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Viaggi e Viaggiatori: Una Prospettiva Storica

Dopo la vertiginosa dilatazione dello spazio controllato dagli Europei nel corso del Cinquecento, nel Seicento sembra verificarsi se non proprio una battuta d’arresto, quanto meno un rallentamento. Non vi sono conquiste di grande rilievo, ma l’attività di esplorazione tuttavia non si arresta e la conoscenza che l’Europa ha del resto del mondo si amplia e si perfeziona.

È proprio all’alba del Seicento che viene scoperto l’ultimo continente abitato ancora ignoto, l’Australia, novissima terra. Dopo la straordinaria espansione cinquecentesca, l’attività di scoperta e di esplorazione degli Europei subisce un rallentamento, ma non si arresta.

I Protagonisti Cambiano

Nel Quattro e Cinquecento Portoghesi e Spagnoli erano stati la punta di lancia dell’esplorazione di nuovi e vecchi mondi. Nel Seicento il primato passa ai navigatori e agli esploratori dei paesi nordici e atlantici, che anche sotto questo aspetto rivelano il loro nuovo dinamismo.

Ma se cambiano i protagonisti, non cambiano in fondo le motivazioni, che restano quelle dei secoli precedenti, anche se la gamma di prodotti più o meno preziosi di cui si va in cerca si amplia un po’. Oltre all’oro e alle spezie, subentrano le pellicce, l’avorio, i legni pregiati, i coloranti. E poi vi sono naturalmente le motivazioni religiose, la volontà di diffondere il cristianesimo, nelle sue varie e concorrenti declinazioni. Esploratori e missionari sono la punta avanzata dell’espansione europea, ma alle loro spalle sopraggiungono sempre più numerosi i mercanti o anche i semplici viaggiatori. Uomini ai quali non si debbono scoperte decisive o studi eruditi ma che spesso lasciano resoconti di grande interesse che diffondono in Europa informazioni su popoli e costumi remoti.

La Ricerca del Passaggio a Nord-Ovest

La ricerca del cosiddetto “passaggio a nord-ovest”, ovvero un collegamento fra Atlantico e Pacifico che consenta di raggiungere l’Asia orientale passando a nord del continente americano, non è in fondo n'altro che il vecchio progetto di Colombo aggiornato tenendo conto dell’esistenza del Nuovo Mondo americano.

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I Tentativi di Henry Hudson

Nel 1606, l’inglese Henry Hudson, con una piccola imbarcazione di meno di 100 tonnellate di stazza, l’ Hopewell, compie il primo tentativo seguendo verso nord la costa orientale della Groenlandia alla ricerca di un passaggio che non trova. Scopre però le isole Spitzberg e, forse, Jan Mayen.

Due anni dopo, sempre su incarico della Muscovy Company, Hudson si rimette alla ricerca di una rotta artica, ma nella direzione opposta, verso est, passando a nord della Russia. Arrivati alla Nuova Zemlja, gli Inglesi devono constatare che i ghiacci sbarrano il passo anche d’estate e tornano indietro.

Nel 1609 Hudson, questa volta ingaggiato dagli Olandesi e sempre alla ricerca di un passaggio verso il Pacifico, esplora la costa orientale degli odierni Stati Uniti e parte del corso del fiume che prenderà il suo nome, l’Hudson. L’ultimo viaggio, durante il quale, abbandonato dal suo equipaggio, trova la morte, lo porta, nel 1611, fino alla grande baia di cui prende possesso per conto dell’Inghilterra e che porterà in seguito il suo nome.

Inglesi e Olandesi non sono i soli a interessarsi dell’elusivo passaggio a nord-ovest. Nel 1619 il norvegese Jens Munk, su incarico della corona danese, si avventura nelle stesse acque, anch’egli senza successo.

Per quanto riguarda il loro obiettivo finale, questi viaggi - e vari altri - si dimostrano fallimentari. A causa della presenza dei ghiacci, il passaggio a nord-ovest, in teoria possibile attraverso le isole a nord del Canada, è al di là delle possibilità tecniche delle navi dell’epoca.

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L'Esplorazione del Mississippi e della Louisiana

La Nuova Francia è anche il punto di partenza per l’esplorazione dei bacini dei fiumi Mississippi, Ohio e Missouri. Il protagonista è in questo caso René Cavelier, di origini normanne. Dopo aver approfondito la conoscenza della regione dei Grandi Laghi e aver cercato a sua volta una via per il passaggio a nord-ovest, La Salle intraprende nel 1680 la lunga discesa del corso del Mississippi che, attraverso tutto il continente americano, lo porta fino al Golfo del Messico.

La Salle prende possesso di questi immensi spazi in nome della Francia, ribattezzandoli Louisiana in onore di Luigi XIV, il quale peraltro non mostra eccessivo interesse per la nuova acquisizione.

Le Esplorazioni Spagnole

Un contributo non trascurabile all’esplorazione delle grandi pianure degli attuali Stati Uniti e della regione delle Montagne Rocciose viene anche dagli Spagnoli, a partire dal Messico. Juan de Oñate, governatore del Nuovo Messico, ad esempio, promuove diverse spedizioni sia nelle pianure centrali che nei territori degli attuali Stati della California e del Colorado.

Anche l’alto Vicereame spagnolo, quello meridionale del Perù, è il punto di partenza di nuovi viaggi di esplorazione, diretti però verso il Pacifico. La spedizione di Quiros e Torres ha come obiettivo anche la ricerca di un nuovo continente australe, di cui si sospetta l’esistenza nel Pacifico meridionale. I due esploratori spagnoli sfiorano in effetti quella che sarà poi chiamata Australia, senza tuttavia raggiungerla.

La Scoperta dell'Australia

Il primo a toccare le coste australiane è comunque Willem Janszoon, che, nel 1606, giunge probabilmente nell’attuale Queensland. Janszoon, che compie un altro viaggio nel 1618, non si rende conto della natura e delle dimensioni delle terre nelle quali si è imbattuto.

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Negli stessi anni altri navigatori olandesi, come Dick Hartog e Frederick de Houtman, raggiungono l’Australia occidentale e ne esplorano e cartografano le coste. Nel 1642-44 un altro olandese, Abel Tasman, sempre al servizio della Compagnia delle Indie orientali, esplora un lungo tratto della costa nord-occidentale australiana e aggiunge alle conoscenze europee la Nuova Zelanda e l’isola che prenderà appunto il nome di Tasmania.

Nel frattempo altri due navigatori olandesi, Jacob Le Maire e Willem Schouten, proprio per aggirare il monopolio della Compagnia, cercano una rotta diversa per raggiungere le terre australi. Salpati dall’Olanda nel 1615, facendo rotta verso sud-ovest doppiano il Capo Horn e attraversano il Pacifico meridionale per arrivare poi alle Molucche. Nel corso della lunga navigazione scoprono ed esplorano vari arcipelaghi, tra i quali Tonga.

Al progressivo sviluppo delle conoscenze sull’Australia contribuiscono anche gli Inglesi. Nonostante i numerosi viaggi tuttavia, la Novissima terra australis, nel corso del Seicento è solo sfiorata dagli Europei che non sembrano trovarvi motivi d’interesse.

Viaggi in Asia Centrale e Tibet

Se la via d’accesso principale alla Cina rimane il mare, i viaggi compiuti da Gesuiti di varie nazioni provenienti dall’India attraverso l’Asia centrale e il Tibet contribuiscono notevolmente alla scoperta, o riscoperta di quelle regioni. Importantissimo il contributo del gesuita portoghese Antonio de Andrade. Missionario in India, nel 1624 de Andrade intraprende un’avventurosa attraversata dell’Himalaya che lo porta nel regno del Tibet.

Qui il gesuita stabilisce una prima missione, che ha un certo successo, almeno fino all’invasione del Tibet da parte del sovrano del Ladakh, ostile ai cristiani. Nel frattempo de Andrade redige una descrizione del Tibet che apre all’Europa la conoscenza del buddismo tibetano. L’itinerario attraverso il Tibet è scelto anche dai padri Estevão Cacella e João Cabral. Sono i primi Europei a penetrare in Bhutan e proseguono per il Tibet, dove Cacella muore nel 1627, prima di aver raggiunto la Cina. La sua missione viene proseguita dal confratello che, dopo avere raggiunto Pechino, farà ritorno in India. Altri gesuiti compiono invece il percorso inverso, dalla Cina verso l’India.

I padri gesuiti furono particolarmente attivi anche nella Nuova Francia e in Louisiana, dove il loro approccio al problema dell’evangelizzazione ricorda per molti aspetti quello rispettoso delle culture locali adottato in Asia, più che quello intransigente seguito nell’America spagnola.

Altri Viaggiatori e le Loro Esperienze

La conoscenza che gli Europei del Seicento hanno di altre terre, altri popoli e altre civiltà non progredisce solo per merito di quelli che potremmo chiamare i professionisti dell’incontro con l’altro, esploratori e missionari. In certi casi si tratta di mercanti, come il francese Jean-Baptiste Tavernier, che racconta i suoi Sei viaggi in Turchia e in Persia (1679), o come l’italiano Francesco Carletti che in una lettera a Ferdinando de’ Medici espone i suoi Ragionamenti sopra le cose vedute ne’ viaggi dell’Indie occidentali e d’altri paesi ; altri sono turisti come Jean Thévenot che negli anni ’50 del secolo compie un Grand Tour nel vicino Oriente ottomano.

Se lo sguardo di questi viaggiatori è ancora fortemente etnocentrico, ciò non impedisce loro una notevole precisione etnografica nella descrizione degli aspetti più significativi delle società extraeuropee (come il sistema delle caste in India). A un altro livello, l’esperienza della diversità culturale non manca di influenzare profondamente la cultura europea, impegnata nel Seicento in un profondo rinnovamento del sapere etico e politico.

Viaggiare Oggi

C’è chi gira il mondo per studiarlo, chi per raccontarlo e chi, semplicemente, per divertirsi. Da Ulisse a Samantha Cristoforetti, gli uomini e le donne hanno sempre viaggiato e hanno sempre desiderato viaggiare. «In realtà anche Ulisse cercava tutte le scuse per continuare a viaggiare», ci corregge Duccio Canestrini, un antropologo, cioè uno studioso di abitudini e comportamenti dell’uomo, che da molti anni si occupa principalmente di viaggi. Duccio, però, è d’accordo: i viaggiatori non sono tutti uguali!

C’è chi è in giro per affari e chi va in vacanza, chi sta con la famiglia e chi va con gli amici, chi fa le foto e chi no. Per esempio, saresti capace, a 17 anni, di lasciare casa tua e andare all’avventura verso la Cina, come fece Marco Polo nel 1271, quando partì con il padre e lo zio? Nel momento in cui si mise in cammino, Marco non aveva nemmeno 18 anni e, se fosse vissuto oggi, sarebbe andato probabilmente ancora a scuola. Per arrivare a Cambaluc, quella che oggi chiamiamo Pechino, gli ci vollero 30 mesi, due anni e mezzo. La famiglia Polo in Cina ci andava per commerciare e diventare ricca. Ma di sicuro anche per il gusto dell’avventura e dell’esplorazione. Bisogna essere parecchio avventurosi per fare una cosa del genere.

Non sempre i grandi viaggiatori sono persone avventurose. Magari sono solo un po’ secchioni e appassionati della natura. Da giovane non sapeva bene che cosa fare. Chiese di imbarcarsi su un veliero che avrebbe fatto il giro del mondo. Il padre era contrario ma Charles salpò lo stesso. E fu proprio grazie a quel giro del mondo, durato quasi 5 anni, che capì che le specie viventi possono cambiare, anche pochissimo, per adattarsi all’ambiente in cui vivono. A noi oggi sembra una cosa normale pensarlo, ma quando Darwin lo scrisse a molte persone si rizzarono i capelli sulla testa! La cosa più divertente, in ogni caso, è che, quando rimise piede in Inghilterra, si sistemò in campagna e quasi non si mosse più!

Qualcun altro, invece, quando comincia a viaggiare non riesce più a smettere. Come Steve McCurry, che partì per la prima volta per andare in India a fare fotografie. Dall’India si è spostato in Pakistan, poi in Afghanistan. Un poco alla volta, le sue foto sono finite su tutte le riviste del mondo ed è diventato famoso. È stato anche in Libano e nella ex Jugoslavia, in Iraq e nelle Filippine, dove c’erano guerre o rivolte, ma anche per rivedere i posti in cui è già stato e capire come sono cambiati. Lui dice che va nei luoghi che lo incuriosiscono.

Pensa che ci sono persone che hanno visitato praticamente tutti gli Stati del mondo (196, secondo l’elenco ufficiale). Qualcuno ci è riuscito anche spendendo poco. Una grossa cifra, ma non enorme se ci pensi: ha speso 765 euro per ogni Paese in cui è stato. Ma ce l’ha fatta abbastanza in fretta: 5 anni appena. Duccio chiama questo tipo di viaggiatori “viaggiatori seriali” e probabilmente non gli piace molto questo modo di girare il mondo.

I modi e le ragioni per viaggiare, del resto, possono essere anche molti di più. «Secondo il papà della psicoanalisi, Freud, si viaggia anche per scappare dalla mamma. Comunque, ricordati che l’uomo ha sempre viaggiato. Da quando è comparso in Africa più o meno 200 mila anni fa, l’Homo sapiens ha cominciato a spostarsi e non ha mai smesso.

Nell’epoca della globalizzazione il viaggio può essere uno strumento per superare le barriere culturali, i muri d’idee ed aprirsi alla diversità: il viaggiatore scopre realtà nuove e vive un’esperienza di spaesamento che lo porta a confrontarsi con l’altro e con l’ignoto attraverso uno sguardo diverso. Questo rapporto straniante con l’alterità agisce anche sull’identità: dallo sguardo nuovo sull’altro può derivare anche uno sguardo diverso su noi stessi. Ma viaggiare significa anche, nel caso di migranti e profughi, affrontare l’esperienza dell’incontro e della mescolanza con culture e abitudini diverse o scontrarsi con nuove drammatiche barriere socio-culturali.

Nell’elaborazione artistico-letteraria il tema del viaggio riflette i grandi cambiamenti socio-culturali avvenuti con l’affermazione della modernità.

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