L'Uso di Termini Stranieri in Italia: Tra Tutela della Lingua e Proposte di Legge
La proposta di Fratelli d’Italia sulla limitazione all’uso dei termini stranieri ha suscitato una polemica accesa, che certo non si è spenta, visto che l’iter del decreto è ancora incerto. La tutela della lingua nazionale è un legittimo obiettivo dello Stato, di cui la lingua è una delle espressioni identitarie principali. Da una parte, ci sono Paesi europei con regole simili, tra cui la Francia e la Spagna.
Il Fascismo e l'Italianizzazione della Lingua
In epoca fascista l’italianizzazione della lingua ha raggiunto il suo picco, toccando peraltro ulteriori aspetti della vita del Paese. Così, il processo di italianizzazione completa della lingua, lentamente cominciato già decenni prima dell’avvento del regime, ha tentato di raggiungere obiettivi tanto elevati da risultare inarrivabili. Dal punto di vista prettamente linguistico, è stata attuata - possiamo dire senza successo - un’epurazione completa da tutti i termini stranieri, anche quando per un retaggio antico. Una vera e propria forma di proibizionismo, che si può così definire alla luce del totale distacco dalla realtà quotidiana e per le finalità “altre” di tipo nazionalistico, che non è riuscito comunque ad attecchire.
Per esempio, chi violava il divieto di usare termini stranieri nei documenti ufficiali, nelle affissioni pubblicitarie e nelle insegne dei negozi andava incontro a un’ammenda fino a 5.000 euro e l’arresto fino a 6 mesi. Eppure, oggi nessuno si sogna di riferirsi con il termine “bevanda arlecchina” al posto di cocktail oppure “torpedone” anziché autobus.
La Proposta di Legge di Fratelli d'Italia
La proposta di legge di Fratelli d’Italia, bisogna precisarlo, è morigerata rispetto al complesso di norme italianizzanti che hanno preso piede in epoca fascista. In ogni caso, i deputati di Fdi intendono sanzionare l’abuso di termini stranieri e foresterismi nella pubblica amministrazione e in sede giurisdizionale con una sanzione da 5.000 a 100.000 euro. Naturalmente, la multa proposta appare piuttosto salata e anche mancante del criterio di proporzionalità che richiede l’ordinamento italiano. Non sembra esserci alcun dubbio sul suo ridimensionamento, laddove la proposta arrivasse davvero a compimento.
Attualmente, non esistono vere e proprie parole vietate in Italia. Per essere precisi, nemmeno l’eventuale approvazione della proposta di legge di Fratelli d’Italia pare istituire vere e proprie parole vietate. Non c’è però un elenco di parole vietate, nemmeno per quanto riguarda il reato di diffamazione o per gli ambienti di lavoro.
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I Punti Chiave della Proposta di Legge
La proposta di legge a prima firma di Fabio Rampelli, deputato di Fdi e vicepresidente della Camera, si colloca in un'ottica di salvaguardia nazionale e di difesa identitaria. Ecco i punti principali:
- Lingua italiana obbligatoria per la fruizione di beni e servizi.
- Imposizione di trasmettere qualsiasi comunicazione pubblica in italiano.
- Obbligo di utilizzare strumenti di traduzione o interpreti per ogni manifestazione o conferenza che si svolga sul territorio del Paese.
- Divieto di usare sigle o denominazioni straniere per ruoli in azienda, a meno che non possano essere tradotte.
- Utilizzo della lingua italiana nei contratti di lavoro.
- A scuola e nelle università, corsi in lingua straniera tollerati solo se giustificati dalla presenza di studenti stranieri.
Secondo le ultime stime dal 2000 ad oggi il numero di parole inglesi confluite nella lingua italiana scritta è aumentato del 773 per cento: quasi 9.000 sono gli anglicismi attualmente presenti nel dizionario della Treccani su circa 800.000 parole in lingua italiana. E che reputa «non più ammissibile che si utilizzino termini stranieri la cui corrispondenza italiana esiste ed è pienamente esaustiva».
«La violazione degli obblighi», si legge nella pdl, «comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 5.000 a 100.000 euro». Il testo, composto da 8 articoli e presentato lo scorso 23 dicembre, contiene le «disposizioni per la tutela e la promozione della lingua italiana». Oltre a vari obblighi specifici «in un’ottica di salvaguardia nazionale e di difesa identitaria», la legge istituisce il Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana.
Critiche alla Proposta
Gli esponenti del Movimento 5 Stelle in commissione cultura alla Camera e al Senato hanno criticato la proposta, mettendo in discussione la coerenza del governo nell'istituire il Ministero del "made in Italy".
L'Esperienza del Fascismo e le Lezioni per il Presente
Durante questo periodo, il fascismo ha impedito in tutti i modi l’uso delle parole straniere nella lingua italiana, ad esempio ha vietato l’uso delle parole straniere nelle insegne dei negozi, nella pubblicità, nei nomi delle strade e degli alberghi. Nel 1938 i fascisti hanno anche vietato l’uso del lei. Le persone non potevano più darsi del lei: dovevano usare il voi. Invece di dire “Lei, signora, come sta?” dovevano dire “Voi, signora, come state?”. Poi, ha perseguitato le minoranze linguistiche, gli italiani che parlavano altre lingue, come per esempio quelli che parlavano il tedesco in Alto Adige o lo sloveno nella Venezia Giulia. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, insieme alla democrazia, in Italia sono tornate tutte le libertà, anche quella di usare le parole e le lingue che preferiamo.
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Controllare gli usi linguistici, vietare i forestierismi, imporre dall’alto parole e costrutti: il Fascismo ci provò con determinazione, ma la storia ha confermato la vitalità e mobilità della lingua. Proprio la storia vissuta dagli italiani nel ventennio dovrebbe insegnare che la lingua non può essere imbrigliata o obbligata attraverso leggi o divieti.
Delle battaglie linguistiche intraprese dal regime, l’unica che gli italiani più anziani ricordano ancora è quella combattuta contro il pronome lei, sostituito d’autorità nel 1938 con il tu o con il voi, considerato più “romano”. Gli italiani continuarono a usare, privatamente, il lei, e molti, pur di non passare al voi, scelsero di darsi del tu. A distanza di quasi settant’anni dalla fine del fascismo ci si può chiedere che cosa sia rimasto del tentativo di politica linguistica orchestrato dal regime. Poco, quasi nulla.
Se i dati statistici di cui disponiamo documentano una situazione pericolosa di crescente analfabetismo di ritorno, se un gran numero di italiani ha difficoltà a capire il significato di molte parole e a interpretare anche brani semplici, se a ogni concorso si verifica l’incapacità a scrivere in modo corretto di tanti laureati, la soluzione va cercata altrove: la lingua italiana non si tutela con provvedimenti legislativi o decreti, e tanto meno con consigli superiori, ma promuovendo la cultura e l’insegnamento dell’italiano nella scuola, con iniziative concrete di formazione e di aggiornamento degli insegnanti nel campo della linguistica italiana e delle scienze del linguaggio, e contrastando il monolinguismo anglofono nell’insegnamento delle discipline scientifiche nelle università.
Ciò che manca ad oggi, a prescindere dal futuro della proposta, è un percorso più ampio di promozione e insegnamento della lingua, che comunque non può prescindere da un’attinenza al contesto sociale e culturale attuale.
Tabella: Confronto tra Politiche Linguistiche
Paese | Politica Linguistica | Efficacia |
---|---|---|
Italia (Fascismo) | Proibizionismo totale dei termini stranieri | Inefficace, abbandonata |
Francia | Legge Toubon per la difesa della lingua francese | Parzialmente efficace, "inquinamento" dall'inglese ancora presente |
Italia (Proposta FdI) | Sanzioni per l'uso di termini stranieri nella pubblica amministrazione | Incerta, dibattito in corso |
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