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La Sindrome del Turista: Quando il Viaggio Diventa un Rischio per la Mente

Se i viaggiatori di tutto il mondo pensavano di ricavare solo benefici dalle proprie esperienze itineranti, è giusto che sappiano che viaggiare comporta anche qualche rischio, non solo dovuto a fattori esterni - furti, truffe e simili - ma anche a livello mentale. Non poche, infatti, sono le sindromi che spesso si associano a nomi di città.

La Sindrome di Parigi: Delusione nella Città dell'Amore

Parigi, la Ville Lumière, la città dell'amore. La si vede sempre in film, libri e foto, circondata da un'aura mitologica. Quando si passeggia per le sue strade, conosciute e non, inevitabilmente l'idea corre agli spot che raccontano di modelle bellissime e storie d'amore mozzafiato che nascono e muoiono sotto lo sguardo romantico della Torre Eiffel. È chiaro, quindi, che il turista in partenza per Parigi si sente un po' come uno di quei personaggi fittizi, pronto a farsi coinvolgere totalmente da quella scenografia urbana. E la delusione è lì pronta a incombere da dietro l'angolo.

Una delusione che i turisti giapponesi conoscono molto bene. La Sindrome di Parigi è infatti un fenomeno tutto nipponico. Basti pensare che l'ambasciata giapponese a Parigi ha istituito un numero verde, attivo 24 ore su 24, per fornire sostegno psicologico a tutti i turisti giapponesi vittime di questa particolare sindrome. Una sindrome che ogni anno colpisce in media tra i 20 e i 24 turisti provenienti dalla terra del Sol Levante, su un totale di circa 20 - 25mila giapponesi all'anno che si recano a Parigi.

La sindrome di Parigi è stata scoperta negli anni '80 dagli psichiatri dell'Hotel-Dieu, il più antico ospedale di Parigi e il primo a riconoscerla fu proprio un medico giapponese, il professore Hiroaki Ota. Il disturbo si presenta con sintomi diversi: stordimento, senso di delusione fino alla percezione distorta del mondo e di se stessi, a cui si aggiungono stati d'ansia, allucinazioni, deliri di persecuzione, tachicardia e depressione. Nei casi più problematici l'unica soluzione è il rimpatrio.

La Sindrome di Gerusalemme: Quando la Fede Porta alla Psicosi

Crocevia dei tre grandi monoteismi, Gerusalemme è sicuramente tra le città più suggestive al mondo. Qui si concentrano meraviglie architettoniche e opere d'arte senza tempo, il tutto intriso di una spiritualità difficilmente rintracciabile in altre parti del globo. E anche qui, il viaggiatore più sensibile - o suscettibile, a seconda dei punti di vista - può incorrere in qualche problema. Non è raro, infatti, che i turisti più emotivi vengano colti all'improvviso da allucinazioni e psicosi. In particolare, turisti di fede ebraica e cristiana sono tra i più colpiti, e pretendono di essere personaggi tratti dalla Bibbia: c'è chi dice di essere Maria, Giuseppe, Mosè, Abramo e anche Gesù.

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Le guide ne sono ben consapevoli, tanto che stanno sempre sul chi vive, osservando i comportamenti delle persone che tendono a isolarsi e a staccarsi dal gruppo: in alcuni casi, turisti, dopo aver visitato il Muro del Pianto, sono stati ritrovati a predicare con indosso lenzuola come fossero tuniche, incitando e inveendo contro la folla di turisti. Se può essere in un primo momento divertente, il pellegrino che annuncia la fine del mondo, un altro che ascende al Calvario portando sulle spalle una croce di legno oppure predica coperto da un lenzuolo d'hotel, ci sono casi estremi, come quello avvenuto nel 1969, quando l'australiano Michael Rohan cercò di bruciare la spianata delle moschee per "favorire l'avvento del Messia".

La sindrome viene definita dai medici come un disturbo dissociativo dell'identità. I malati adottano una personalità che, in seguito, non sono in grado di ricordare. La forte spiritualità che caratterizza l'atmosfera dell'antica città di Gerusalemme, un centro di religione, storia, ideologia e mitologia, non lascia indifferenti le persone che la visitano.

Anche in questo caso, è il tempo la miglior cura: dopo qualche giorno, i turisti "invasati" tornano alla realtà. Molti si vergognano delle loro gesta, non riescono a spiegare che cosa sia successo.

La Sindrome di Stendhal: Emozione Eccessiva di Fronte all'Arte

"Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere". Queste parole scritte da Stendhal descrivono perfettamente quella che è conosciuta come sindrome di Firenze, o, appunto, di Stendhal. Nell'opera "Roma, Napoli e Firenze" scritta nel 1817 dopo il suo Grand Tour in Italia, parla degli effetti di questa patologia psicosomatica, sperimentata in prima persona. Stendhal, durante una visita alla Basilica di Santa Croce a Firenze, fu colto da una crisi che lo costrinse a uscire dall'edificio per riprendersi dalla reazione che il luogo d'arte scatenò nel suo animo.

È stata una psichiatra italiana a descrivere per la prima volta la sindrome di Firenze: Graziella Margherini, responsabile del servizio per la salute mentale dell'Arcispedale Santa Maria Nuova di Firenze, che nel 1979 scrisse "La sindrome di Stendhal. Il malessere del viaggiatore di fronte alla grandezza dell'arte". La sindrome fu diagnosticata per la prima volta nel 1982 e, secondo i dati raccolti, le vittime sono per la maggior parte europei con una formazione classica, tendenti alla solitudine. Gli italiani sono immuni dalla sindrome per "abitudine" culturale.

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Causa di questa sindrome - che può verificarsi anche in altre città, non solo a Firenze - la meraviglia a cui viene continuamente sottoposto il turista. Quadri, statue, palazzi e musei agiscono sulla sua psiche, colpito dalla profondità dei dipinti. È come se si venisse a creare una relazione mentale tra l'opera d'arte il suo creatore e l'ignaro turista, portato così a trascendere la realtà: uno dei comportamenti più estremi è l'isteria che può portare il soggetto a distruggere l'opera.

Wanderlust: L'Inarrestabile Voglia di Esplorare

Se desideri continuamente viaggiare, scoprire posti nuovi, partire verso mete che ancora non conosci, se hai continuamente voglia di partire e di viaggiare, allora potresti essere colpito dalla Sindrome di Wanderlust, anche detta la malattia del viaggiatore.

Una malattia che colpisce tutti coloro che sentono l’impulso irrefrenabile di viaggiare il più possibile, scoprire sempre nuove mete e vedere angoli del mondo ancora inesplorati.

Il significato della sindrome di Wanderlust è quindi l'ossessione di viaggiare, forte a tal punto da diventare una sindrome che spinge chi ne è affetto a desiderare continuamente di viaggiare e visitare nuovi luoghi.

La traduzione formale di Wanderlust in italiano prende il nome di dromomania, in questo caso derivante dal greco dromos (corsa) e mania (ossessione).

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L'Origine Genetica della Voglia di Viaggiare

La Sindrome di Wanderlust, secondo recenti scoperte scientifiche, sarebbe da collegare a un gene nel nostro DNA. La malattia del viaggiatore si ricondurrebbe a un derivato del gene DRD4, che è stato associato ai livelli di dopamina nel cervello. Secondo questi studi il gene specifico correlato sarebbe il DRD4-7R, che per queste ragioni è stato rinominato il gene della Wanderlust, grazie alla sua correlazione con grandi livelli di curiosità e irrequietezza.

La presenza di questo gene sarebbe presente in quelle persone più propense a correre rischi: esplorare nuovi posti, idee, cibi, relazioni e che in generale accolgono positivamente il cambiamento, il progresso e l’avventura.

Abbiamo tutti il gene della Wanderlust? Pare di no, sembrerebbe infatti che solo 1 persona su 5 possieda questo gene, e che sia maggiormente presente in quelle popolazioni che storicamente sono state spinte a migrazioni.

Turismo di Massa a Napoli: Un'Analisi Approfondita

A mezzogiorno di una mattina di inizio ottobre centinaia di turisti in visita guidata, curiosi con la macchina fotografica al collo e famiglie con bambini affollano il piazzale davanti al famosissimo murale che raffigura Diego Armando Maradona, nei Quartieri Spagnoli di Napoli. Il dipinto fu realizzato nel 1990 da un ragazzo del quartiere, Mario Filardi, che impiegò appena tre giorni e due notti per completarlo, e occupa l’intero fianco di un palazzo. Fino alla morte del calciatore argentino avvenuta il 25 novembre del 2020, il largo su cui si affaccia il murale di Maradona era utilizzato come parcheggio.

Negli ultimi anni a Napoli gli arrivi dei turisti sono nettamente cresciuti. «Basta farsi una passeggiata tra i vicoli per capire cosa sono diventati i Quartieri Spagnoli», dice Cyop, un writer che con il suo compagno d’arte Kaf in quasi quindici anni ha realizzato 250 graffiti sui muri scrostati e sui portoni arrugginiti di tutto il quartiere.

Molti “bassi”, come vengono chiamate le abitazioni di pochissimi metri quadrati con accesso diretto sulla strada, vengono affittati attraverso la piattaforma Airbnb con la promessa di far vivere a chi li prenota la «vera vita napoletana». Monolocali e bilocali vengono ristrutturati addobbandoli con «madonne, san gennari e Maradona»: lo ha scritto il giornale online Napoli Monitor che ha la sua redazione a pochi metri dal murale di Maradona. Monolocali e bilocali che vengono affittati a 120 euro al giorno di media.

Il quotidiano francese Le Monde ha scritto che nei bar dei Quartieri Spagnoli ormai si «servono Aperol Spritz a portar via, un cocktail del grande Nord veneziano sbarcato a Napoli, come una forma di unità d’Italia dettata dai desideri espressi dai visitatori stranieri».

A dimostrarlo, secondo lui, sono il successo mondiale dei libri di Elena Ferrante, film come È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino e Mixed by Erry di Sydney Sibilia, visti in tutto il mondo grazie a Netflix. «Fino a qualche anno fa la città era soprattutto un luogo di passaggio per chi era diretto a Pompei o sulla Costiera, ora invece ci si ferma a visitarla anche per più giorni», spiega Alessandra Esposito, un’urbanista dell’Università La Sapienza di Roma che ha scritto un libro, Le case degli altri (Editpress), sull’impatto economico e sociale di quella che definisce «turistificazione» della città.

All’inizio del 2017, dopo una sparatoria a Forcella in cui rimasero feriti tre venditori ambulanti senegalesi e una bambina di 10 anni che si trovava nei paraggi, Saviano polemizzò con il sindaco, dicendo in un’intervista a Repubblica che «questa città non è cambiata» e che «illudersi di risolvere problemi strutturali urlando al turismo o alle feste di piazza è da ingenui». Pochi mesi dopo il sindaco e l’allora assessore al Turismo Nino Daniele presentarono un “Piano strategico per il turismo” che si proponeva di cambiare il modo in cui la città era percepita puntando sulla cosiddetta «napoletanità», vale a dire uno stile di vita unico e riconoscibile che i visitatori di tutto il mondo avrebbero potuto condividere.

Nacque uno dei primi bed&breakfast nel rione Sanità, un quartiere del centro storico con forti problemi di criminalità e di disoccupazione. Antonio Loffredo, parroco della Basilica di Santa Maria della Sanità, pensò che il turismo di massa avrebbe potuto rompere l’isolamento del rione e creare lavoro per i giovani, evitando che finissero arruolati dalla camorra. Affidò al designer Riccardo Dalisi il progetto di un bed&breakfast da ricavare all’interno del convento annesso alla chiesa. Una volta realizzato, lo fece gestire da una cooperativa formata da ragazzi del quartiere. «Questi ragazzi vivevano tra il chiostro e la strada, avevano abbandonato la scuola, alcuni rubavano.

Molti in città parlano di un «nuovo rinascimento» napoletano legato al turismo di massa. C’è però chi sostiene che questo «rinascimento» renda i problemi solo meno visibili, a cominciare da quello della criminalità: se di giorno i turisti non corrono più grandi rischi di essere borseggiati come avveniva un tempo, di notte si continua a sparare. Il diciassettenne è stato arrestato e ha detto che «ai Quartieri Spagnoli le pistole vanno e vengono come l’acqua fresca». Nella notte tra il 3 e il 4 settembre, tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli ci sono state almeno due “stese”, come vengono definite le sparatorie a fini dimostrativi per segnalare il controllo su un determinato territorio o minacciare un clan rivale. Si chiamano “stese” perché durante gli spari bisogna stendersi a terra per evitare di essere colpiti.

Secondo gli attivisti di SET il turismo non è riuscito a risolvere nessuno dei problemi economici e sociali di Napoli. Alex Zanotelli è un missionario comboniano che vent’anni fa si è trasferito dalla baraccopoli di Korogocho, a Nairobi in Kenya, al rione Sanità. «La turistificazione non ha attenuato la polarizzazione sociale, anzi ha aumentato le disuguaglianze e le ha messe in scena a uso e consumo dei turisti», dice ancora Esposito, l’urbanista della Sapienza.

L’offerta di alloggio a breve termine a Napoli ha superato quella di Venezia: 9.754 contro 7.950, secondo gli ultimi dati di Inside Airbnb, un sito che monitora in tempo reale l’offerta di case nelle grandi città di tutto il mondo. Il 90 per cento di questi si trovano nel centro storico, in particolare nei Quartieri Spagnoli e alla Sanità, che sono le zone con la più alta densità abitativa di Napoli e allo stesso tempo le più povere: 14mila abitanti in meno di un chilometro quadrato nei Quartieri Spagnoli, 32mila abitanti in due chilometri quadrati nel rione Sanità.

La conseguenza è che gli sfratti sono aumentati a dismisura e «nessuno vuole più affittare neppure un basso a migranti, famiglie numerose e studenti universitari», dice De Vito, della rete SET. Allo sportello che la rete SET ha aperto a Materdei, un quartiere che confina con i Quartieri Spagnoli e con il rione Sanità, si rivolgono tutti i giorni persone in difficoltà a pagare l’affitto o sotto sfratto.

Cristina De Maria è andata da loro alla metà di maggio, dopo aver ricevuto la lettera di un legale dei proprietari che le intimava di lasciare entro il fine settimana il sottoscala di 35 metri quadrati in cui vive dal 1997 con la figlia di 22 anni. La donna pagava 500 euro di affitto, ma ha smesso dal 2015, quando è stata costretta a lasciare un lavoro non in regola in una farmacia, per ragioni di salute. A luglio, mentre era ricoverata in ospedale per un infarto, ha ricevuto via SMS la notifica della cancellazione del reddito di cittadinanza, che i legali della rete SET sono poi riusciti a farle riavere per le sue condizioni di salute, ed è in attesa che le venga riconosciuta la pensione di invalidità. Non ha però i soldi per pagare l’affitto e soprattutto per rientrare del debito accumulato. Ha messo tutta la sua roba in alcuni scatoloni e attende da un giorno all’altro l’arrivo dell’ufficiale giudiziario, ma non sa dove andare quando dovrà lasciare la casa. Il problema del costo degli affitti si è ingigantito durante la pandemia. «Molte persone che lavoravano spesso al “nero” in bar e ristoranti hanno perso il lavoro e hanno cominciato a non pagare», dice De Vito.

Alla fine del 2021 il governo non ha rinnovato la proroga del blocco degli sfratti, prevista durante la pandemia di Covid, e da allora se un inquilino non paga anche solo una rata dell’affitto può essere mandato via. Secondo i dati dell’Istat, il centro storico di Napoli ha la più alta percentuale di affittuari d’Italia, il 39 per cento. Il 70 per cento delle case sono abitate da coppie giovani e a basso reddito. Gli sfratti esecutivi, cioè con l’obbligo di lasciare l’abitazione entro 90 giorni dalla richiesta del proprietario, sono saliti dai 1.700 del 2017 ai 12mila del 2023. L’85 per cento di questi sono per morosità.

Tabella: Confronto Offerta Alloggi a Breve Termine

Città Offerta Alloggi (Airbnb)
Napoli 9.754
Venezia 7.950

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