avevano accolto diverse centinaia di migliaia di migranti rispettivamente dall’Afghanistan e dall’Iraq. Ma questo non riduce il problema europeo, tanto più che le cattive condizioni degli emigrati in questi paesi di prima accoglienza e il loro deterioramento prima o poi finiscono col contribuire alla pressione migratoria sull’Europa.
Questa intensificazione delle pressioni migratorie in Europa alla metà del decennio in corso ha una pluralità di cause. I rifugiati richiedenti asilo sono aumentati a causa dell’avvio e continuazione di conflitti e persecuzioni: in Iraq e in Siria soprattutto, ma anche in Afghanistan, in Libia, in Eritrea e in Somalia, e in altri paesi del Nord Africa. Fino al 2014 si stimava che i rifugiati rappresentassero all’incirca il 15-20% dei migranti internazionali, ma a partire dal 2014 fino ad oggi essi sono aumentati rapidamente, a livelli superiori agli spostamenti di popolazione avvenuti alla fine della seconda guerra mondiale.
I flussi di rifugiati sono stati aggravati da errori politici dell’Unione Europea, che Branko Milanovic (in un post su Social Europe, maggio 2015) attribuisce a una combinazione di incompetenza e di arroganza, quali il rovesciamento del regime di Gheddafi, l’ultimatum al precedente governo dell’Ucraina, e la gestione della crisi greca.
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I migranti economici, a loro volta, sono andati aumentando per la maggiore possibilità di emigrare, prima impedita da regimi autoritari nel blocco sovietico e da dittature nord-africane ed asiatiche; il divario elevato e crescente fra il reddito nei paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo, soprattutto se ponderato per la probabilità di occupazione (approssimata da 1 meno il tasso di disoccupazione), che nella teoria tradizionale delle migrazioni (esemplificata dal modello di Harris-Todaro) è il movente principale delle migrazioni. Inoltre c’è stata una crescente e sempre più rapida diffusione di informazioni circa la misura di tale divario elevato e crescente, o addirittura la percezione esagerata di tale divario di reddito da parte di migranti potenziali che hanno una visione troppo ottimistica delle opportunità di occupazione e di reddito che si aprono per loro e i loro figli nel paese di immigrazione.
A questo si aggiunge il divario, effettivo o percepito, nei benefici netti offerti nei paesi di destinazione dallo stato del benessere, e la sovrastima della sua sostenibilità a fronte di migrazione di massa; le tendenze demografiche amplificano l’impatto del divario di reddito, ad esempio con la popolazione sub-Sahariana destinata a crescere di quasi sei volte al 2100.
Per di più gli immigrati ottengono l’accesso automatico e gratuito al capitale sociale nel suo senso più largo (comunque sia definito, come vedremo più avanti). Il semplice passare del tempo consente ai migranti potenziali di risparmiare per finanziare il costo del viaggio di emigrazione anche con un reddito stagnante o addirittura in declino. La graduale riduzione dei costi di trasporto, e la fornitura di mezzi di trasporto relativamente poco costosi anche se rischiosi e insicuri, da parte di scafisti e trasportatori illegali, contribuisce alla pressione migratoria. Ancora più forte è l’effetto della diaspora di migrazioni precedenti, per cui i migranti potenziali contano sul supporto di parenti ed amici già emigrati con successo; questi processi a catena riducono il costo e il rischio delle migrazioni.
Ultimo, ma non meno importante, è proprio l’allentamento dei controlli di confine in seguito alla crescente integrazione all’interno dell’Unione europea (appunto col Trattato di Schengen, 1985), e il basso rischio di scoperta e di penalizzazione nel caso di migranti non autorizzati una volta che siano arrivati a destinazione.
La Progressiva Sospensione di Schengen
Sotto la spinta dei queste pressioni migratorie vari paesi dell’Area di Schengen re-introducevano controlli, barriere e misure di repressione, forzando i paesi contigui a introdurle a loro volta per evitare l’accumulazione di migranti nel loro territorio. Nell’estate del 2015 l’Ungheria chiudeva i suoi confini con Serbia, Romania e Croazia. La Slovenia introduceva barriere al confine con la Croazia. Alla fine di agosto 2015 Angela Merkel unilateralmente adottava una politica di “confini aperti” verso i rifugiati siriani, invitandoli in Germania indipendentemente dal primo paese dell’UE da cui fossero entrati.
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Successivi ripensamenti non facevano altro che accelerare le migrazioni per timore di ulteriori restrizioni. La Danimarca ristabiliva controlli ai passaporti al confine con la Germania, con la Svezia che quindi stabiliva gli stessi controlli a chi proveniva dalla Danimarca. La Francia chiudeva il campo dei migranti di Calais, la cosiddetta “giungla” in cui più di 5000 residenti aspettavano di potersi recare nel Regno Unito per ferry, o attraverso il Channel in camion, treni o perfino a piedi; la chiusura veniva resistita con violenza. Il Belgio reintroduceva controlli al confine con la Francia per impedire ai migranti cacciati da Calais di spostarsi sulla sua costa. L’Austria costruiva un muro alla frontiera con la Slovenia, e fissava un tetto massimo di 80 richiedenti asilo al giorno. Nel 2015 gli emigranti che dalla Turchia attraversavano il mare per la Grecia aumentavano di 20 volte rispetto al 2014.
Venivano rinforzati i confini fra Macedonia e Grecia, poi sbarrati del tutto, trasformando la Grecia in un enorme campo di rifugiati, a «warehouse of souls» (Tsipras). L’UE prometteva alla Grecia €700 milioni in 3 anni (di cui 300mn nel 2016 per assistenza di emergenza ai migranti); proposte alternative di cancellazione parziale del debito greco in cambio di assistenza agli emigrati venivano respinte, anche se ragionevoli, per paura di un possibile rischio di azzardo morale.
Nel novembre 2015 l’UE aveva assegnato €3md alla Turchia per indurla a trattenere i migranti almeno temporaneamente, ma tre mesi dopo 2.000 migranti al giorno ancora passavano in Europa; il 20 marzo 2016 l’UE e la Turchia si accordavano perché dal 4 aprile la Turchia riprendesse dalla Grecia gli emigranti che non facevano domanda di asilo o la cui domanda era respinta, a condizione che i membri dell’UE riprendessero altrettanti siriani dalla Turchia; gli aiuti UE salivano a €6 miliardi con l’aggiunta di altri benefici quali l’accesso di cittadini turchi all’UE senza bisogno di visti (che a sua volta genererà un afflusso di curdi turchi in Europa). Può darsi che questo accordo contravvenga le norme delle Nazioni Unite, ma l’UE è abbastanza potente da non curarsene purché possa godere dell’acquiescenza dei suoi giudici (Rowthorn 2016). L’accordo potrebbe diventare la base di accordi futuri per controllare i flussi migratori e i rimpatri.
La chiusura della via balcanica naturalmente riattivava la rotta mediterranea per l’Italia (attraverso l’Albania o il Mediterraneo meridionale), Cipro e la Spagna, spingendo l’Austria a chiudere la frontiera del Brennero con l’Italia oltre che con l’Ungheria. Secondo una think-tank tedesca il flusso di rifugiati in Europa nel 2016 viene stimato fra 1,8 e 6,4 milioni, quest’ultimo il caso peggiore comprendente numeri elevati dal Nord Africa. Un recente sondaggio Gallup indica che il 32% dell’intera popolazione dell’Africa subsahariana, equivalente in termini assoluti a 308 milioni di persone nel 2015, proiettati a 685 milioni al 2050, emigrerebbero permanentemente in Europa se ne avessero l’opportunità. Senza contare gli immigrati potenziali dal Medio Oriente e dal Sud-est asiatico.
Le barriere recentemente introdotte scadono il 13 maggio 2016, e potranno essere prorogate per altri 18 mesi, dopo di che Schengen sarà ufficialmente finito.
"Mission Creep" e le Sfide Future
L’eliminazione dei confini interni all’area di Schengen e l’introduzione dell’euro hanno molto in comune. Ambedue erano ottime iniziative, ma premature e incomplete, con conseguenze negative aggravate dalla divergenza fra i paesi membri e dalle politiche di austerità imposte dall’UE. Anche il Trattato di Schengen avrebbe richiesto l’integrazione politica e fiscale mancanti, e in più il rafforzamento della frontiera esterna dell’UE, delegata invece a controlli nazionali frammentari, disuguali e inadeguati.
Mancava un regime europeo del diritto di asilo, e la fondamentale distinzione fra rifugiati che fuggono da guerre e persecuzioni, per raggiungere un paese sicuro, e tutti gli altri migranti economici in cerca di un migliore standard di vita. La differenza fra questi due gruppi è elusiva, poiché anche i rifugiati tenderanno a scegliere paesi che offrono migliori prospettive di occupazione e di reddito e maggiori benefici netti di welfare, anche a costo di abbandonare il primo paese sicuro raggiunto.
I numerosi morti e dispersi nella traversata del Mediterraneo avvicinano la posizione dei migranti economici a quella dei rifugiati. Eppure la differenza legale, etica e pratica rimane: i migranti economici si assoggettano, emigrando, alla discrezionalità del paese di arrivo e possono vedere il proprio accesso rifiutato o addirittura essere rimpatriati; mentre i rifugiati hanno un diritto sacrosanto all’asilo, sanzionato dall’articolo 13-2 della Dichiarazione universale dei diritti umani, dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e Protocollo del 1967 e dall’UNHCR. I rifugiati non possono essere penalizzati per la loro entrata o soggiorno in altro paese anche se illegali, non possono essere detenuti per il solo fatto di chiedere asilo, e non possono essere espulsi o rimpatriati.
Negli ultimi decenni la stessa crescita del numero di rifugiati ha introdotto il concetto di paese sicuro, di origine o di asilo, da cui non si può chiedere asilo in un altro paese. Purtroppo non esiste una lista riconosciuta di paesi sicuri, né per l’ONU né per l’UE, per cui rimane problematico rifiutare l’asilo su questa base.
La Convenzione di Dublino (1990) stabilisce che il primo paese di entrata nell’UE è responsabile per la rilevazione delle impronte digitali e l’identificazione di tutti gli immigrati ed è interamente responsabile per la loro accoglienza, una norma più rigida di quella delle Nazioni Unite ma spesso disattesa. L’abolizione dei confini interni...
Il Pacchetto Frontiere e le Proposte della Commissione Europea
Nel tentativo di favorire una gestione efficace delle frontiere europee, la Commissione, il 15 dicembre 2015, aveva presentato il c.d. Pacchetto frontiere. Nella proposta la Commissione evidenzia come il controllo alle frontiere esterne costituisca una delle principali garanzie dello spazio Schengen. Tra le varie misure ivi proposte, quella che ha attratto più attenzione concerne l’istituzione di una guardia costiera e di frontiera europea.
Altre innovazioni di non poco rilievo riguardano tuttavia il Codice Frontiere Schengen. La Commissione infatti, al fine di combattere il fenomeno dei foreign terrorist fighters, molti dei quali sono cittadini dell’Unione. La proposta, che modifica l’art. 8 CFS, introduce l’obbligo di effettuare, a tutte le frontiere esterne, in ingresso e in uscita, verifiche sistematiche sui beneficiari del diritto alla libera circolazione ai sensi del diritto UE (ovvero i cittadini dell’Unione e i loro familiari che non sono cittadini UE), consultando le pertinenti banche dati al fine di accertarsi che tali persone non rappresentino una minaccia per la sicurezza interna, l’ordine pubblico, le relazioni internazionali o la salute pubblica.
La proposta rafforza poi la necessità di verificare gli identificatori biometrici nei passaporti dei cittadini dell’UE in caso di dubbi sull’autenticità del passaporto o sulla legittimità del titolare. L’obbligo di controlli sistematici potrà essere derogato dagli Stati membri soltanto allorché vi sia il rischio di un impatto sproporzionato sul flusso di traffico. In tal caso, alle verifiche sistematiche potranno sostituirsi controlli mirati nelle banche dati. Tale possibilità, tuttavia, riguarda soltanto le frontiere esterne terrestri e marittime, non invece quelle aeree.
Vi è dunque il rischio concreto che con le nuove procedure di controllo negli aeroporti si verifichino lungaggini e ritardi, con un conseguente effetto sulla libera circolazione. La questione non pare aver sollevato particolare interesse nell’ambito del Consiglio GAI che ha adottato un orientamento generale in materia (l’unico punto controverso della proposta ha infatti riguardato la durata della deroga transitoria concessa agli Stati per adeguarsi al nuovo sistema di verifiche sistematiche alle frontiere aeree), ma auspicabilmente verrà ridiscussa in sede parlamentare.
Prospettive Future
Benché l’esigenza di ritornare ad un normale funzionamento di Schengen sia stata riconosciuta sia dal Consiglio europeo che dalla Commissione, non è ancora chiaro se e quando ciò potrà avvenire. Tale ripristino è infatti strettamente condizionato all’attenuarsi delle pressioni migratorie e delle attuali carenze strutturali nel controllo delle frontiere esterne. Presupposti la cui realizzazione è tuttora incerta.
Il recente accordo di cooperazione con la Turchia, già di per sé censurabile sul piano del rispetto dei diritti umani e del diritto europeo dei rifugiati, non appare idoneo a ridurre il flusso di immigrazione irregolare, che pure sarebbe il suo principale obiettivo. E ciò non solo per le contraddizioni su cui riposa. Il tentativo di chiudere la via balcanica sta infatti determinando, anche con la complicità della primavera, un inevitabile riorientamento dei flussi verso altre rotte di fuga, in particolare quella che dalla Libia arriva in Italia (come ammesso dallo stesso presidente del Consiglio europeo Tusk).
Si fa dunque sempre più concreta la prospettiva che la strada per il ripristino di Schengen passi per una sua ulteriore sospensione, questa volta però coordinata dall’Unione ex art. 29 CFS.
La situazione migratoria nel 2015 e 2016 ha visto un afflusso significativo di migranti e rifugiati in Europa, con numeri che hanno superato i flussi migratori del dopoguerra. La tabella seguente riassume alcuni dei dati chiave relativi a questo periodo:
Dato | Valore | Fonte |
---|---|---|
Persone che hanno tentato di varcare irregolarmente le frontiere UE (primi 11 mesi del 2015) | 1.550.000 | Frontex |
Migranti entrati in Europa nel 2014 | 282.000 | Frontex |
Minori non accompagnati tra i migranti via mare | Circa il 20% | IOM/UNICEF |
Domande di protezione internazionale (primi 10 mesi del 2015) | Oltre 1 milione | EASO |
Migranti arrivati in Europa via mare nel 2015 | 177.207 | IOM |
Morti o dispersi nel Mediterraneo nel 2015 | Oltre 3.771 | IOM |
Migranti arrivati in Italia, Grecia, Cipro e Spagna fino al 20 aprile 2016 | 180.245 | IOM |
Morti o dispersi nel Mediterraneo fino al 20 aprile 2016 | 1.232 | IOM |
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