Venezia: Crisi del Turismo, Cause e Soluzioni
Il turismo di massa in Italia sta causando numerosi problemi, tra cui l’aumento delle emissioni, la distruzione dei rapporti tra residenti e città, la crisi abitativa e danni agli altri settori produttivi con conseguente perdita di competitività.
Grandi Destinazioni Italiane per un Turismo Sostenibile è il nuovo programma del Ministero del Turismo, che ha coinvolto le cinque maggiori città d'arte italiane nella realizzazione di programmi in risposta al turismo di massa. Per l'iniziativa, sono stati stanziati 6 milioni di euro, suddivisi equamente per la rosa di destinazioni. Questa cifra servirà ad alleggerire la pressione nei centri storici al fine di favorire itinerari alternativi. Il progetto ha anche definito tre indirizzi strategici: governance, digitalizzazione e competitività. Sulla base di questa visione le città hanno reagito così.
Il Caso di Venezia
Dopo l'introduzione ufficiale del ticket - ovvero l'ingresso a pagamento in laguna - la città costruirà il progetto #EnjoyRespectVenezia. Sulle tracce di un programma sensibile al tema della fragilità urbana, la programmazione vorrà educare i suoi turisti ad abbracciare atteggiamenti e comportamenti nel rispetto dello spazio pubblico. Il lavoro più grande verrà fatto nell'ambito della comunicazione, realizzando strumenti capaci di trasmettere un pensiero che possa salvaguardare il delicato equilibrio cittadino.
Cause dell'Overtourism a Venezia
Ed è proprio al terzo dei pericoli elencati da Settis che Venezia va incontro nella sua guerra senza tempo contro il turismo di massa. Come possiamo essere turisti consapevoli? Probabilmente, approfondendo le cause dell’overtourism a Venezia e i danni che questo ha portato alla città. Se conveniamo sul fatto che una città è costituita dai suoi abitanti, oltre che da edifici, la vera Venezia non c’è quasi più. Basta fare un semplice confronto tra numero di abitanti e numero di turisti (73,8 turisti per abitante) o ancora meglio considerando le dinamiche di squilibrio che sottraggono abitazioni residenziali in favore del settore turistico.
Per rispondere alla domanda “Un turismo sostenibile a Venezia è possibile” dobbiamo avere chiaro cosa sia. Cosa significa e come si è arrivati a questa situazione? Secondo Clara Zanardi, in La bonifica umana. Venezia dall’esodo al turismo, l’allontanamento della popolazione cittadina dai quartieri centrali verso la periferia e la terraferma, è stato prima di tutto una volontà politica, per risanare ed epurare Venezia dal ceto popolare. Liberate le aree centrali, queste potevano più facilmente essere restaurate e valorizzate a fini di rappresentanza, fruizione alberghiera e musealizzazione.
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Perché i Veneziani emigrano, dai primi anni Trenta fino al Duemila? In una prima fase, come conseguenza ad una situazione di estremo degrado e insalubrità degli edifici veneziani e nessuna volontà politica di aiuto nell’emergenza. Non si aiutavano le classi più povere con il restauro di edifici popolari, e nemmeno gran parte della classe media, che viveva in affitto. Arrivati agli anni Novanta-Duemila, grazie all’introduzione dei voli low cost e alla crocieristica, l’economia turistica diventa il principale motore di sviluppo dell’area veneziana, bilanciando la decadenza dell’attiguo polo industriale e spostando definitivamente il sistema economico veneziano da plurisettoriale (industria, artigianato, settore terziario) a mono-filiera turistica. Fu reintrodotto il Carnevale nel 1980 (dopo due secoli di assenza), che negli anni è diventato un business enorme, con la programmazione di manifestazioni spettacolari e il divieto ad ogni forma di manifestazione spontanea.
Da allora fino a tutt’oggi, le locazioni turistiche hanno avuto un incremento esponenziale, facendo saltare definitivamente l’equilibrio tra turisti e popolazione residente, espulsa dall’innalzamento dei prezzi immobiliari. Scrive Sarah Gainsforth in Airbnb città merce. “Airbnb è in parte responsabile di un salto di scala di questi processi. Airbnb si racconta come uno strumento innovativo che consente alle persone comuni di arrotondare e restare nelle loro case, ma non è esattamente così. La vera piaga sono, quindi, gli host con tante proprietà, che in molti casi coincidono con agenzie di gestione e addirittura fondi di investimento.
Soluzioni Proposte
Prima ancora di un governo del turismo, ci vorrebbe quindi un progetto di città, per agevolare la vita degli attuali residenti e incentivare la residenzialità. Il problema di Venezia, infatti, non si risolve soltanto contingentando gli ingressi, ma limitando la fuoriuscita dei residenti. Inventando ad esempio una nuova residenzialità: le persone interessate a vivere e a lavorare a Venezia porterebbero nuova linfa vitale. Immaginiamo spazi di co-working, di co-living, incubatori di imprese culturali e creative, non solo per questi “nuovi” residenti ma anche per chi già ci abita e per chi ci abitava, per consentire di lavorare.
Un sistema di prenotazione per accedere alla città da gennaio 2023 controllerà e gestirà i flussi. La seconda critica è l’impossibilità di fare una visita improvvisata a Venezia, nemmeno se si è da soli, o in piccolissimi gruppi.
9 Suggerimenti per un Turismo Sostenibile a Venezia
- Evita se possibile servizi come Airbnb e prediligi hotel, ostelli e B&B tradizionali con un host presente, a conduzione familiare.
- Scopri la nuova piattaforma di homesharing responsabile Fairbnb.coop, che offre ai viaggiatori e ai residenti l’opportunità di partecipare a un modello di turismo rigenerativo e più responsabile. Si tratta di un progetto nato a Venezia e per Venezia, che propone solo host residenti e con al massimo una sola seconda casa sul mercato turistico.
- Se scegli una locazione turistica, verifica sempre che l’indirizzo del tuo alloggio sia inserito nella piattaforma dove il comune pubblica i dati sull’affittanza turistica.
- Viaggia da solo, in famiglia o in piccoli gruppi, evitando grandi tour in pullman, barconi e crociere.
- Cerca alternative alle attrazioni più popolari.
- Evita i viaggi mordi e fuggi. Se puoi, oltre ad essere consapevole e responsabile, sii anche slow.
- Sii un turista colto.
- Sii un turista culturale, visita musei e partecipa ad attività culturali e creative nella città.
- Ricorda sempre che la città è di chi la abita.
- Visita le botteghe artigiane degli antichi mestieri ancora oggi esistenti a Venezia.
- Cammina a destra, non sostare sui ponti, non condurre cicli neanche a mano.
- I monumenti, gli scalini di chiese, ponti, pozzi, le rive non sono aree pic-nic.
- Venezia è una città d’arte: non è consentito il bivacco o il campeggio, né circolare a torso nudo, tuffarsi e nuotare.
- Rispetta l’ambiente e i beni d’arte: non abbandonare rifiuti, non imbrattare con scritte, disegni o lucchetti, non dar da mangiare ai colombi.
Secondo la piattaforma spagnola Mabrian, che analizza le tendenze turistiche, affrontare l’overtourism richiede di tener conto di vari aspetti. Mabrian Technologies è stata recentemente acquisita dall’italiana The Data Appeal Company, creando un colosso del data travel. Affrontare l’overtourism è essenziale, poiché il 61% dei viaggiatori ha evitato destinazioni sovraffollate nell’ultimo anno. I sindaci delle città d’arte si lamentano dell’overtourism, che trasforma il flusso turistico da risorsa a problema.
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The Data Appeal Company ha utilizzato il suo sistema di monitoraggio su 130 fonti online, analizzando 73 mila punti di interesse, di cui 6 mila attrattori culturali. Dal monitoraggio emerge che il 97,7% dei contenuti passa da Google. Con Livello di rischio “Molto Alto” guidano la classifica Rimini, Venezia, Bolzano, Livorno, Trento, Verona e Napoli. Per queste località il sovraffollamento comincia a essere più che preoccupante, con impatti critici sulla qualità della vita locale e sulla sostenibilità delle destinazioni turistiche. Analizzando la concentrazione di turisti per unità di superficie, Venezia registra oltre 14.000 turisti per km quadrato contro gli appena 41 di Enna.
La ricerca “Overtourism: impact and possible policy responses” del Parlamento europeo, una delle più complete sul tema, definisce l’overtourism come il momento in cui il flusso di turisti in una determinata località diventa eccessivo rispetto a certi parametri, causando effetti negativi. Questo fenomeno interessa varie dimensioni e può assumere diverse forme a seconda del luogo in cui si verifica. Si parla di overtourism quando si supera la capacità fisica o ecologica di accoglienza di una località, ma anche quando il turismo di massa rende invivibili, a livello economico e sociale, alcune aree, come le città con economie troppo basate sul turismo.
Una delle principali cause dell’overtourism è la proliferazione di piattaforme per gli affitti brevi come Airbnb. Alcune analisi (Fondazione Feltrinelli, ecc.) hanno evidenziato come in 15 anni questo fenomeno abbia svuotato le città, facendo aumentare i prezzi degli affitti a livelli proibitivi. Per contrastare questa situazione, molte amministrazioni stanno imponendo limiti agli affitti brevi, nonostante le resistenze delle compagnie interessate. Il cosiddetto turismo da selfie rappresenta un altro problema dell’overtourism. Questa visione puramente estetica della vacanza e del viaggio non si traduce in un’esperienza consapevole dei luoghi e delle loro necessità, ma in uno stupido atto di spregio che può danneggiare i luoghi visitati.
Allo stesso tempo, l’overtourism ha reso precario il diritto alla casa in numerose città e territori, sottraendo immobili al mercato residenziale per darli in affitto al circuito di Airbnb. Questo ha reso più difficile lavorare in queste città, abbattendo la competitività in altri settori non legati al turismo.
Chi amministra deve gestire l’afflusso di turisti che spesso sovraccarica i servizi per i residenti e promuove un turismo frenetico “mordi e fuggi”. Strategie come la variazione del costo dei biglietti in base a orari e stagioni, già in atto agli Uffizi, aiutano a destagionalizzare il turismo. Dal 2024 per visitare Venezia si dovranno pagare cinque euro. Di fatto, un biglietto d’ingresso. Per ora si tratta di una sperimentazione che riguarda circa trenta giornate, a cominciare dal prossimo aprile e per i weekend che si prevedono più affollati. Poi si vedrà. Dal punto di vista simbolico, però, sembra una resa alla trasformazione definitiva di Venezia in un museo.
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Anche perché nel frattempo l’esodo dei residenti verso la terraferma non si ferma, e svuota sempre di più la città di esistenza. La scorsa estate nella città storica il numero dei veneziani è sceso sotto la soglia dei cinquantamila. Nel 1951 erano più di 170mila. Un nuovo allarme è scattato poco dopo, quando l’osservatorio civico sulla casa e la residenza (Ocio) e l’associazione Venessia hanno denunciato che a settembre del 2023 il totale dei posti letto destinati ai turisti era superiore al numero dei residenti. E oggi il divario è cresciuto ancora, poiché il numero dei posti letto turistici ha superato quota cinquantamila. Il biglietto d’ingresso dovrebbe servire a scoraggiare il turismo giornaliero e favorire quello basato su chi si ferma a dormire in città. Ma i numeri raccontano una storia diversa: quella di un’agonia causata dal sovraffollamento turistico, a partire proprio da quello basato sui pernottamenti.
Se Venezia si trova in queste condizioni è perché non sembra più capace di immaginare se stessa se non come attrazione turistica. Un museo, appunto. Tanto è vero che, come osserva l’antropologa Clara Zanardi, cofondatrice della casa editrice veneziana wetlands, “da un lato si pensa al biglietto per la città storica e dall’altro sono incentivati gli accessi a quella stessa città, trasformando la terraferma in un terminal e in un dormitorio”. Per farsene un’idea, basta vedere cos’è successo negli ultimi anni a Mestre, grosso centro abitato che si affaccia sulla laguna proprio di fronte a Venezia, con la quale forma un unico comune. Tra il 2013 e il 2017 i posti letto turistici a Mestre e Marghera sono passati da 13.506 a 17.453. E questo nonostante il fatto che dal 2019 si sia verificata una serie di eventi drammatici - dall’acqua alta eccezionale nel 2019 alla pandemia nel 2020, fino alla guerra in Ucraina - che hanno avuto conseguenze sul turismo, facendo segnare un significativo arretramento, poi ampiamente compensato.
La crescita ha contribuito a cambiare radicalmente il volto di una città come Mestre, che da tempo si è messa sempre più al servizio del turismo. Se “una volta era considerata il dormitorio degli operai”, dice lo scrittore Roberto Ferrucci, “ormai è diventata il dormitorio dei turisti che poi, di giorno, affollano Venezia”. Uno dei simboli di questa trasformazione è il grande distretto alberghiero nato nel 2017 su via Ca’ Marcello, a ridosso della stazione di Mestre. Attualmente è formato da quattro alberghi e due ostelli. In laguna la discussione su questa operazione è stata, ed è ancora oggi, piuttosto vivace, non solo perché si tratta di un ulteriore investimento sul turismo, ma anche per il senso che ha avuto per la città.
“Quella era una zona particolarmente degradata che è stata riqualificata e che ora è diventata molto più tranquilla, con una ricettività di qualità”, dice Claudio Scarpa, direttore dell’associazione veneziana albergatori (Ava). Tuttavia, sono in molti a ritenere che la nascita di quel distretto abbia contribuito a una nuova perdita d’identità della città. “Come parte del tessuto cittadino non esiste, perché guarda a Venezia e non dialoga con Mestre”, dice Gianfranco Bettin, scrittore con una lunga storia politica alle spalle, ex deputato dei Verdi, che oggi siede in consiglio comunale. E spiega che invece, poco lontano da lì, dove una volta c’era un vecchio deposito dell’azienda del trasporto locale, c’è un centro commerciale. Ma in virtù di un accordo tra amministrazione e imprenditori, sono stati realizzati anche alcuni servizi per i cittadini, con un lavoro di ricucitura urbana che, in questo caso, ha dato vita a un pezzo di città.
Anche secondo Lidia Fersuoch, consigliera nazionale di Italia nostra e della sezione veneziana dell’associazione, “la zona degli alberghi di Ca’ Marcello danneggia Mestre, ma anche Venezia”. Nel marzo 2023 La Nuova Venezia raccontava di una “città dormitorio della città”, di un progetto di riqualificazione della periferia del quale “resta poco” e di un “turismo low cost che spolpa due città”. Inoltre, “tutto intorno fiorisce il tessuto della Mestre usa e getta”, come le “stanze improvvisate per l’accoglienza dei turisti” negli appartamenti. Naturalmente questo non dipende dall’esistenza del distretto di Ca’ Marcello. Sono semmai entrambe conseguenze di un processo, per così dire, di omologazione con Venezia che sta investendo Mestre, a causa di un’economia sempre più dipendente dal turismo.
“Anche qui”, spiega Bettin, “sta succedendo ciò che è già accaduto a Venezia. Il sistema degli affitti brevi, per esempio, si è molto diffuso anche sulla terraferma”. Il fatto è, aggiunge Scarpa, che da almeno trent’anni “tutti i sindaci hanno lasciato il turismo libero di svilupparsi quasi senza regole. È mancato del tutto un intervento strategico”. E anche il biglietto d’ingresso, prosegue, “se è certamente un esperimento che ci vede favorevoli, l’avremmo visto però come la fine di un percorso di gestione dei flussi, non come l’inizio”. Così, in questo vuoto, “Mestre ha cominciato a ricavarsi un suo ruolo, ospitando il turismo dei gruppi e quello legato ai congressi, mentre a Venezia è rimasto quello individuale”. Inoltre, dice ancora Scarpa, al territorio “non è stata offerta alcuna alternativa all’industria turistica. E lo dico anche a chi critica l’eccesso di turismo”.
Questa espansione, spiega ancora il direttore di Ava, “è stata favorita anche dallo spopolamento di Mestre, che è sempre più percepita come una periferia”. D’altra parte, la recente turistificazione ha a sua volta rafforzato la tendenza allo spopolamento, come in un circolo vizioso. Il rischio, spiega Bettin, “è proprio che i mestrini non trovino più il senso di restare, anche solo per la diminuzione sempre più evidente dei servizi”. Del resto, dice ancora Scarpa, “Mestre è male amministrata da molti anni. E un po’ tutti i sindaci sono sembrati distratti dal grande palcoscenico veneziano”. Sembra quasi la storia del ritratto di Dorian Gray, il quadro che invecchia al posto del protagonista del romanzo di Oscar Wilde: negli ultimi anni Venezia si è mantenuta artificiosamente brillante, mentre i segni dei suoi peccati sono sempre più evidenti su Mestre. Ma non c’è riscatto nella realtà: Mestre sta facendo la stessa fine di Venezia, travolta da una crisi che l’ha decisamente trasformata, in peggio.
La zona di via Piave, una volta classica strada-salotto, “ha smarrito la speranza”, raccontano le cronache locali. Mestre “in questi anni ha avuto un’involuzione sociale”, racconta Ferrucci. “Ha il maggior tasso di morti per droga in Italia. Lo spaccio avviene vicino a via Piave e corso del Popolo, le due strade principali. Quando Gianfranco Bettin era prosindaco, Mestre era diventata un esempio in Europa per la riduzione del danno, mentre la giunta attuale punta unicamente sulla repressione”. La responsabilità, sostiene Scarpa, “è di chi non riesce a gestire il problema, o lo gestisce pensando solo alla repressione, e non anche a politiche d’inclusione”. In molti si lamentano per le città sovraffollate.
Tra le cause della crisi d’identità in cui Mestre sembra dibattersi c’è anche il particolare rapporto politico-amministrativo con Venezia. I due centri formano un comune unico da quando, spiega Jane Da Mosto, cofondatrice e direttrice del collettivo di ricerca e piattaforma di attivismo We are here Venice, “Mussolini decise di riarticolare il territorio dando un’unica amministrazione a laguna e terraferma. Da allora però non c’è mai stato un momento di riconciliazione tra le grandi diversità di questi territori”. “Noi”, spiega Da Mosto, “abbiamo cercato un momento di simbiosi tra questi due mondi riconsiderando tutto il periodo del comune unico, e pensavamo di trovarlo soprattutto tra il 2017 e il 2019, quando ci siamo impegnati nel referendum per una nuova divisione tra laguna e terraferma. Ma non abbiamo trovato nulla”.
Secondo Lidia Fersuoch, Mestre “fatica a ritrovare la sua identità anche perché ha sbagliato a non separarsi da Venezia con i referendum celebrati a cavallo tra gli anni settanta e i primi anni del nuovo secolo”. L’indipendenza, continua la consigliera di Italia nostra, “sarebbe stata un vantaggio. Invece ora Venezia e Mestre sono la periferia l’una dell’altra. Con tutti i problemi che ne derivano, come appunto quello dell’esodo dei residenti”. Sarà interessante capire se le dinamiche nate negli ultimi anni sposteranno in futuro l’equilibrio del potere, considerato il fatto che da tempo, dice Ferrucci, “Mestre è il vero polmone elettorale della città”, avendo molti più residenti di Venezia. E questo significa che “è la terraferma a decidere il sindaco”. Anche se, aggiunge Bettin, “non è del tutto vero che il peso demografico della terraferma oggi si traduca sempre in effettivo peso politico: l’importanza delle questioni veneziane sul comune infatti è enorme”.
Comunque sia, almeno per quello che riguarda il turismo i due centri sembrano marciare uniti. E non potrebbe essere altrimenti. “Salvaguardare la Venezia turistica”, fa notare Clara Zanardi, “è un interesse della terraferma. Venezia ormai è come una fabbrica”. E, aggiunge Da Mosto, “in questa condizione le decisioni su Venezia non sono prese per Venezia come città viva, ma come generatore economico”. Ecco insomma che Venezia sembra quasi di poterla immaginare anche come un gigantesco bancomat. Quello del turismo, però, non è un destino inevitabile.
Spinta da una pulsione allo sviluppo continuo, la città oggi si fonda economicamente e culturalmente sul turismo. E questa monocultura economica è difesa come se non ci fossero alternative, quasi come un dogma religioso. Quella del turismo “non è però un’evoluzione naturale”, spiega Zanardi, “ma il frutto di scelte politiche che hanno avuto come elemento comune l’incentivo all’esodo della popolazione, per liberare la città a vantaggio delle classi dirigenti e dei grandi investitori. Intanto parti della città si svuotavano e potevano essere risanate e poi riconvertite in attività redditizie”.
All’origine della Venezia che conosciamo oggi c’è insomma, dice ancora Zanardi, “la bonifica umana della città” decisa dalle classi dirigenti veneziane nel novecento. E non si tratta di un’esagerazione: “È anzi un’espressione che all’epoca era utilizzata sui giornali”, spiega Zanardi, che l’ha ripresa come titolo di un suo libro interessante La bonifica umana. Venezia dall’esodo al turismo (Unicopli 2020). “Si tratta di compiere la bonifica umana”, proclamava nel 1935 Vittorio Cini, imprenditore e personaggio centrale nella storia della Venezia moderna, invitando a trasferire “nel quartiere del lavoro” la popolazione veneziana. È stato un processo avvenuto in più fasi, a partire dall’inizio del secolo scorso, e in particolare da quando fu edificata la prima area industriale di Porto Marghera.
Fu un’operazione che sconvolse una città che fino a quel momento aveva riunito in sé tutte le funzioni, l’abitare e il lavoro, e che contava ancora su una composizione sociale interclassista. Con la nascita della grande area industriale sul bordo della laguna, si cominciano invece a separare le funzioni e a disarticolare la composizione sociale: sulla terraferma la città industriale e gli operai, nella città storica le classi dirigenti. “Si trattò”, spiega Bettin, “anche di un tentativo di rilegittimare Venezia e di lanciarla nella modernità, dopo aver fatto della propria decadenza un affare per tutto l’ottocento”. Ecco allora l’invenzione della Biennale, del Lido, di Porto Marghera. “Non più solo la città di Tiepolo e Tiziano, ma anche del cinema e dell’industria della chimica”. Era insomma anche un’operazione culturale ma, dice Bettin, “fu una violenza inaudita”.
Il momento più duro dell’esodo verso la terraferma ci fu nel dopoguerra, a partire dagli anni cinquanta, gli stessi in cui fu realizzata la seconda, gigantesca area industriale di Porto Marghera. Allora molti veneziani vivevano ancora in alloggi in condizioni inaccettabili. La soluzione che diede la politica a questa emergenza non fu quella del risanamento della città storica ma di nuovo quella dell’incentivo all’esodo verso i nuovi quartieri costruiti sulla terraferma. E, questa volta, insieme ai più poveri, ad andarsene fu anche buona parte della classe media. In poco meno di vent’anni quasi novantamila veneziani dovettero abbandonare la città per trasferirsi a Mestre.
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