Via del Consolato: Storia e Origini dell'Istituzione Consolare Romana
La tradizione romana racconta che, cacciati i re, i loro poteri passarono nelle mani di due sommi magistrati eletti annualmente, di guisa che la loro potestà non fu che una continuazione di quella regia, con le limitazioni essenziali della temporaneità e della collegialità. La designazione che in età storica prevalse per questi magistrati fu quella di consules, la quale parola deriva certamente dalla radice stessa del verbo consulere, col significato che esso verbo ha nel latino classico di "provvedere" o di "consultare".
Ma, oltre a consules, si adoprarono anche i termini praetores e iudices, e anzi secondo testimonianze il titolo di consules non sarebbe stato usato prima del 450 a. C. e sarebbe stato preceduto da quello di praetores (Livio, III, 55, 12; Zonar., VII, 19). Alcuni moderni ammettono questa successione di titoli, e ne vedono una prova nella traduzione greca di consul, στρατηγὸς ὕπατος (la quale traduzione deve risalire al momento nel quale si fecero più intimi i rapporti tra Roma e il mondo greco, cioè alla seconda metà del sec. IV a. C.), e nel fatto che praetor è il titolo del sommo magistrato nelle iscrizioni delle colonie latine.
Le due teorie più autorevoli che da studiosi moderni sono state proposte circa l'antico e delicato problema dell'origine dell'istituto consolare, sono quella di G. De Sanctis e quella di G. Beloch. Secondo il primo, il sorgere del consolato, come quello dell'arcontato in Atene, sarebbe stata una delle cause occasionali, anziché l'effetto, del tramonto della monarchia, che poi egli considera come dovuto a lento processo di evoluzione anziché a violenza di rivoluzione.
I consoli sarebbero stati in origine comandanti militari subordinati al re, i quali a poco a poco si sarebbero sciolti dalla loro subordinazione, sino a diventare capi dello stato, mentre il rex ad una ad una andava perdendo le sue prerogative e le sue funzioni sino a sopravvivere, per cosi dire, a sé stesso nella larva del rex sacrificulus. E anzi, i consoli in origine altro non sarebbero stati che i capi dei contingenti militari delle tre tribù dei Tities, dei Ramnes e dei Luceres, sarebbero stati cioè tre e non due.
La teoria del Beloch è la seguente: alla monarchia elettiva a vita sarebbe succeduta la dittatura, che egli considera come una vera e propria carica monarchica annuale, con un processo che riscontra in altre città del Lazio e dell'Etruria; e il nome dei dittatori sarebbe stato registrato nei fasti, da solo, in quelle parti più antiche della lista per le quali, secondo il Beloch, si può dimostrare una successiva interpolazione di nomi plebei; di questa interpolazione si scoprirebbe così la ragione nel desiderio di far figurare delle coppie anche là dove le registrazioni autentiche non davano che un sol nome.
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Il passaggio al consolato sarebbe poi avvenuto mercé l'equiparazione del magister equitum al dictator e si sarebbe verificato già prima del 444 a. C., per il quale anno l'esistenza dei consoli iarebbe testimoniata dal foedus Ardealinum e dai libri lintei (Licin. Onde è che dobbiamo forse rinunciare a veder chiaro in tutto nell'origine e nel primo sviluppo dell'istituto consolare e, una volta ammessa l'autenticità dei fasti, è forse meglio appagarsi a considerarne come originaria la dualità e porne l'inizio sul finire del sec. VI a. C.).
Ammissione dei Plebei al Consolato
Il consolato dapprima fu accessibile soltanto ai patrizî, e la plebe dovette lungamente lottare per esservi ammessa. Mentre, secondo Livio (VI, 35, 37, 40, 42; VII, 1; X, 8; cfr. i Fasti Capitolini, a. 366 a. C.: [consules e pl]ebe primum creari coepti), fu soltanto una delle leggi Licinie Sestie cluella che troncò, nel 367 a. C., la lotta con lo stabilire che uno dei due consoli dovesse essere plebeo, secondo Diodoro (XII, 25, 2) già nel 449 a. C., dopo la caduta dei decemviri, sarebbe intervenuto tra patrizî e plebei un patto solenne nel quale si sarebbe concordato che si eleggessero annualmente i dieci tribuni della plebe quali custodi della libertà cittadina, e che dei due consoli uno dovesse essere plebeo e anzi potessero essere tali ambedue.
Infatti tutte le fonti si trovano poi sostanzialmente d'accordo nel parlare della prosecuzione delle lotte per la conquista del consolato da parte dei plebei, e nell'affermare che qualche anno dopo il decemvirato, cioè nel 444, al posto dei consoli furono messi dei tribuni militum consulari potestate, che potevano essere indifferentemente patrizî o plebei, di guisa che negli anni successivi le competizioni si sarebbero svolte su questo punto, se si dovessero nominare i consoli o i detti tribuni, e i collegi degli uni e degli altri dapprima si sarebbero alternati con molta incostanza e poi avrebbero prevalso esclusivamente i tribuni: infatti nei fasti, nei 55 anni che vanno dal 444 al 390 a. C., si hanno 29 consolati e 26 tribunati, mentre dal 390 in poi non si hanno che tribunati.
Dopo la catastrofe gallica, le lotte politiche s'inasprirono: la tradizione parla di tentativi infelici d'instaurare la tirannide, di contese per il ripristinamento del consolato, di periodi di anarchia, ma siamo ancora in un periodo per il quale è impossibile ristabilire il reale processo storico. Tuttavia è certo che nel 366 fu ripristinato il consolato e riconosciuto definitivamente il principio dell'ammissibilità dei plebei, sicché si è spinti ad ammettere l'autenticità sostanziale della relativa rogazione Licinia Sestia, e alla critica, insieme con molti altri problemi, s'impone il compito di stabilire la vera natura dei tribuni militum e la relativa composizione numerica del collegio, che nelle nostre fonti offre tante varianti, essendo ora di tre membri, ora di quattro, ora di sei, talora anche di otto o nove.
Comunque, è indiscutibile il fatto che nella seconda metà del sec. V a. C. e nel principio del IV prima si alternarono coi consoli, e poi per parecchi anni li surrogarono completamente, altri magistrati. La quale esigenza fu poi appagata completamente nel 367 a. C., quando si stabilì che l'uno dei due consoli dovesse esser plebeo. Ma questa disposizione fu più volte elusa negli anni successivi dai patrizî, che, secondo la tradizione, tentarono anche impugnarne la costituzionalità.
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Però nel 342 a. C. un nuovo plebiscito consentì che entrambi i posti del consolato potessero essere occupati dai plebei, e da allora in poi uno almeno di essi non fu più contestato dai patrizî. Invece l'elezione contemporanea di due plebei si verificò per la prima volta soltanto nel 215 a. C., ma fu impugnata per opposizione degli auguri, sicche uno degli eletti si dimise, e soltanto nel 172 a. C.
Collegialità del Consolato
La collegialità propria del consolato come di tutte le altre magistrature repubblicane importava nei colleghi un eguale potere e quindi il diritto per ciascuno di essi di compiere lo stesso atto di governo, indipendentemente dall'altro; ma poiché molti degli atti di governo non potevano emanare che da uno solo di essi, per evitare conflitti si ricorse al turno o alla sorte.
Il turno, oltre che in campo, si applicò in origine per la giurisdizione (prima dell'istituzione o, comunque, della differenziazione della pretura), per la convocazione del Senato e forse anche per altri atti, ma col tempo cadde quasi completamente in disuso, e fu richiamato in vigore da Cesare nel suo consolato. Durante il turno, che era generalmente di un mese e cominciava col console più anziano, soltanto il console prescelto aveva diritto ai dodici littori coi relativi fasci, e forse da ciò con Augusto risorse l'uso che i due consoli ogni mese si alternassero i fasci.
La sorte era preferita oltre che negli atti di carattere religioso, per la presidenza dei comizî ai quali spettava l'elezione dei consoli e per l'eventuale nomina del dittatore; ma essa sorte non escludeva, in genere, l'accordo tra i colleghi (comparatio) per il deferimento pieno dell'atto a uno solo di essi. In quasi tutti gli altri rami dell'amministrazione, come p. es. Per raggiungere lo scopo principale della collegialità, che era quello di limitare, nell'interesse dello stato e dei privati, il prepotere delle magistrature, i consoli potevano esercitare il diritto di veto, impedire cioè un determinato atto amministrativo nei confronti dei magistrati rivestiti di minor potestas rispetto a loro, compresi il pretore e il proconsole, ma, a lor volta, eran soggetti all'eventuale veto da parte dei magistrati forniti rispetto a loro di maior potestas, quali il dittatore e i tribuni della plebe.
Il veto non poteva invece aver luogo tra console e console, essendo essi forniti di par potestas, ma poteva invece esperirsi la reciproca intercessio propriamente detta, che consisteva nella cassazione di un atto già compiuto. Questa peraltro era ammessa soltanto nella sfera dell'imperium domi e non in quella dell'imperium militiae, e poteva aver luogo per effetto di appello, che un cittadino faceva al console contro un decreto giurisdizionale emanato dall'altro console o da magistrato minore, o contro una proposta avanzata al Senato o ai comizî dall'altro console relativamente a elezioni o leggi o giurisdizione penale.
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Minimo di Età per il Consolato
Dapprima non vi furono determinazioni legislative del minimo di età né per le altre magistrature, né per il consolato, ma quando la lex Villia del 180 a. C. stabilì che non si potesse occupare una magistratura senza essere stati dieci anni nel servizio militare, e che tra una magistratura e l'altra vi dovesse essere l'intervallo minimo di due anni, da queste prescrizioni emerse indirettamente quel minimo di età.
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