Viaggiatori Stranieri in Calabria: Storia e Testimonianze
La Calabria è stata anche nel passato meta di viaggiatori stranieri che l’hanno raccontata a modo loro nei propri diari di viaggio, offrendo però quasi sempre una visione nuova della Regione, cogliendo sfumature che forse solo un forestiero avrebbe potuto notare.
I viaggi in Calabria, un tempo, non erano certo frequenti come oggi, quando ormai diverse zone sono regolarmente prese d’assalto dal turismo di massa: nel passato la Calabria rappresentava i confini del mondo civilizzato, un luogo selvaggio ed incontaminato dove ritrovare un contatto con la natura più autentica.
Il Grand Tour e la Calabria: Un'Assenza Significativa
L’espressione “Grand Tour”, come si diceva in principio, è riferita al settecentesco viaggio, ed è stato coniato dall’inglese Lord Granborne nel 1636, e ripreso dall’ecclesiastico Richard Lassels (1603-1668), autore anch’egli di un Voyage of Italy, Parigi 1760.
E il testo più noto di questa impresa rigenerante, un percorso dello spirito alle radici dell’antico, è il Viaggio in Italia di Goethe, che il sommo poeta tedesco compie fra il 1786 e il 1788, ma vagheggiato prima ancora della partenza.
Goethe, infatti, scriverà nel suo diario nel 1786: “Ed ora io vedo vivente tutti i miei sogni di gioventù (mio padre aveva molte vedute di Roma in una sala della nostra casa) […] sta ora nell’insieme davanti a me …”.
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Goethe, dunque, dopo aver attraversato il Brennero nel settembre del 1786, visita Verona, Venezia, Roma, Napoli e la Sicilia fra marzo e maggio del 1787. Itinerario quindi fra il più classico del Grand Tour.
Questo è il Viaggio in Italia di Goethe: ha ignorato del tutto un terzo del nostro Paese. C’è da chiedersi perché.
Stando alle dichiarazioni, invero assai perentorie, di un viaggiatore francese, molto meno noto dello scrittore tedesco, Creuze de Lesser, che ha scritto nel suo Voyage en Italie et en Sicilie, Parigi, 1806: “L’Europe finit à Naples, et mȇme elle y finit assez mal. La Calabre, la Sicilie, tout le rest est de l’ Afrique”. Della stessa idea è Joseph-Antoine de Courbillon, nel suo Voyage critique à l’Etna en 1819, Parigi, 1820.
Uno Sguardo Alternativo: La Calabria Vista da Viaggiatori Illuminati
Eppure il territorio calabro suddiviso in Calabria Citeriore (o Calabro latina) o Calabria Ulteriore (o Calabro greca), come erano suddivise nel secolo XVI in Calabria Citra Flumen Nhetum e Calabria Ultra Flumen Nhetum, province amministrate da un Giustierato, e già in tale epoca, quindi prima del Grand Tour, furono attraversate da viaggiatori stranieri e italiani, come ha narrato lo studioso Rocco Liberti nel suo interessante volume Viaggiatori italiani e stranieri e la Calabria (1525-1827), 2016.
Costoro, ci informa lo studioso, si servivano di “itinerari o guide messi sul mercato da autori e tipografie”.
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Il volume del Liberti è davvero interessante, poiché l’autore passa in rassegna, secolo per secolo, il Cinquecento, il Seicento, il Settecento e l’Ottocento, elencando i protagonisti del Tour, che riportavano nei loro scritti e memorie, non solo la descrizione accurata naturalistica e di costume, ma pure singolari e pressoché ignote notizie sulle ragioni che li spingevano nelle nostre terre del Sud.
Così scrive l’erudito Rocco Liberti: “…quando il viaggiatore si avviava nelle terre del Sud per brama di conoscenza dei resti della classicità o dei costumi delle popolazioni o anche per semplice diporto metteva regolarmente su carta quanto riusciva ad osservare […].
Il tour, cui ognuno si votava per i motivi più vari risultava sempre e comunque un’impresa azzardosa…”.
Il Cinquecento: Curiosità e Scoperte Inaspettate
Un esempio è Leonardo Fioravanti (1517-1588) che si era portato a Tropea, motivato dalla conoscenza di come in quella città si praticava la rinoplastica da due fratelli chirurghi Pietro e Paolo Vianeo, che “facevano il naso a coloro che per qualche accidente l’havevano perduto”, scrive il Fioravanti in pieno Cinquecento. Una notizia davvero sbalorditiva per quel tempo.
Il Seicento: Sfide e Testimonianze
Nel secolo successivo in Calabria, nonostante le difficili condizioni ambientali, come il terremoto del 1638, le epidemie e “le bande di malviventi imperversanti ovunque”, scrive il Liberti, “non sono mancati un buon numero di viaggiatori o studiosi che hanno percorso il territorio calabrese e lasciato chiare orme del loro passaggio”.
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E l’elenco di questi notabili che si spingevano dalla Germania, dalla Svizzera, dall’Inghilterra, nutriti dalla letteratura dei classici, passavano e sostavano in alcune città della Calabria per proseguire verso la Sicilia, Malta, la Terra Santa, e attraverso lettere, diari, taccuini di viaggio, disegni dei luoghi visitati, ci hanno lasciato testimonianze, da quelle più ovvie, come la descrizione di Scilla e Cariddi e il riferimento al terrore dei naviganti dell’antichità, a più singolari notizie o episodi loro occorsi durante le soste nel territorio delle cittadine calabre.
Così apprendiamo per esempio curiosità poco note, quali quelle riportate dall’inglese George Sandays (1578-1644), in viaggio al Sud nel 1610, che nella sua Relation of a jorney…., fermandosi nella baia di Pacì ci informa che in quella parte della Calabria vi era una grande quantità di Tarantula, ovvero un grosso ragno, il cui morso velenoso provoca movimenti e convulsioni da cui ha origine la danza della Taranta, danza che avrebbe anche un effetto terapeutico liberando, attraverso i movimenti frenetici e la sudorazione, del veleno del ragno.
I viaggiatori seicenteschi raramente viaggiavano da soli, potevano unirsi facilmente ad altri sullo stesso itinerario; gli aristocratici si spostavano con un gran seguito di persone, tra accompagnatori e servitù, ma si trovavano spesso ad adattarsi a dormire su della paglia, anche per evitare letti poco igienici ed infestati da insetti; lo stesso dicasi per l’alimentazione: dovevano accettare cibi e bevande ai quali non erano abituati.
Ma a parte le laudative osservazioni comuni a codesti viaggiatori, mossi da interessi prevalentemente scientifici, va ricordata la drammatica esperienza di un grande studioso e scienziato, Atanasio Kircher, nato a Turingia nel 1602 e morto a Roma nel 1680, città nella quale nel 1651 fonda, presso il Collegio Romano, il Museo Kircheriano, raccolta pubblica di antichità e curiosità.
Il gesuita, mentre si trova in Calabria nel 1638, assiste impaurito agli effetti del sisma e delle eruzioni vulcaniche: “Quando siamo giunti tra Lipari e Capo Vaticano, ho osservato con molta attenzione l’aspetto dell’Etna e dello Stromboli…”.
Poi si avvicinano a Tropea per alloggiare presso il collegio del loro ordine, ma ne dovettero subito fuggire per le violente scosse e ritornare sul battello per portarsi al largo e sfuggire al pericolo tellurico.
Andarono verso Pizzo, e si vedevano solo città e villaggi rasi al suolo, stessa situazione a Sant’Eufemia, e non potendo fare altro, il Kircher egli altri compagni di viaggio proseguirono direttamente per Napoli.
Il Settecento: Tra Grand Tour e il Terremoto del 1783
Per tutto il Settecento, come si è detto, il Grand Tour è all’apogeo. Il viaggio istruttivo per i giovanissimi viaggiatori è sempre accompagnato da un precettore; i letterati spesso si accompagnano con artisti e disegnatori, con acquirenti di opere d’arte, ove fosse possibile acquistare reperti dell’antichità, di cui gli inglesi erano particolarmente appassionati: il tutto era ispirato dal concetto che l’origine della civiltà occidentale è avvenuta nella Magna Grecia e pertanto andava visitata.
Ma c’è un’importante differenza, ben evidenziata nel volume del Liberti, che opportunamente distingue le categorie dei viaggiatori settecenteschi, tra quelli che hanno visitato il Sud prima del violentissimo sisma del 1783 che colpì la Calabria e la Sicilia, e con particolare veemenza, Messina e Reggio Calabria.
Lo studioso distingue quindi i viaggiatori settecenteschi “prima del grande flagello” e quelli che invece si recano al Sud per verificare e studiare gli effetti del “grande flagello”; i primi, più numerosi, hanno descritto e illustrato nelle loro testimonianze le condizioni dei luoghi visitati, come l’Abate di Saint-Non (1727-1791), accompagnato dal famoso pittore francese Jean Honoré Fragonard (1732-1806), nel suo Voyage pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile (1781-1786), in cui elogia tra l’altro “l’ospitalità con la più larga franchezza e cordialità. Si può dire, e senza esagerazione, di questi felici e tranquilli abitanti, che, da quando si entra nelle loro case, esse divengono vostre…”.
Tra i viaggiatori post-flagello, uno dei personaggi di maggior rilievo a recarsi ufficialmente in Calabria, per studiare gli effetti del disastroso sisma, fu il generale Francesco Pignatelli (1734-1812), nominato vicario delle Calabrie, che portò conforto alle popolazioni colpite per curare i feriti, bruciare i cadaveri, riaprire le strade occluse, ma anche ordinare ai proprietari dei fondi a sistemare le loro case crollate.
Un altro viaggiatore degno di nota è stato Michele Sarconi (1731-1797), segretario della Commissione dell’Accademia Reale delle Scienze e Belle Arti, che redasse una circostanziata relazione nella sua Istoria de’ fenomeni del tremoto avvenuto nelle Calabrie nell’anno 1783.
Dunque i tour in Calabria hanno avuto molteplici occasioni per visitarla e riprenderanno per interessi naturalistici nell’ultimo scorcio del secolo XVIII, quando le rovine erano ancora vistosamente visibili; si riprendono solo le colture e la pesca del pesce spada e del tonno a Bagnara e le manifatture delle coperte fatte a Tropea e nei dintorni.
Viaggiare verso le Calabrie, così come per andare in Sicilia, da Napoli si partiva via mare e lungo la costa con le “feluche”, imbarcazioni agili con le quali si raggiungeva Paola, Tropea, Palmi.
L'Ottocento: Nuove Prospettive e Sfide
Nel primo decennio dell’Ottocento, durante l’occupazione francese, i viaggiatori che attraversano la Calabria sono quasi tutti ufficiali dell’armata napoleonica che, oltre a combattere contro gli insorti, i briganti e gli inglesi, trovano anche il tempo di fornire testimonianze scritte sulle condizioni degli abitanti del territorio, come nel citato Duret de Tavel nel suo Séjour d’un officier français en Calabre (1810) e Auguste de Rivarol (1784-1825), militare e letterato francese con il suo Notice historique de la Calabre (1817).
Dopo la Restaurazione riprendono i viaggi di letterati e studiosi, come il già sopra citato Stendhal; alla metà del secolo, nel 1852, è ricco di interesse il diario dello svizzero Horace Rilliet (1824-1854), medico chirurgo che visita la Calabria al seguito del viaggio di Ferdinando II nelle provincie del Regno; egli dà alle stampe il suo Colonna mobile in Calabria, Rubettino, 2008 (non incluso nell’antologia del Liberti, che si conclude nel 1827), ricchissimo di notizie, narrate spesso con ...
Sarà il maggiore Rilliet, verso la metà dell’Ottocento, a rendersi conto delle difficoltà per raggiungere l’interno del territorio calabro. L’unica grande arteria era quella che da Napoli arrivava a Reggio di 280 miglia lungo la costa.
Per addentrarsi nell’interno della regione ci voleva coraggio, senso dell’avventura e senza itinerari prestabiliti.
“Sono soprattutto i pedestrian tours, viaggiatori a piedi, come Edward Lear e Arthur John Strutt a darci la misura di questo turismo che è la negazione più radicale del Tour Settecentesco” ha scritto nel denso saggio Viaggiatori stranieri nel Sud, Milano, 1964, lo studioso Atanasio Mozzillo.
E anche quando nascono le prime linee ferroviarie nel 1866 non migliora significativamente il viaggio in Calabria; la Taranto-Reggio viene completata solo nel 1885 (ancora oggi quella tratta lungo lo Jonio non brilla per sua efficienza e la scarsità del transito).
Testimonianze di Viaggio: Stendhal, Lear e Douglas
In questo senso è particolarmente significativa la maniera di osservare del grande scrittore francese Stendhal, nel suo Viaggio in Italia da Milano a Reggio Calabria, sono soste brevi: arriva a Crotone il 20 maggio del 1817 e si meraviglia di incontrare “qui in capo al mondo, il bravo capitano Joseph Revanans che ho visto dragone nel 1800”, il quale gli racconta il suo incontro con i briganti; poi passa da Catanzaro laddove, osservando la fisionomia dei calabresi, scrive: “Via via che si procede in Calabria, le teste si avvicinano alla forma greca; numerosi uomini sui quarant’anni hanno esattamente i lineamenti di Giove Mansueto”, e qualche lettore potrebbe pensare che lo scrittore alluda a una nota scultura classica raffigurante il re degli dei. Ma non è così.
Stendhal poi, il 25 maggio si trova a Brancaleone: “Ci siamo fatti accompagnare da tre contadini armati, durante la nostra visita a Locri. Mai briganti ebbero facce più spaventose; in quelle teste non c’è nulla che mi fa orrore […]. Niente è più pittoresco di un calabrese in cui ci si imbatta nella curva di una strada, nelle radure di un bosco. Il lungo stupore di quegli uomini armati fino ai denti, nel vedere noi in parecchi e bene armati, era da morir dal ridere”.
Poi lo scrittore, per rompere il ghiaccio, compra qualcosa da loro, “per aver l’occasione di fare un po’ di conversazione”. Il 28 e 29 maggio visita Melito e Reggio Calabria e narra episodi curiosi visti o narrati da incontri occasionali.
Questo per dire che nell’Ottocento, dunque, la curiosità dei viaggiatori in Calabria associa letteratura, storia e antropologia, analisi del costume. È in questo senso che codesti viaggiatori compiono, a mio avviso, l’altro Grand Tour, tra cui i più noti sono George Gissing, Edward Lear e Norman Douglas, quest’ultimo ai primo del Novecento con il suo famoso Old Calabria.
Edward Lear, in Calabria, scelse di visitare l’Aspromonte e le aree collinari di Reggio Calabria. Lear, viaggiatore e paesaggista inglese, intraprese la sua avventura nel Sud della Calabria nel 1847 e percorse molti chilometri a piedi, con la sua fidata guida locale e un asinello deputato a trasportare i bagagli.
L’inglese rimase affascinato dalla maestosa bellezza dell’Aspromonte, dalle sue vedute sulla costa e dalla natura ancora incontaminata, da quella che G. Isnardi definisce “architettura naturale”. I suoi dipinti riflettono i magici giochi di luci ed ombre delle montagne calabresi, mentre i suoi diari di viaggio raccontano di una piacevole atmosfera e di una diffusa ospitalità della gente di Calabria.
Tra le tante righe dedicate al capoluogo reggino Lear scrisse parole come queste: “Reggio è un grande giardino, uno dei luoghi più belli che si possano trovare sulla terra”.
Quando si parla di viaggiatori stranieri in Calabria viene in mente subito il nome di Norman Douglas, l’intellettuale britannico che scese sino al Sud Italia nel 1907 e che raccolse la sua esperienza nel libro “Old Calabria”, ritenuto da più parti la più riuscita celebrazione della bellezza del Meridione d’Italia fatta da uno straniero.
“Old Calabria”, opera pubblicata nel 1915 in Inghilterra e giunta in Italia, con il titolo di “Vecchia Calabria”, solo nel 1962, rappresenta il diario di viaggio di Douglas tra il 1907 e il 1911, allorché visitò la Basilicata, la Puglia e la Calabria, territorio che egli identificò con gli antichi confini calabresi.
Appena giunto sul Massiccio del Pollino, ad esempio, l’inglese ebbe “una visione di pace” perché “queste stupende montagne sembrano fondersi, al tramonto, in una nebbia di ametista”. Quindi si lasciò guidare dal suo “compagno”, il fiume Trionfo, sino alla Sila Greca, dove il “paesaggio assume bruscamente un tono epico”. Qualche ricordo dei suoi luoghi natii accompagna invece la visita di Douglas alla Sila Grande, un “venerando altipiano granitico”, perché “se non fosse per la mancanza dell’erica, qui il viaggiatore potrebbe credere di essere in Iscozia”.
Ma in entrambi i viaggiatori britannici l’impressione della Calabria è quella di un’imminente corruzione di tale bellezza, tanto che, soprattutto Douglas, invitavano i loro lettori a visitarla alla svelta, prima che tutto fosse perduto.
Dal XIX al XX Secolo: Trasformazioni e Nuovi Sguardi
Dopo un secolo e mezzo di abbandono, furono gli illuministi a visitare nuovamente il Sud Italia, dandone spesso resoconti più mitici che naturalistici, quasi come se il viaggio in Calabria fosse prevalentemente un viaggio alla ricerca di sé.
Nell’Ottocento le condizioni generali della Calabria peggiorarono: le campagne napoleoniche e la miseria che accompagnò la Restaurazione ebbero conseguenze devastanti sull’economia calabrese. E’ per questo che i resoconti di Duret de Tavel hanno spesso un fondo tragico e malinconico, e quelli di Courier presentano in più punti la netta contrapposizione tra la bellezza della natura di questi luoghi e l’indigenza dei popoli che li abitano.
Nel Novecento questi problemi andarono attenuandosi ed è per questo che i viaggiatori stranieri tornarono a focalizzare la loro attenzione sulle condizioni sociali e sulle bellezze naturali calabresi.
Gissing in “By the Ionian Sea” (1901) scorge un fiero pessimismo nella Calabria del tempo, uno stridente contrasto tra il glorioso passato della Magna Grecia e la povertà dei contadini nel latifondo: “è un paese stanco e pieno di rimpianti, che guarda al passato; banale nella vita presente ed incapace di sperare veramente nel futuro”. Meno pessimista è De Custine, che racconta la Calabria come un “vestito di Arlecchino” per la varietà di popoli ed etnie che la abitano, evidenziando le note di colore che caratterizzavano sin da allora questa terra.
L’ultimo viaggiatore straniero in Calabria prima dei turisti dei nostri giorni è il belga Jules Destrée nel 1928, un periodo in cui, soprattutto a causa del regime fascista, molti rinunciano a visitare l’Italia.
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