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Viaggiatore sulla coda del tempo: Un'analisi approfondita

Claudio Baglioni ha presentato alla stampa il suo nuovo disco "Viaggiatore sulla coda del tempo", in uscita il 12 novembre. Secondo il cantante è l'atto finale di una ideale trilogia che, con i precedenti "Oltre" e "Io sono qui", ha ambizioni che "La Repubblica" definisce alte «anzi altissime. Il disco è un cosiddetto concept album con un racconto unitario e completo dove metafora, appunti di viaggio, introspezione e memoria si intrecciano senza pudori nel gioco delle melodie.

L'argomento dell'album è la fuga verso la ricerca di sé, e ci sono delle immagini sia sonore che testuali davvero belle. Si incontrano infatti molti suoni elettronici e una ricerca di sonorità che ha stupito. Le melodie sono sempre belle, ma ciò che sorprende sono gli arrangiamenti ed i testi, davvero di qualità molto superiore a quanto mi attendevo e quasi "sperimentali"(considerato l'artista).

Un viaggio alla scoperta di sé

Si parte con "Hangar", dichiarazione di un uomo che progetta di abbandonare l'Hangar simbolico in cui ha vissuto per anni, la volta che tolgo stand by e mi dirò vai anche se non sono più un ragazzo per scappar di casa e andarmene inseguendo e costruendo sogni mai rivelati, con la speranza di dare finalmente motore alle sue aspirazioni e voglia di esplorazione.

Arrivano poi le (secondo me) belle riflessioni sul viaggiare e sul mondo in "Un mondo a forma di te"meglio di no non voltarsi mai quando si va via perché voltarsi è già un po' tornare è già nostalgia ...così si va non perché ci sia qualche cosa poi che è da vedere ma per vedere cosa c'è in noi e poi non vedi mai ciò che pensi che incontrerai ma trovi sempre quello che non hai pensato mai ...

Bellissimo poi il testo di "Si io sarò" che con immagini molto suggestive descrive il percorso interiore del protagonista alla ricerca di se stesso traversai labirinti e portici delle mie visioni mi lasciai in mezzo ai vortici di splendide illusioni io violai le bugie dei codici del bene e del male e puntai a ore dodici di un viaggio verticale ...io varcai con un balzo i limiti di quella pianura e saltai giù senza tremiti senza controfigura poi scalai la montagna all'apice sopra il mondo intero navigai nel grande calice del sonno del mistero e pensai che potremmo essere sogni di qualcuno chissà mai noi tante tessere di un firmamento bruno.

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Il tempo che scorre e la ricerca di significato

I temi sono imponenti, benché Baglioni cerchi di minimizzare, e certe volte il racconto sembra una dissertazione sull' idea del tempo, anzi di più, sul senso della vita immersa nello scorrere del tempo. Come e più del solito Baglioni si lascia catturare da tentazioni filosofiche. Tra Cioran a Parmenide, sembra di essere più che altro a un incontro per discutere il nostro destino di esseri umani.

Come riconoscere in tutto ciò - e a Baglioni va dato atto che non fa nulla per vivere di rendita sul passato - il vecchio cantore adolescenziale? I testi indagano, stuzzicano i dubbi più grandi che un uomo possa porsi, e scivolano in un continuo gioco di allitterazioni, quasi un tono da limerock d'autore: "... dell'universo riverso e emerso mal d'universo", "non smettere di trasmettere", "io sono quel gabbiano in gabbia", "tu sei la stella che vaga e invaghisce... il rimpianto che dura e indurisce".

Un uomo che vuole essere protagonista del suo tempo che intende scandire a suo modo senza interferenze esterne. Scandire i suoi istanti con il ritmo di uno strumento che sostituisca o accompagna le pulsazioni ed i battiti del proprio cuore. O, almeno, scandirne il suo passaggio attimo per attimo affinchè si possa avere la percezione del suo reale scorrere e poter costruire sullo stesso la propria personale stesura.

Con i tre album raccolti sotto l’etichetta de La svolta da autore, Baglioni ha iniziato a sperimentare un linguaggio nuovo, che gli ha consentito di distaccarsi dal profondo realismo e dalla spiccata colloquialità dei primi album, per esplorare nuovi territori. È la nuova tappa di quel filone tematico sulla solitudine (avviato con Solo, 1977, che si concluderà con Viaggiatore sulla coda del tempo, 1999, un viaggio di un viaggiatore solitario), un fil rouge di vaga matrice esistenzialistica, che è il vero motore che ha permesso alla poetica di Baglioni di trasformarsi distaccandosi dall’amore adolscenziale.

Tematiche e stile rinnovato vengono riprese con interessanti novità in La vita è adesso (1985). La differenza rispetto agli anni ‘70 è però macroscopica: Roma non è mai citata, e non ne sono citati ne toponimi ne elementi iconici (come in Questo piccolo grande amore), ma è evocata solo attraverso qualche “parola-spia”, soprattutto presa da Pasolini. Perché? Roma non rappresenta sé stessa (come invece avveniva in QPGA), ma deve poter rappresentare una città qualsiasi, in cui ogni italiano medio del 1985 si possa riconoscere (ecco perché abbondano gli elettrodomestici ed i mezzi di trasporto tanto in voga in quegli anni).

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La ricezione dell'album

Questo album, a quel che mi risulta, non fu particolarmente gradito agli abituali fan di Baglioni, che lo trovarono "difficile" a livello di significati e troppo diverso dal solito in quanto ad arrangiamenti. Un album che consiglio a chi si sente di osare un gesto "politically incorrect" che potrebbe rivelargli sorprese.

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