Un Lungo Viaggio nella Notte: Trama e Analisi
Dopo Zoo di vetro e Chi ha paura di Virginia Woolf, primi due pezzi di una trilogia americana alla quale si è dedicata nelle ultime stagioni, la compagnia del Tieffe Teatro Menotti guidata da Arturo Cirillo, giunge alla sua terza ed ultima tappa con Lungo viaggio verso la notte di Eugene O’Neill.
Un vero e proprio viaggio all’incontrario fra due autori come Tennessee Williams ed Edward Albee e quello che si può tranquillamente definire il capostipite del grande teatro americano del Novecento vale a dire O’Neill, per di più aureolato dal premio Nobel. Nel teatro di O’Neill, infatti, è più evidente, rispetto agli altri due drammaturghi la fascinazione molto stretta che ha su di lui il naturalismo ma anche il simbolismo, il senso tragico della vita grazie alla profonda conoscenza della tragedia classica.
Tutti e tre i testi sono stati analizzati da Arturo Cirillo, che ne è stato anche l’interprete principale e hanno il loro centro vitale e teatrale nel salotto borghese chiuso fra le mura di casa dove uomini e donne si confrontano fino all’ultimo respiro. Giova a questo punto ricordare come però in tutti e tre si viva un pericoloso disagio proprio quando il modo di vivere, anzi la vita stessa dei personaggi, rischia di essere inglobata o addirittura sconfitta dal mondo di fuori.
La Trama e i Temi Chiave
Ma che cosa si racconta in questo dramma da impensierire tanto l’autore che pure aveva sentito fortissimo l’istinto liberatorio di scriverlo? Forse perché nella poco edificante vita della famiglia Tyrone era ritratta quella della famiglia O’Neill, fra bevute smodate in casa e fuori degli uomini e la morfina a fare compagnia e a dare nutrimento ai dolori talora immaginari della donna di casa, recidiva malgrado le cure ?
Certo non preoccupa lo scrittore il fatto che Edmund, che è poi lui stesso, sia ammalato di tubercolosi anche per via della vita sregolata e della fame patita nel corso dei suoi lunghi imbarchi per sfuggire l’irrespirabile aria di casa. Né lo preoccupa l’avarizia del padre che è stato attore di un certo successo ma come gli dice con scherno un “beniamino dei matinée” al quale i figli rimproverano la tirchieria.
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Maggiore attenzione invece ha per il fratello maggiore James jr, poeta e attore fallito, perennemente ubriaco e in cerca di puttane, che per Edmund sente però un vero affetto. Chi lo preoccupa davvero invece è la madre, alla quale peraltro vuole bene: lo angoscia la sua follia, il suo disadattamento, l’uso inarrestabile della droga.
Insomma i Tyrone hanno fatto della loro casa costruita in un luogo assediato dalla nebbia, perfino poco salubre, un vero e proprio ring nel quale autodistruggersi e rappresentare la propria vita a cominciare da Mary, la madre che per seguire il marito nelle sue tournée ha avuto infiniti crolli nervosi e diverse sofferenze fisiche fino a diventare dipendente dalle droghe grazie a un medico compiacente.
La famosa notte del titolo precipita la famiglia nell’orrore della propria disgregazione e infelicità: il padre capisce la sua pochezza ma non riesce a farne a meno; James jr esce dopo una scena madre per inseguire i suoi fantasmi; la madre, che nel frattempo si “è fatta”, appare con l’abito da sposa, eccessiva all’ennesima potenza.
La mattina dopo con il suo carico di nebbia è un’altra dichiarazione della forza della vita. E la forza della vita è il teatro che Cirillo ci mostra: è la macchina a mano che produce la nebbia, sono gli specchi con le abbacinanti lampadine tipiche delle toilettes degli attori.
Le Interpretazioni e i Personaggi
Il suo padre James che sta quasi sempre in scena è odioso quanto basta ma non c’è nulla di tragico in questo. Milvia Marigliano è, al contrario, di una tragicità quotidiana: la sua Mary è rassegnata ma non ribelle, in fin dei conti accetta la vita che fa. Il James jr di Rosario Lisma, al contrario, ruggisce la sua disperazione e fra tutti forse è il più infelice ed Edmund (Riccardo Buffonini) è forse l’unico a conoscere quel coraggio della disperazione che è uno dei caratteri fondamentali di gran parte dei personaggi di O’Neill.
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La casa non è una zattera, la famiglia è sfatta.
Confronti e Parallelismi
Pochi libri hanno avuto lo stesso impatto e il medesimo peso di Voyage au bout de la nuit (in italiano Viaggio al termine della notte) di Louis-Ferdinand Céline, pseudonimo del medico Louis Destouches. Partiamo dalla trama. Il protagonista è un giovane e svogliato studente di medicina parigino, Ferdinand Bardamu - un alter-ego dello stesso Céline, che, dopo un discorso fortemente antipatriottico con un amico, improvvisamente (e inspiegabilmente) decide di arruolarsi nell’esercito francese e di partecipare alla Prima Guerra Mondiale.
Questo schema si riproporrà più volte nel romanzo: Ferdinand agisce impulsivamente e finisce per compiere degli errori, ritrovandosi spesso ad affrontare situazioni più grandi di lui, che forse neppure desiderava e dalle quali proverà in tutti i modi a fuggire. Percepisce il mondo e gli altri, finanche se stesso, come suoi nemici, come tasselli di una vita che spesso sfocia nell’assurdità più totale.
Tutte le avventure di Bardamu si risolvono in delusioni: la guerra si rivela un’inutile mattanza di poveracci mandati a morire per niente; l’Africa coloniale è un mondo depredato e corroso, difficile e ostile, che quasi gli costa la vita; il viaggio negli Stati Uniti si conclude in un nulla di fatto: New York gli riesce quasi incomprensibile, Detroit e il suo lavoro in fabbrica lo stordiscono - e qui la descrizione dell’industria e del ciclo di produzione sembra quasi anticipare Tempi Moderni di Chaplin.
E poi c’è il ritorno in Europa: prima la permanenza nel quartiere popolare di Rancy come medico, quindi il lavoro come maschera al Tarambout (un cine-teatro) e infine l’impiego presso il manicomio di Vigny-sur-Seine.
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Ma deludere e a corrompere sono anche e soprattutto le persone, specialmente le donne che egli incontra e con cui crede di poter avere delle relazioni: l’americana Lola, la sfuggente Musyne, l’ipocrita Madelon; o pure altri personaggi, non legati ad una sfera sentimentale: ad esempio la coniuge Henrouille, che con la connivenza del marito tenta in ogni modo di sbarazzarsi della suocera, trascinando lo stesso Bardamu in un vortice di miserevoli macchinazioni.
Se esiste il Male, cioè l’egoismo, vi è però anche il Bene, ovvero l’altruismo: le figure di Alcide, sottufficiale coloniale che invia del denaro in Francia a una nipote che non ha mai visto, di Molly, prostituta dal cuore dolce e nobile, e del piccolo Bébert, sfortunato bambino di periferia, sono davvero riuscitissime, e squarciano - almeno per pochi, intensi momenti - il velo di tenebra e menzogna dell’umano vivere, offrendo un raggio di luce alla perenne notte céliniana.
Difficilmente inquadrabile è infine Robinson (o Léon), una sorta di doppio del protagonista, che va e viene meravigliosamente per tutti i luoghi toccati da Bardamu: in guerra, in Africa, in America, in Francia; buono, incattivito, profittatore, falso, sincero, svogliato?
Ebbene, il linguaggio di Céline è fortemente vicino all’argot, ovvero al gergo dialettale e popolare - certo rimodellato e modificato, eppure possiede anche guizzi decisamente più classici: ci troviamo così di fronte ad una forma sempre altalenante, che procede secondo parabole irregolari - o per improvvisi e ripidi capovolgimenti - dall’alto verso il basso e viceversa, da momenti diversamente lirici a caustiche invettive, da sinceri slanci di meraviglia a impietose e ironiche descrizioni di luoghi e persone, senza fare sconto dei termini più diretti o anche volgari, che non sono mai gratuiti ma sempre finalizzati ad un’esigenza espressiva, a tratti espressionistica.
La traduzione italiana restituisce appieno questa viscosità linguistica, che è anche continua tensione e ricerca, e dopotutto il filo conduttore dell’intero romanzo è proprio l’inquietudine, una presenza costante e destabilizzante che - vediamo - si rispecchia nello stile narrativo.
Ma dunque che cos’è questo libro? Un lungo monologo interiore, un ironico diario di viaggio, un romanzo diversamente picaresco? Il viaggio di Bardamu non è diretto solo verso la fine ma anche verso il fondo della notte, cioè dell’esistenza: chi siamo? Cosa c’è oltre l’orizzonte? Céline ha scandagliato la sua contemporaneità, ne ha messo in luce vizi e virtù, esplorando la miseria degli strati sociali più bassi e l’ipocrisia della borghesia, e rimanendone sempre invischiato.
La sua è una narrazione priva di moralismi: attraverso la deformazione di una satira a dir poco pungente a palesarsi è sempre la realtà, nuda e cruda, in tutta la sua povertà, in tutta la sua ricchezza. Bardamu-Céline vede, sente e infine giudica, ma sa di non possedere alcuna verità assoluta; di fronte alle avversità non lotta, preferendo fuggire; è perfettamente conscio di essere anche un codardo e un debole, ma non se ne vergogna.